Matteo Salvini e Luigi Di Maio
Matteo Salvini e Luigi Di Maio

di Aldo Giannuli

Il risultato delle elezioni regionali in Friuli di domenica scorsa (esattamente come quello del Molise di 7 giorni prima) è di quelli che non ammettono interpretazioni o discussioni; in claris non fit interpretatio: il centro destra avanza seccamente, il Pd ha risultati alterni ma sostanzialmente regge, il M5s straperde.

 

D’accordo: il M5s alle elezioni amministrative va sempre male rispetto alle politiche, pesano fattori locali, Fedriga era un candidato molto forte e difficile da battere o almeno frenare, vice versa il candidato del M5s era il più infelice che si potesse trovare, tutto quello che volete, ma quando un partito perde a precipizio in due regioni distanti fra loro e diversissime, 2 elettori su tre, il tutto a meno di due mesi da elezioni che hanno segnato un successo clamoroso, c’è poco da fare: è il segno che l’elettorato non è contento di come è stato amministrato il suo consenso e sta iniziando a ritirare il suo mandato.

 

È una bocciatura impietosa del come è stata gestita la crisi di governo. Forse non nella misura del 15-17% come accaduto in queste regioni, forse, in caso di elezioni politiche la flessione sarebbe più misericordiosa, diciamo il 4-5%, comunque quanto basta a riportare il M5s sotto l’asticella del 30% e ad archiviare definitivamente il sogno di un governo 5 stelle.

 

Di Maio (la persona più negata per la politica fra quelle che in questi 50 anni ho avuto modo di osservare fra quelle del palcoscenico politico) come sempre non ha capito niente e reagisce di conseguenza, chiedendo elezioni a giugno senza accorgersi che, tecnicamente la finestra di giugno si è già chiusa.

 

In teoria la linea di confine sarebbe stata il 9 maggio, ma, per il combinato disposto sul voto degli italiani all’estero, è scattata 15 giorni prima, il 24 aprile scorso (mentre lui si baloccava con l’inutile Martina). Il che ha una serie di conseguenze di non poco conto. In primo luogo il 10 giugno si voterà in circa 700 comuni, fra cui diversi capoluoghi di provincia e, se la tendenza al calo proseguirà, come tutto fa pensare, il M5s non parteciperà ai ballottaggi di molti di questi centri, cedendo la seconda posizione al Pd che avrà una sua parziale resurrezione. Peraltro, una nuova batosta avrebbe effetti psicologici non trascurabili su elettori ed attivisti. Poi, l’inevitabile rinvio delle elezioni all’autunno, apre scenari uno peggiore dell’altro per il M5s.

 

Essenzialmente si tratta di due strade. La prima. Più classica, è quella di un governo del Presidente, incaricato di restare in carica sino a fine anno per fare la legge finanziaria ed affrontare le scadenze internazionali. A questo punto il cerino è in mano a Lega e M5s che, avendo la maggioranza assoluta dei seggi, possono bocciare il governo e questo porterebbe alle elezioni d’autunno, ma, intanto il governo resterebbe in carica per gli affari correnti, ma per modo di dire, perché intanto parteciperebbe al vertice europeo di giugno, ed alle altre scadenze internazionali e, peraltro, potrebbe anche fare la finanziaria, lasciando ai partiti la scelta se bocciarla e passare all’esercizio provvisorio con tutto quel che ne consegue. Una cosa che potrebbe far arrabbiare molti elettori.

 

Una possibilità potrebbe essere quella di una astensione della Lega, anche per non rompere con Forza Italia. Insomma, visto che di votare non se ne parla sino a ottobre, si potrebbe anche far vivere una sorta di governo provvisorio.

 

La seconda strada è forse simile per certi versi: il centro destra chiede (e dati i risultati delle regionali ne avrebbe anche qualche ragione) l’incarico per un governo che va a cercare i voti in Parlamento. Qui la variabile è quella dei bonifici che potrebbero partire o forse di qualche soccorso coperto di sponda renziana (magari basterebbe il prestito di una ventina di deputati ed una dozzina di senatori: mica si possono controllare tutti!). È dificcile, nonostante tutto che si trovino i 50 deputati ed i 30 senatori necessari, però, anche se questo non fosse possibile, alla fine il governo di centro destra resterebbe in carica sino all’autunno preparando la campagna elettorale.

 

Già questi due scenari credo che bastino a rovinare il sonno di Di Maio e dei suoi amici, ma c’è di peggio. Con un facile colpo di mano, Pd e centro destra potrebbero modificare la legge elettorale introducendo il premio di maggioranza ma per la coalizione. E il M5s sarebbe tecnicamente fritto. Anzi, se la tendenza al calo dovesse continuare ed il Pd riuscisse a mettere insieme una coalizione un po’ più seria di quella con cui si è presentato il 4 marzo, il rischio per il M5s potrebbe essere quello di cedere la seconda posizione e retrocedere al terzo posto. Belle prospettive direi!

 

Per di più, il M5s si troverebbe nella condizione di andare alle elezioni con un leader gravemente logorato e senza nessuna credibilità sul piano programmatico: riparlare di abolizione della legge Fornero, di reddito di cittadinanza e di lotta alla corruzione dopo che, nei vari giri di valzer con Pd e Lega si sono lasciati cadere uno dopo l’altro? E chi ti crede più?

Peccato: il M5s non merita questa fine, ma, soprattutto non merita una leadership come questa.

 

Link articolo: M5s, Lega e la lezione del Friuli

http://megachip.globalist.it/politica-e-beni-comuni/articolo/2018/05/01/m5s-lega-e-la-lezione-del-friuli-2023550.html

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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