“La sinistra buonista”. Questo epiteto, questo modo di stigmatizzare le posizioni civili (in ogni senso) della sinistra comunista e di alternativa, in tutti questi anni, in merito alle vicende migratorie umane (visto che le migrazioni esistono da sempre anche in natura, ma nessuno si preoccupa, ovviamente, di quelle “animali”, così come non ci scandalizza che le merci viaggino per il terracqueo globo senza discriminazioni alcune), è tornato alla ribalta proprio nella “giornata del rifugiato” (ieri, ndr.).
Perché, secondo alcuni, lavoro e diritti civili vanno separati e va data priorità alla lotta contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione.
Era così tanto tempo che non sentivo più nessuno parlare di tutto ciò che avevo quasi dimenticato che noi comunisti siamo i portatori di queste istanze. Ma la dimenticanza, del resto mai avvenuta (almeno per quanto mi riguarda), non era dovuta ad una concentrazione maggiore su temi civili piuttosto che sociali, bensì alla distrazione causata dalle tante beghe che a sinistra si tengono quotidianamente sul tema del governo, del voto utile, del battere un centrosinistra praticamente eguale al centrodestra anche sul tema dei diritti civili ormai oltre che sul piano economico.
Allora ho pensato che forse sarebbe stato il caso rimettere l’attenzione sul fatto che una alternativa di governo, che rimane solo un modo di gestione dell’attuale e non unisce gli orizzonti minimi del riformismo a quelli massimi del socialismo, ha occupato anche giustamente i fiumi di inchiostro che abbiamo speso e le pagine che abbiamo letto in merito ma ci ha progressivamente fatto dimenticare che, qualunque soluzione di governo si possa trovare o sulla quale si possa influire, la nostra “anima” è un’altra e deriva da una piattaforma di giustizia sociale che si può completamente affermare solo se si ritorna a pensare razionalmente ai limiti del governo stesso.
Nell’assemblea nazionale svoltasi il 18 giugno a Roma per dare il via ad una “alleanza popolare per la democrazia e l’uguaglianza” ho sentito discutere anche di governo, di governabilità e, sostanzialmente, anche di gestione del potere, ma prima di tutto ho ascoltato molti interventi incentrati sulla necessità di dare una svolta alla sinistra, di renderla non soltanto differente dalla trasformazione innaturale in un nuovo “centrosinistra” ma di allontanarla anche dalle tentazioni compromissorie con un’altra sinistra che pretenderebbe di gestire il governo del Paese da una posizione di netta minoranza in quanto ad incidenza numerica e, quindi, politica.
Lo spazio che si è aperto sul tema vero e proprio di una alternativa complessiva (e quindi anche complessa) per una sinistra abituata a schemi mutevoli a seconda delle leggi elettorali in campi, quindi dai contorni non ben definiti, è uno spazio ampio se non altro sul terreno della discussione che non deve essere più inquinato dall’orizzonte governativista ma, semmai, come bene è stato sottolineato più volte, da un progetto comune e chiaro che porti al governo il medesimo programma non più frutto di trattative con forze centriste.
Se al governo si deve puntare che almeno lo si faccia con concetti e parole d’ordine antiliberiste, che rifiutano qualunque trattativa sui temi del lavoro facendo incontrare interessi dei lavoratori e interessi padronali.
E che lo stesso avvenga per tutti gli altri settori pubblici, sociali e civili che siano: che si costruisca un programma di riforme che ritorni a rendere per l’appunto riconoscibile la sinistra senza nostalgie ma attualizzando ad esempio la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario come uno dei cardini di questa nuova soggettività in costruzione.
E non esistono, a questo proposito, diritti di serie A e diritti di B: è evidente che la lotta per la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo è alla base di ogni possibilità di costruzione di una vita degna invece di questa sopravvivenza in cui siamo costretti a languire. Ma è allo stesso tempo vero che senza libertà civile non esiste una piena libertà sociale, altrimenti si ricade nell’errore compiuto dai “socialismi reali” che, dopo aver inventato lo “stato sociale” ne hanno fatto una subordinata alle libertà civili, alla vera democrazia: non quella borghese che baratta i diritti civili con lo sfruttamento quotidiano che il mercato fa delle nostre vite, ma quella – lasciatemelo dire – “proletaria”, quella della povera gente che non ha di che far sbarcare il lunario, che è intrappolata tra un capitalismo feroce che viene mostrato come soluzione d’ogni ingiustizia e l’assenza di una alternativa credibile, concreta, idealizzabile anche. Ma vera.
La nuova “democrazia proletaria“, la nuova alleanza per la democrazia dell’uguaglianza e l’uguaglianza della democrazia (per tutte e tutti, davvero) può costruire la sinistra di alternativa di questo secolo in Italia e può farlo mostrando il fallimento di tutte le altre opzioni: quella socialdemocratica, quella liberista, quella fascista e xenofoba e quella populista.
Per questo non va deriso il ritorno ai confini certi, all’ideologia come punto di riferimento di un comune sentire, di una vicinanza di valori che ci unisca nuovamente in una prospettiva declinabile nominalmente in tanti modi ma che, almeno per me, rimane quel “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”. Tutte le cose presenti, non alcune. Appunto.

lasinistraquotidiana

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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