Due anni fa, il 1° febbraio del 2021, l’esercito del Myanmar prese il potere con un colpo di stato: arrestò tutti i principali leader del partito di maggioranza tra cui Aung San Suu Kyi, capo del governo eletta, e instaurò un regime militare ferocemente repressivo. Nel corso di questi due anni sono state arrestate e uccise migliaia di persone e represse con la violenza le ampie e partecipate proteste organizzate contro il regime militare. Il punto di Remocontro

Myanmar a due anni dal colpo di stato. Dramma birmano ignorato

In occasione del secondo anniversario del colpo di stato, in Myanmar è stato organizzato uno sciopero generale contro la dittatura: in questo momento la maggior parte delle strade del paese è vuota e i negozi chiusi. Anche all’estero ci sono state manifestazioni, molte delle quali organizzate da oppositori politici che negli ultimi due anni hanno lasciato il paese. Proprio oggi dovrebbe scadere lo stato di emergenza dichiarato e più volte prorogato dal regime militare. È praticamente sicuro che la giunta militare decida di prorogarlo ancora: martedì, parlando dell’attività dei deputati e politici birmani contrari al regime, la giunta ha detto che è in corso «un tentativo di prendere il potere dello stato in modo insurrezionale e terroristico».

Sempre per la ricostruzione storica, il colpo di stato in Myanmar era stato guidato dal capo delle forze armate birmane, il generale Min Aung Hlaing, che si è poi autoproclamato primo ministro. Era avvenuto nel giorno in cui il nuovo parlamento eletto nel novembre del 2020 avrebbe dovuto riunirsi per la prima volta. Le elezioni erano state vinte nettamente dalla ‘Lega nazionale per la democrazia’ (LND), il partito di Aung San Suu Kyi, e perse dal Partito per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione, sostenuto dai militari

Foto “Time”

Le accuse di brogli da parte dei bari

Dopo le elezioni, i militari avevano contestato i risultati e accusato la LND di brogli: il clima si era fatto sempre più teso, fino al colpo di stato del 1° febbraio, con il quale i militari avevano interrotto le linee telefoniche e sospeso le trasmissioni della televisione di stato, oltre a dichiarare lo stato di emergenza che è tuttora in vigore. E fin da subito, le proteste spontanee erano state represse con estrema violenza: oltre alle migliaia di persone arrestate, si stima che siano stati uccisi quasi 3mila civili e che gli scontri tra l’esercito e i manifestanti abbiano costretto decine di migliaia di persone a lasciare le proprie case.

‘Achtung Banditen’ alla nazista

Dai primi mesi successivi al golpe, l’opposizione al regime si è via via trasformata in resistenza armata, sempre più vicina alla resistenza partigiana. Dopo la repressione delle proteste si erano costituite per esempio le Forze di difesa del popolo, un movimento armato di attivisti per la democrazia vicino al cosiddetto «governo di unità nazionale del Myanmar», braccio armato di gruppo di deputati e politici birmani contrari alla dittatura militare che la giunta accusa di terrorismo.

Resistenza antifascista

Le Forze di difesa del popolo avevano iniziato a compiere diversi attacchi e imboscate contro l’esercito, che aveva subito pesanti perdite e risposto con attacchi ancora più violenti. Tra le altre cose i militari avevano fatto ricorso ad attacchi aerei, uccidendo un numero imprecisato di civili nel tentativo di colpire i ribelli. Uno degli ultimi attacchi si è verificato lo scorso settembre, quando almeno 13 persone sono state uccise in una scuola poco fuori Tabayin, circa 100 chilometri a nord-ovest di Mandalay, la seconda città del Myanmar: secondo l’esercito l’edificio era usato dai ribelli per pianificare attacchi armati

Il processo contro la ex presidente Nobel

Una delle principali azioni ‘politiche’ della giunta militare era stato l’avvio di un processo contro Aung San Suu Kyi, vincitrice nel 1991 del Nobel per la pace. Il processo era iniziato quattro mesi dopo il compimento del colpo di stato, a giugno del 2021. Suu Kyi, che ha 77 anni, era stata incriminata per reati che includono corruzione, violazione delle norme di sicurezza imposte contro il coronavirus e importazione e detenzione illegale di walkie-talkie. In ridicolo che diventa crudele con l’ultima condanna, lo scorso dicembre, alla pena di 33 anni di carcere. Fine pena a 110 anni.

Lo scorso luglio la giunta ha inoltre annunciato di aver eseguito la condanna a morte di quattro oppositori politici: non succedeva dal 1988, quando il Myanmar era ancora governato da un regime militare (lo fu dal 1962 al 2011).

I militari padroni da sempre dell’economia locale

In risposta alla giunta militare, diversi governi esteri hanno deciso di imporre sanzioni contro il regime, indebolendo ancora di più l’economia del Myanmar, che prima del colpo di stato era considerata tra quelle in più rapida crescita tra i paesi del sud-est asiatico. Secondo la Banca mondiale, l’economia del Myanmar crescerà di circa il 3 per cento quest’anno: considerando il periodo precedente alla pandemia e al golpe è una crescita ridotta, che si pensa sarà legata soprattutto a settori come l’agricoltura e l’industria tessile. Ora il tentativo dei golpisti di riaprire parte del Paese al poco di turismo immaginabile.

Yangon, verso la Thailandia

Yangon, al confine con la Thailandia approfittando della finestra che da qualche mese ha riaperto al turismo in un Paese sprofondato nel medioevo autarchico della dittatura: inflazione, coprifuoco, elettricità quando c’è, e un ‘cambio nero’ talmente ufficiale che la banconota si scambia alla luce del sole nei negozi. La giunta ha bisogno di valuta forte ed è disposta a pagarla anche un terzo in più del cambio legale. «Fino a prima del Covid a Yangon si contavano almeno 90mila stranieri al giorno nella stagione alta», ma la miscela Covid più golpe è stata esplosiva. Funziona l’autostrada da Yangon a Naypyidaw e da lì si può raggiungere Bagan, la città santa dalle mille pagode.

Una sorta di accordo non scritto preserva il ‘Vaticano buddista’ dagli assalti. ‘A Bagan non si spara per non offendere il Budda ma appena fuori è l’inferno’. E non solo nelle campagne, riferiscono tutte le fonti.

I guerriglieri delle Forze di difesa (Pdf) che hanno i militari nel mirino, sono più severi ancora con i collaborazionisti civili. Esecuzioni mirate in tutto il Paese, soprattutto dove a controllare il territorio sono le milizie etniche, gli eserciti delle autonomie regionali. Nessuna mediazione possibile, e per ora, resistenza dove possibile e boicottaggio.

Ma ancora senza una strategia condivisa dalle tante forme che la resistenza ha preso a cominciare dai tanti eserciti regionali ognuno con la sua agenda politica, denuncia Theo Guzman sul Manifesto.

«Quel che è certo, è che dalla comunità internazionale non si vede alcun segnale. I birmani son meno interessanti degli ucraini».

* Ripreso da Remocontro

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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