- di Nicola Carella
Dalla censura contro Linksunten Indymedia ai capri espiatori degli scontri di Amburgo, dalle minacce a storici spazi sociali alla richiesta di leggi speciali contro la sinistra autonoma. Cosa sta accadendo nella Germania che si dirige verso le elezioni?
In una Repubblica Federale Tedesca stretta tra il passato G20 di Amburgo e le prossime elezioni federali di settembre, ha suscitato scalpore una decisione del Ministro degli Interni Thomas De Maiziere. Il Ministro, del partito di Angela Merkel, nonostante le sue competenze in fase elettorale dovrebbero essere limitate alla sola supervisione delle consultazioni, ha disposto l’oscuramento del più importante sito della sinistra radicale tedesca: indymedia.linksunten. Dopo la conferenza stampa in pompa magna sono scattati i blitz, le perquisizioni e i sequestri presso le abitazioni dei responsabili del sito nella regione del Baaden Wuettemberg e a Friburgo. La motivazione che il Ministro ha fornito per l’atto censorio, senza precedenti nella recente storia tedesca, è stato che la piattaforma “agisce contro l’ordine costituzionale”.
Linksunten, tuttavia, ha un’infrastruttura reticolare e decentralizzata e agisce su diversi server: lo stesso Ministroha dovuto ammettere che non sarebbe stato semplice oscurarlo completamente e in modo immediato. Proprio per ovviare a questo problema il Ministro ha alzato ulteriormente il tiro, dichiarando che «da questo momento, accedere al sito è un reato federale e le persone che si verificherà essere dietro la redazione del sito sono considerabili facenti parte di un’organizzazione terroristica». In questo modo, ha svelato l’espediente che le autorità hanno impiegato per dare copertura legale all’operazione. È infatti bastato considerare linksunten come una “associazione” piuttosto che come un sito di notizie: solo in questo modo la decisione potrebbe essere approvata dall’Alta Corte Costituzionale di Karlschrue, perché non lederebbe direttamente la libertà di stampa.
Un’associazione, secondo De Maizière, sarebbe composta da almeno due persone – il sito ha fino a sette amministratori – e il divieto non avrebbe influenzato la rete giornalistica internazionale pluripremiata Indymedia. Per questo, le misure sarebbero state un’azione «coerente» contro «l’espressione estrema dell’odio estraneo». Afferma il Ministro: «Si invoca la violenza contro gli agenti di polizia e li si descrive come ‘suini’ e ‘assassini’, per legittimare la violenza contro i poliziotti. Questa è l’espressione di un atteggiamento che lede la dignità umana».
La parlamentare della Linke, Ulla Jelpke, ha ribattuto che, pur condannando «qualsiasi tipo di invito alla violenza», il suo partito vede ancora il divieto come «un atto illegittimo di censura e un attacco volontario alla libertà di parola e alla libertà di stampa». Dall’altra parte, l’estrema destra dell’AfD e le stesse forze di sicurezza (addirittura la polizia di Amburgo), hanno criticato la decisione che priva loro di uno strumento per monitorare la sinistra radicale leggendo la misura più come una boutade elettorale che come una reale limitazione della libertà di stampa (in realtà Alernative Fuer Deutchland ha detto che il sito della sinistra radicale andava chiuso prima, disvelando anche come l’operazione della CDU peschi nel suo bacino elettorale).
Dal punto di vista legale, peraltro, molti esperti contestano a De Maiziere che essendo linksunten una piattaforma sulla quale chiunque può pubblicare contenuti, le dimensioni dell’associazione di cui lui parla potrebbero superare di molto il numero dei sette redattori che svolgono solo un lavoro di organizzazione tecnica delle notizie. Quindi l’accusa potrebbe estendersi a decine di migliaia di collettivi, persone, a volte profili falsi, a volte persino agenti infiltrati. L’espediente di considerare un sito di notizie un’associazione potrebbe rivelarsi catastrofico se la Corte Costituzionale non dovesse ritenerlo valido, affermando che il Ministro degli Interni ha provato a chiudere un sito di informazione.
Di chi è la rete?
Possiamo fare due considerazioni rispetto a questo incredibile precedente per la democrazia tedesca. La prima è di ordine strategico ed economico, la seconda di carattere più eminentemente politico.
Indymedia Linksunten, attivo dal 2008, offriva, questa l’auto-descrizione della piattaforma, «una rete informatica di movimento per dare l’opportunità di diffondere gratuitamente fuori dai controlli governativi e capitalistici, rapporti, interessi, esperienze, analisi, sogni e opinioni per creare contro-pubblico». C’è da aggiungere che Linksunten era un progetto parallelo al portale storico Indymedia.de che nasce direttamente nella stagione dei movimenti no global. In molti casi, i contenuti erano affini ma la struttura del portale recentemente chiuso risultava essere molto più “tumultuosa”, “libera” e continuamente aggiornata dal basso, senza che fosse necessario un vero e proprio lavoro di redazione. Così in Germania era diventata la principale fonte di notizie per decine di migliaia di persone. La possibilità di pubblicare articoli e commentare in modo anonimo permetteva a chiunque di esprimere la propria opinione senza la paura delle ritorsioni dei severissimi servizi tedeschi. In moltissimi casi, i tedeschi preferivano utilizzare Indymedia Linksunten come vero e proprio social networkalternativo a Facebook e Twitter proprio per la garanzia di anonimato, la tutela da attacchi DDOS, il rapporto fiduciario tra gli utenti della piattaforma rispetto al trattamento dei dati e la capacità di riuscire ad essere sempre un passo avanti su qualunque attività, iniziativa o dibattito riguardasse la sinistra politica (anche più larga della scena antagonista).
Questo tipo di “patto di piattaforma” aveva addirittura prodotto un caso storico nel giornalismo tedesco. Pochi anni fa Indymedia.linksunten aveva incassato i complimenti delle associazioni di stampa tedesca per il lavoro di inchiesta diffusa che aveva prodotto sull’organizzazione terroristica neonazista NSU. Lavoro che era riuscito a rompere l’offuscamento colpevolmente cercato dai servizi segreti tedeschi sul gruppo responsabile di decine di omicidi. Addirittura dalla piattaforma erano emerse quelle che poi sono diventate verità processuali: pericolose e scandalose connivenze tra ambienti dei servizi e estrema destra neonazista.
Insomma una comunità aperta, incontrollabile, ingovernabile, un social network non proprietario in grado di diventare piano di discussione parallelo che non riversava metadata e informazioni su nessun mercato, né in Germania, né verso la Sylicon Valley.
La Germania da anni sta provando a governare la rete: storiche le sentenze contro l’algoritmo di Google accusato di non garantire la concorrenza in quanto non depositato in Germania, contro i contenuti di Youtube (che ha dovuto cedere all’agenzia statale GEMA sui contenuti), ma anche contro altri siti internazionali. La Wehrmacht, l’esercito tedesco, ha una sezione di recente formazione che si occupa di controllo della rete e guerra informatica che interessa una fetta del bilancio della difesa superiore persino alla missione in Afghanistan. Pochi mesi fa, il Ministro Federale di Giustizia con la legge contro la discriminazione razziale in rete ha imposto la deposizione di tutti gli algoritmi di tutte le aziende che si occupano di recruitment di lavoro e servizi. Lo stesso ministro ha proposto per la prossima legislatura una legge più organica sulla deposizione degli algoritmi presso una specifica “agenzia digitale” che deve raccogliere i dati e monitorare l’attività in rete delle aziende. A questi provvedimenti si aggiunge il voto del Bundestag della scorsa primavera che (come nel caso inglese) prevede la possibilità da parte degli organi di inchiesta di utilizzare troyan nei dispositivi privati di cittadini indagati.
In questo quadro va letta anche la decisione su Indymedia prima ancora che rispetto agli elementi squisitamente politici e di legittimità democratica della decisione. Un quadro in cui gli ultimi mesi e la campagna elettorale vede una dialettica rispetto ad una corsa da parte della governance ordoliberale per provare ad avere il monopolio del controllo di tutti i mezzi di produzione, della infrastruttura, dei prodotti informatici e dei dati. Da questo punto di vista, l’allargarsi della comunità di Indymedia Linksunten diventava sempre più un problema perché avendo una struttura, una sorta di policy, con un orizzonte economicamente opposto a quello dei colossi dei data e della sharing economy, una zona incontrollabile e illeggibile del digitale rischiava di allargarsi sempre di più (specie dopo Francoforte 2015 e Amburgo 2017). Se alle aziende e ai colossi del digitali si può imporre un controllo di Stato, pena l’esclusione dal mercato della terza economia mondiale, Indymedia Linksunten rischiava di essere l’unica isola di libertà all’interno dello Stato tedesco. Un’anomalia che nella sua unicità avrebbe aggregato consensi e probabilmente sarebbe diventata anche riproducibile.
Insomma, prendendo al balzo la palla di Charlottesville e dell’hate speech dell’estrema destra americana, e con i roghi di Amburgo ancora nella memoria collettiva, la CDU ha voluto approfittare di questi episodi sul piano economico, prima ancora che elettorale, restringendo la possibilità di partecipazione al web 2.0 solo alle aziende cui può imporre le sentenze della Corte e le regole del mercato (Google, Youtube, Facebook ecc…). Ciò che ancora va dimostrato è che da questo punto di vista l’operazione De Maziere riesca realmente a scongiurare il riproporsi di quella TAZ del web che era Indymedia Linksunten. Da giorni il sito riappare e ritorna down. Già circolano nuovi nomi possibili di “nuovi” indymedia. Questo però, al ministro interessa meno della decisione della Corte. Tra un mese o poco meno, potrà verificare l’efficacia della sua crociata in termini di consenso elettorale.
La torsione autoritaria dell’ordoliberalismo
Un’altra lettura, più immediata e più mainstream, per leggere la scelta censoria di De Maiziere è quella di contestualizzarla nell’attuale fase elettorale e politica tedesca. Per come funziona il sistema partitico della Germania Federale, inquadrando questa lettura nel dispositivo di governo ordoliberale, si può disporre di un quadro complessivo a tinte fosche e inquietanti sul futuro della governance europea.
Dopo i fatti del fallito vertice di Amburgo, la coda mediatica di criminalizzazione del conflitto è entrata a gamba tesa nel soporifero dibattito elettorale tedesco. Merkel ha scaricato le responsabilità della scelta scellerata del luogo del vertice sull’SPD, che ha nella città anseatica un importante bacino elettorale (rumors accreditavano il sindaco attuale come ministro degli interni in un possibile nuovo governo di Grosse Koalition, candidatura ovviamente meno probabile dopo il G20 e il fallimento della gestione dell’ordine pubblico). In potenza, quindi, il G20 ha prodotto un calo di voti all’SPD, forse decisivo in vista dei futuri seggi parlamentari e della formazione del nuovo governo. Eppure, un dispositivo retorico per la governance ordoliberale tedesca andava trovato, con lo scopo di lanciare la volata alle future alleanze di governo e rinforzare la posizione di Merkel e del suo partito, la CDU. Un dispositivo mediatico che prende le mosse dalle violenze dell’alt right americana e dai i fatti di Charlotteville, con lo spauracchio dell’Isis in difficoltà militare (in Germania non è sfuggito che gli attentati di Barcellona sono stati realizzati non da miliziani partiti da Raqqa) e con la retorica macroniana “antipopulista” poco efficace dopo le rotture interne al partito di destra Alternative Für Deutschland (che comunque vengono capitalizzate solitamente dalla bavarese CSU, più che dalla CDU).
La scelta di De Maiziere si inserisce coerentemente in questo dispositivo retorico. È una scelta che raccoglie la sfida del gruppo conservatore Springer dopo il G20 (il Bild è il tabloid più letto d’Europa): «criminalizzare la sinistra radicale e autonoma» (i caothen, portatori di Caos, una sorta figura mitologica che in Germania è sinonimo di black bloc, conservando la medesima funzione mediatica).
Una scelta che sta dettando l’ordine del giorno del dibattito pubblico tedesco in periodo di campagna elettorale (come la discussione sul salario minimo dominò i media prima delle scorse elezioni diventando la pietra angolare della Grosse Koalition tra SPD e CDU). Difficile capire quanto questa opzione sia solo tattica ed elettorale o quanto invece possa diventare un dispositivo strategico di governo da parte della borghesia ordoliberale. Tuttavia, è bene notare che l’iniziativa del Ministro non è rimasta isolata, ma è stata accompagnata da diversi altri avvenimenti che restituiscono un quadro molto preoccupante. La CDU ha infatti proposto nel suo programma elettorale il varo di leggi speciali contro i “Linksautonomen”, vale a dire gli autonomi e la sinistra radicale. In sostanza, si sostiene la sostanziale equivalenza fra “estremismo di destra” e “di sinistra” e si propone la chiusura di spazi occupati storicamente resistenti, come il Rote Flora di Amburgo e il Rigaer Straße berlinese. Un approccio della tolleranza zero che richiama ciò che è successo nelle stesse ore a Berlino, dove a seguito di lamentele del vicinato per la musica troppo alta, un concerto allo storico centro sociale Köpi è stato interrotto dall’irruzione di centinaia di agenti in antisommossa e da una squadra delle teste di cuoio del SEK. Le stesse che, non a caso, erano state impiegate per riprendere il controllo dello Schanzenviertel, mitra alla mano, durante la rivolta di Amburgo. In più, il reato di Landfriedensbruch (traducibile come violazione dell’ordine pubblico, contestato a molti degli arrestati ad Amburgo) dovrebbe riguardare in futuro non solo gli esecutori, ma anche chi nel corso di una manifestazione pubblica dovesse “proteggere” o “supportare” o non denunciare tali esecutori. Vale a dire interi cortei.
In più, mentre le abitazioni dei gestori di Indymedia venivano perquisite accuratamente, a Rostock la polizia compiva degli arresti eclatanti. Due estremisti di destra, di cui uno era un poliziotto, progettavano l’omicidio di esponenti della sinistra e venivano trovati in possesso di liste nere e armi da fuoco. Infine, lunedì 28 agosto il primo processo ad Amburgo contro un ventunenne olandese si è concluso con una sentenza a 2 anni e mezzo di carcere, addirittura più di quello chiesto dalla pubblica accusa. Il ragazzo, salutato da applausi al suo ingresso in aula, avrebbe lanciato due bottiglie, senza colpire nessuno. Gli è stato contestato addirittura di aver assunto una “posizione fetale” durante il fermo e di aver “irrigidito i muscoli” resistendo così all’arresto. Martedì 29 comincia il secondo processo, con misure di sicurezza aumentate in modo esponenziale e il divieto di utilizzare twitter in aula.
Abbiamo quindi insieme diversi ingredienti: censura mediatica, inasprimento della repressione contro la sinistra radicale, teorie degli opposti estremismi, rigurgiti assassini di violenza neonazista, una giustizia politica e intimidatoria che utilizza gli imputati come capri espiatori. Tattiche che ricordano più la Turchia di Erdogan che il presupposto faro della democrazia globale, l’ultimo baluardo contro il trumpismo. Prove tecniche di dittatura? Forse no. Ma Merkel sta usando il dispositivo dello stato di emergenza per governare un dissenso che ad Amburgo è risultato essere soprendentemente ingovernabile. Indubbiamente, la “civile” Germania sta attraversando una fase di pericolosa emergenza democratica, nel pieno di una campagna elettorale cruciale, per quanto addormentata, di estrema importanza per i destini politici ed economici dell’intero spazio europeo.
http://www.dinamopress.it/news/lerdoganizzazione-della-germania-di-merkel-iv