“Facebook ti ruba i dati”, per gli adulti di questo tempo, è un pò l’equivalente di quel “La CIA ti spia” con cui è cresciuto chi oggi ha i capelli bianchi. Durante la guerra fredda, infatti, quando l’influenza americana in Italia era elevatissima a causa del piano Marshall e la sudditanza del nostro Paese, a partire da quella della classe politica, verso gli Stati Uniti pressochè totale, ci si ricordava l’un l’altro come la potente agenzia di intelligence a stelle e strisce fosse impegnata a osservare, non con disinteresse, tutte le più disparate sfaccettature della nostra società. Oggi, durante una fase geopolitica in cui non sono pochi a ricordare il tempo della cortina di ferro – e magari saranno ancor di più dopo che lo zar Putin ha nuovamente passeggiato alle ultime elezioni russe, ponendosi a tutti gli effetti come figura omologa di Trump, in uno scacchiere mondiale che, anche a 70 e oltre anni dal termine del secondo conflitto mondiale, ha ancora le stesse pedine predominanti – il ruolo della CIA del dopoguerra lo ha preso il social network per antonomasia, la grande F creata 14 anni fa da uno studente di Harvard che desiderava un modo rapido e diretto per approcciare le ragazze del campus.

Non credo che qualcuno abbia mai dato troppo peso a questa ammonizione, soprattutto tra i soddisfatti utenti di Facebook, quelli per i quali la foto della cena e la condivisione del look per la serata sono ormai diventati un rito, una routine quotidiana. Anche qualcuno di questi internauti si starà però forse preoccupando, in questi giorni nei quali è esplosa la bomba Cambridge Analytica. Del caso stanno parlando tutti i tg ma forse non è ancora ben chiaro a tutti quel che sta avvenendo. Probabilmente tutti abbiamo saputo che la società di marketing online ha utilizzato una quantità di dati enorme ricavata dalle server farm della piattaforma social senza preoccuparsi minimamente delle sue condizioni d’uso (quell’enorme pagina che nessuno di noi ha letto al momento dell’iscrizione a Facebook) già non particolarmente restrittive in termine di dati personali, così come probabilmente a molti di noi importa piuttosto poco di ciò, dal momento che i nostri dati non sono valuta sonante, non sono neppure nulla che possiamo tenere in mano per quantificarne il valore, per cui non opponiamo alcuna resistenza al loro utilizzo da parte di terzi. In sostanza potremmo facilmente dire di essere stati ben più presi da altre notizie: come sarà composto il prossimo governo italiano, quando si risolverà la crisi siriana, Kim denuclearizzerà davvero la Corea del Nord, che ne sarà della nazionale di calcio rimasta fuori dal mondiale russo… e di aver, più o meno intenzionalmente, messo in secondo piano la vicenda legata a Facebook. Vediamo allora di capirne un pò di più.

La controversa società Cambridge Analytica, vicina alla destra statunitense il cui vicepresidente è stato quello Steve Bannon famoso, forse più che come ex stratega di Trump, per essere stato a capo di Breitbart News, un sito di notizie di destra autodefinitosi “alternativo” ma che potremmo definire, senza troppe remore, controinformativo, avrebbe raccolto grandi quantità di dati personali utilizzati su FB (dai nostri recapiti alle foto a cui mettiamo il pollice alzato), analizzandoli per costruire sulla loro base campagne pubblicitarie personalizzate, sfruttando interessi ed emozioni di ogni singolo utente. Questo modus operandi è comune all’interezza delle agenzie di marketing online, uno dei settori più remunerativi, al giorno d’oggi, per quale motivo allora questo avvenimento fa scalpore? Cambridge Analytica è, come riportano due recenti inchieste di Guardian e New York Times, finanziata da persone vicine alla destra statunitense di Trump ed è sospettata di avere contatti con la Russia, Paese accusato, come ricorderete, di aver interferito nelle elezioni USA del 2016 per via informatica. Questa società ha dunque svolto un ruolo attivo nella campagna elettorale del tycoon che oggi siede alla Casa Bianca? E’ stata davvero un importante alfiere nel convincere il popolo britannico a dire si alla Brexit? Al momento prove a favore di queste due argomentazioni non ve ne sono, o meglio, la stampa non ne è a conoscenza. Quel che però è ormai di pubblico dominio è che la società ha ottenuto, qualche anno fa, le informazioni del profilo di circa 50 milioni di utenti FB, in chiara contrapposizione con la norma – sottoscritta da ogni proprietario di almeno un account sul social bianco e blu – che recita come Facebook non cederà mai dati personali a società terze. Non appena la notizia trapelò, i legali della piattaforma sociale, chiesero alla Cambridge di distruggere ogni dato, ma nessuno sa se poi ciò avvenne.

Se dunque sapevamo già da tempo che vi era dell’oscuro nei rapporti tra il network e la società di marketing, a cosa si deve che il polverone si sia sollevato solo ora? Principalmente al fatto che un ex collaboratore della Cambridge ha testimoniato, nel Regno Unito, facendo trapelare nuovi dettagli sul probabilmente illecito scambio di informazioni personali tra le due aziende, portando nuovo interesse sul tema e stimolando reazioni nette da parte della politica e della magistratura dei paesi anglosassoni. I procuratori generali degli stati di New York e del Massachusetts hanno avviato un’indagine congiunta sull’argomento, chiedendo a Facebook di chiarire se i propri utenti fossero a conoscenza dell’utilizzo che l’azienda faceva dei loro dati e come si comportò quando emerse il problema del trasferimento dei dati dai database di FB a quelli della Cambridge. L’indagine dovrà chiarire anche il modo in cui la società di marketing abbia gestito questi dati. Il CEO di Facebook è stato invitato a comparire di fronte ad una delle commissioni interne del parlamento britannico per spiegare in maniera esaustiva come la sua società tratti i dati personali degli utenti, dal momento che a Londra temono siano stati sottovalutati i rischi legati ad una scorretta gestione delle informazioni personali. Contemporaneamente anche l’agenzia federale per la regolamentazione delle telecomunicazioni negli Stati Uniti (FTC) ha avviato una propria indagine per capire se Facebook abbia violato le leggi sulla privacy, nel cedere alla Cambridge le informazioni sui dati personali.

Mentre da più parti si preme perché Facebook faccia chiarezza, l’andamento delle azioni in borsa dell’azienda spiega bene le difficoltà del momento. Il valore di mercato della multinazionale social si è infatti ridotto di circa 50 miliardi di dollari. Martedì è andata in scena una sessione di domande e risposte internamente a Facebook, ma i dipendenti dell’azienda, i quali dovevano uscire dal meeting aggiornati e rassicurati, non sono rimasti troppo soddisfatti dall’incontro, che è stato gestito da un avvocato e non ha visto la presenza di alcun manager di alto livello.

In attesa che qualche figura di spicco di FB parli e che le indagini facciano il loro corso, sono ben poche le garanzie su cui l’utente del social può contare. Forse il caso Cambridge Analytica ha scoperchiato un Vaso di Pandora e creato un precedente per il quale saremo più sicuri in futuro, ogni qualvolta ci iscriveremo ad un servizio online inserendo i nostri dati per autenticarci o forse, com’è ahinoi ben più probabile, avverranno o stanno già avvenendo altre decine di casi Cambridge, altri furti della nostra identità digitale e altri sfruttamenti dei nostri gusti e delle nostre opinioni. Internet e la sua velocità ci collegano con il mondo, ma collegano anche il mondo con noi, mettendo i nostri dati alla mercè di chiunque ci sappia fare dietro ad una tastiera.

Di Mattia Mezzetti

Mattia Mezzetti. Nato nel 1991 a Fano, scrive per capire e far capire cosa avviene nel mondo. Crede che l’attualità vada letta con un punto di vista oggettivo, estraneo alle logiche partitiche o di categoria che stanno avvelenando la società di oggi. Convinto che l’unica informazione valida sia un’informazione libera, ha aperto un blog per diffonderla chiamato semplicemente Il Blog: http://ilblogmm.blogspot.it.

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