EFE/Susanna Sáez

di Andy Robinson – 11 ottobre 2017

Madrid – A metà strada tra Barcellona e Madrid mediante treno ad alta velocità, la città di Saragozza ha dimostrato per un giorno la scorsa settimana quanto dovrebbe essere semplice una soluzione alla crisi della Catalogna.

In un tentativo di ultima istanza di prevenire ulteriori divisioni e possibili scontri tra elettori e polizia in Catalogna, la città, capitale della comunità autonoma dell’Aragona, ha ospitato una conferenza multipartito una settimana prima dell’illegale referendum catalano sull’indipendenza. Nessuno dei due partiti tradizionali – il conservatore Partito Popolare (PP) al governo di Mariano Rajoy e i Socialisti (PSOE) – era presente. Né lo era il gruppo separatista che ora guida il governo catalano e la sua richiesta di indipendenza dalla Spagna. Dei grandi gruppi parlamentari ha partecipato solo Podemos, della nuova sinistra alternativa, la forza motrice della conferenza.

Ciò nonostante, i partecipanti, una vasta gamma di alleanze e coalizioni politiche regionali progressiste, rappresentano una Spagna silenziosa, democratica e plurinazionale, celata dalla fiammante bandiera spagnola rosso-gialla che è stata esposta da migliaia di banconi dopo l’improvvisato plebiscito del 1° ottobre e le scene violente che l’hanno accompagnato. La Dichiarazione di Saragozza, a malapena riportata dai media, potrebbe oggi dimostrarsi l’unica alternativa al conflitto permanente con l’aggravarsi della crisi catalana.

I partiti presenti hanno compreso Unidos Poderose, l’alleanza della vecchia sinistra Izquierda Unida (Sinistra Unita) e Podemos, che ha corso con risultati misti nella maggior parte della Spagna alle ultime elezioni generali, e Catalunya en Comù, la sua omologa in Catalogna. Ci sono stati i nazionalisti baschi assieme alla filoseparatista Sinistra Repubblicana della Catalogna (Esquerra Republicana). Coaliciò Compromìs, la coalizione di sinistra che governa la regione di Valencia, è stata presente, così come due gruppi nazionalisti galiziani e il generalista Geroia Bai, dalla regione di Navarra nei Pirenei.

Sono state presenti anche le piattaforme appoggiate da Podemos che detengono il potere nella maggior parte delle grandi città della Spagna, comprese Madrid, Barcellona, Valencia, A Coruña, Palma e Cadice. Sono state rappresentate le carismatiche sindache di Madrid e Barcellona, rispettivamente Manuela Carmena e Ada Colau, così come, ovviamente, il sindaco di Saragozza Pedro Santisteve, un indipendente che ha vinto le elezioni cittadine nel 2015 con il sostegno di Podemos in una municipalità che è tradizionalmente profondamente conservatrice.

Queste nuove coalizioni regionali, nutrite dalla dirigenza di Podemos negli ultimi due anni, non solo governano le maggiori città della Spagna, ma hanno mandato nel parlamento spagnolo più di 90 dei 350 deputati, rappresentando 6,5 milioni di voti, quasi un quinto dell’elettorato spagnolo. Sono quelli che Enric Juliana, commentatore politico del quotidiano di Barcellona La Vanguardia, chiama “gli Altri”, quelli che mostrano simpatia per un referendum in Catalogna “senza entrare in ulteriori dettagli riguardo all’autodeterminazione”. Anche se meno di metà dei catalani vuole l’indipendenza, l’84 per cento oggi appoggia il referendum.

La caratteristica più straordinaria della conferenza di Saragozza è stata che ha compreso separatisti catalani, baschi e galiziani assieme a difensori della repubblica federale spagnola. Il leader di Esquerra Republicana Oriol Junqueras, che è stato in prima linea nei tentativi oggi disperati della Catalogna di dichiarare l’indipendenza, ha appoggiato l’iniziativa. Lo stesso hanno fatto Colau e Carmena, entrambe di sinistra che preferiscono una repubblica plurinazionale rispetto alla dissoluzione della Spagna. Quello che ha unito i partecipanti è stato un impegno a favore del diritto democratico dei catalani di decidere se rimanere nello stato spagnolo o andarsene. La Dichiarazione di Saragozza ha sollecitato il governo spagnolo ad avviare un dialogo con la Catalogna e ad accettare di tenere un referendum sull’indipendenza e ha affermato che la politica del governo Rajoy di “eccezione e repressione” dovrebbe cessare, poiché “il primato della legge in una democrazia deve garantire deve garantire il diritto dei cittadini alla libera espressione”.

In un momento di estrema radicalizzazione riguardo alla Catalogna, Podemos – così spesso parodiato come sinistra estremista dai media spagnoli – sta intelligentemente usando la questione catalana per offrire un’alternativa democratica responsabile ai due schieramenti campanilisti. “I soli partiti con i quali i separatisti catalani dicono di poter dialogare erano tutti a Saragozza”, ha detto Juan Carlos Monedero, uno dei fondatori di Podemos e una figura chiave della Dichiarazione di Saragozza, in un’intervista la settimana scorsa. “I separatisti considerano la Spagna come caserme della Guardia Civile, piena di vescovi e di costumi folcloristici”, ha detto, riferendosi alla polizia militare già franchista e ad altri aspetti della dittatura di Franco. “Hanno ragione riguardo alla Spagna rappresentata dal PP. Ma Podemos è spagnolo e noi appoggiamo il referendum”, ha aggiunto.

Una settimana dopo la conferenza di Saragozza 30.000 membri della Polizia Nazionale e della paramilitare Guardia Civile sono approdati a Barcellona dalle loro caserme su traghetti trans-mediterranei attraccati al porto e hanno malmenato centinaia di cittadini che cercavano di votare al plebiscito illegale. Sono stati branditi manganelli, sono stati usati gli scarponi e sono state sparate pallottole di gomma. Sono rimaste ferite quasi 900 persone. Nei giorni successivi decine di migliaia di poliziotti spagnoli in assetto militari hanno occupato le strade di paesi e città catalane, mentre la polizia autonoma catalana, i Mossos d’Esquadra, è rimasta a guardare nei loro berretti dalla banda rosa come una guardia cerimoniale. Mai prima, nemmeno in Grecia, la forza bruta dello stato è stata impiegata così esplicitamente per ignorare le complessità di identità e classe in una turbolenta Europa post-crisi.

Nonostante la repressione il 1° ottobre hanno votato più di due milioni di persone con il 90 per cento a favore dell’indipendenza. In una regione di 7,5 milioni di abitanti, tuttavia, questo chiaramente non è sufficiente per giustificare democraticamente una dichiarazione unilaterale d’indipendenza, anche se essa non è stata decisamente scartata dal governo catalano. Ma la tenacia degli elettori, nonostante la violenza della polizia, lascia chiara una cosa: a meno che Madrid accetti di consentire un referendum corretto, possiamo aspettarci disobbedienza civile di massa e altra violenza poliziesca in Catalogna. La Dichiarazione di Saragozza è stata scartata come un evento collaterale non democratico dal governo del PP, che ha trasformato in una dichiarazione il celebrato avvertimento di Woodrow Wilson a proposito dei pericoli di una camicia di forza costituzionale. (“La Costituzione non è stata creata per bloccarci come una camicia di forza”, disse Wilson. “Nella sua elasticità sta la sua principale grandezza”). Per la Spagna di Rajoy la Costituzione del 1978 è oggi una scorta di manette per i separatisti del parlamento e del governo catalano eletti che sono radunati e accusati di sedizione. Nemmeno i media prevalenti di Madrid sono più flessibili nella loro interpretazione di una Spagna costituzionalmente “non divisibile”. “Quella di Saragozza è una dichiarazione ingannevole; nessun referendum sull’indipendenza può essere tenuto perché non esiste nella Costituzione alcun diritto all’autodeterminazione”, ha scritto Javier Aysi su El Paìs, come se la Costituzione fosse scolpita su un’immutabile tavola di marmo. Il re spagnolo, Filippo VI, frettolosamente entrato in campo tre anni fa per salvare la credibilità compromessa della monarchia dopo l’abdicazione di suo padre Juan Carlos, non è meno dogmatico. Nel suo discorso della scorsa settimana ha scandalizzato i moderati in Catalogna non facendo assolutamente alcuna concessione alla necessità del dialogo.

Grandi manifestazioni lo scorso fine settimana a Madrid e Barcellona di sostenitori sia spagnoli sia catalani dell’unità spagnola possono aver rafforzato la convinzione di Rajoy che ci siano dei voti da guadagnare ignorando quelli che difendono il diritto dei catalani a decidere. Tuttavia dopo gli eventi straordinari degli ultimi pochi giorni la Dichiarazione di Saragozza può essere la sola strada da percorrere se si suole evitare un grave conflitto civile. Questo è stato certamente il sentimento nel corso delle manifestazioni tenute sabato, quando decine di migliaia di dimostranti vestiti di bianco hanno sollecitato il dialogo tra Madrid e Barcellona. Podemos e i suoi alleati della Dichiarazione di Saragozza sono oggi i partiti più vicini a tale elettorato. Considerato che successivi sondaggi mostrano che otto residenti in Catalogna su dieci sono a favore di un referendum è logico supporre che anche molti di quelli che hanno riempito domenica le strade a Barcellona per opporsi all’indipendenza ne appoggino uno.

La vistosa assenza alla Dichiarazione di Saragozza sono stati i Socialista, un tempo difensori di uno stato plurinazionale moderno ma oggi opportunisticamente sposati alla loro base in contrazione, sempre più concentrata nell’anticatalana Andalusia. Mentre Podemos ha coraggiosamente scelto di appoggiare un referendum – mettendo a rischio il suo sostegno nel resto della Spagna – e di condannare la repressione del governo del PP, gli storici leader del Partito Socialista Alfonso Guerra e Felipe Gonzales – entrambi andalusi – hanno in realtà criticato il governo del PP di essere troppo morbido con i separatisti. La vittoria di Pedro Sanchez alle primarie socialiste contro la presidente andalusa Susana Diaz aveva suscitato alcune speranze che i Socialisti potessero spostarsi più vicino a Podemos e a quello che è finito per essere chiamato “il diritto di decidere”. Ma i più considerano ciò meno probabile ora, dopo l’intransigente discorso del re la settimana scorsa. Sanchez ha scorrettamente accusato Podemos di “imitare i nazionalismi e le sovranità frammentatrici”, evidentemente inconsapevole che la negazione dei Socialisti del diritto di decidere della Catalogna è la vera ricetta per la frammentazione e per la violenza.

L’altro partito assente a Saragozza è stato la Candidatura di Unità Popolare (CUP) della sinistra catalana che ha abbandonato ogni speranza di un referendum approvato da Madrid e appoggia una dichiarazione unilaterale d’indipendenza, nonostante l’assenza di un mandato democratico. La CUP è un’eloquente e appassionata sostenitrice dell’indipendenza catalana come mezzo per ristrutturare radicalmente la società catalana a favore della proprietà pubblica, della fine dell’austerità e dei diritti sociali e del lavoro. I suoi membri sostengono che una volta liberata dalle catene dello stato spagnolo – mai realmente democratizzato dopo la morte di Franco nel 1975 – la Catalogna potrebbe diventare una repubblica realmente democratica.

E, proprio come accaduto in Scozia, la campagna per il diritto di decidere ha chiaramente spinto a sinistro il movimento per l’indipendenza. Colau e il leader di Podemos Pablo Iglesias difendono una riforma radicale dello stato spagnolo e una Costituzione aggiornata che dia maggior autonomia alla Catalogna e crei una Spagna plurinazionale fortemente decentralizzata. Anche il disappunto a sinistra per il discorso del re ha portata in prima linea la causa repubblicana, un tema evitato in anni precedenti dalla dirigenza di Podemos, diversamente dai suoi partner di coalizione, tra i quali il Partito Comunista, in Unidos Podemos. Mentre cresce la disobbedienza civile in Catalogna, questi proposte possono smettere di apparire pericolosamente radicali e potrebbero diventare un’alternativa moderata al nazionalismo in espansione in Spagna e in Catalogna.

“La CUP non è interessata a prendere il potere, ma piuttosto a organizzare la resistenza. Questo è OK, ma Podemos vuole governare al fine di concedere alla Catalogna il diritto di decidere”, ha detto Monedero che è stato il cervello dei tentativi di Podemos in anni recenti di replicare il successo della sinistra latinoamericana. Podemos e la Dichiarazione di Saragozza sollecitano il movimento per l’indipendenza catalana a cercare alleati e a lottare per il diritto di decidere nel resto della Spagna.

La presenza sorprendente a Saragozza di Esquerra Republicana, l’altro partito di sinistra filo-indipendentista della Catalogna, probabilmente oggi il partito più popolare della regione, suggerisce che ciò può essere possibile. Il presidente catalano Carles Puigdemont, del conservatore Partito Democratico Catalano Europeo  (PdeCAT, già Convergència) ha appoggiato una dichiarazione unilaterale d’indipendenza, o UDI, immediatamente dopo gli eventi di domenica scorsa, indubbiamente consapevole che Madrid scioglierebbe allora tutte le istituzioni autonome catalane e in tal mondo innescando ancor più furia nelle piazze, che egli considera la sola arma da brandire contro l’intransigente stato spagnolo. Ma la fuga dalla Catalogna di CaixaBank e del Banco Sabadell, che hanno trasferito le loro direzioni, rispettivamente, a Valencia e Alicante, assieme alla partenza di altre imprese con sede a Barcellona, possono avergli fatto cambiare idea. Puigdemont, dopotutto, assieme all’ex presidente Artur Mas, era solito rappresentare l’ala più filo-imprenditoriale del movimento per l’indipendenza.

Dunque come possono andare le cose da qui? Quasi certamente verso ulteriori disordini sociali e una maggiore presenza poliziesca spagnola in Catalogna. La reputazione dei catalani di un pragmatico seny (equilibrio mentale) può ora cedere il passo, dopo anni di frustrazione per l’intransigenza del PP, a una seconda caratteristica psicologica ritenuta nazionale, che emerge periodicamente nella storia a Barcellona: la rauxa (rabbia). Che ci sia l’UDI o no, il risultato probabile saranno nuove elezioni in Catalogna.

Questa potrebbe essere la prima opportunità della Dichiarazione di Saragozza. Ada Colau, al momento la leader politica di sinistra più abile della Spagna, e forse dell’Europa, può essere in grado di costruire una riuscita campagna incentrata sulla dichiarazione e sulla necessità di forgiare alleanze politiche tra i separatisti e la sinistra guidata da Podemos per guadagnare potere in Spagna nel suo complesso e per ottenere il diritto di decidere. L’Esquerra Republicana separatista di Junqueras potrebbe concepibilmente entrare nel governo in Catalogna con il gruppo della Colau se s’impegnasse a mantenere la campagna di disobbedienza civile e di protesta a sostegno di un referendum.

Ma la vera battaglia per la Catalogna sarà condotta alle prossime elezioni spagnole. Rajoy non ha una maggioranza generale e dipende per sostegno dai CIudadanos di centrodestra (fieramente contrari a un referendum catalano) dai nazionalisti baschi. Se i baschi sceglieranno di far cadere il governo Rajoy saranno fissati gli schieramenti per un’elezione che – più che in qualsiasi altro momento dagli anni ’70 dopo la morte di Franco – determineranno il futuro della Spagna.

Da un lato la destra a guida PP, con Ciudadanos fermamente al suo fianco, difenderà il primato della legge e il continuo assoggettamento della ribellione separatista catalana. Dall’altra i partiti di Saragozza, guidati da Podemos, si impegneranno a difendere la democrazia mediante riforme costituzionali radicali – forse persino la fine della monarchia, che è sempre meno popolare tra i giovani spagnoli – e un referendum catalano. I socialisti oscilleranno inefficacemente tra i due. Purtroppo la probabilità è che prevarrà la carta nazionalista spagnola del PP. Ma solo “gli Altri”, uniti a Saragozza, offrono una soluzione.

Andy Robinson è un giornalista del quotidiano barcellonese La Vanguardia. Ora in missione in America Latina, è autore del libro ‘Un Reportero en la Montaña Màgica’, su Davos e la disuguaglianza.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/can-podemos-save-spanish-democracy/

Originale: The Nation

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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