Spesso si sente paragonare il conflitto siriano con la guerra in Afghanistan, mentre l’Afghanistan è spesso ricordato insieme all’aggressione di Washington contro il Vietnam. Nella seconda metà del XX secolo, Washington si è profondamente impantanata in Vietnam solo per affrontare una incalzante sconfitta. Lo stesso destino, sembrerebbe, attende le élite occidentali in Afghanistan. A quanto risulta, c’è una ragione molto particolare per cui l’Afganistan è spesso descritto come il “cimitero degli imperi”.

Secondo la missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afganistan (UNAMA), per il quarto anno consecutivo l’Afghanistan ha perso 10.000 civili, con persone uccise e mutilate nel conflitto in corso. Tra le principali ragioni di questo bilancio delle vittime, l’UNAMA elenca i continui attacchi aerei effettuati da Washington contro le zone residenziali.

Anche quest’anno il numero di vittime civili supererà i 10.000. Questa conclusione si può trarre dall’annuncio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, fatto l’anno scorso, sul fatto che il Pentagono avrebbe adottato un approccio diverso all’Afghanistan. L’essenza di questo approccio è semplice: la linea di condotta di Washington perseguirà gli stessi obiettivi con gli stessi metodi, ma questa volta sarà molto più spietata. L’amministrazione di Trump non solo non è riuscita a soddisfare le promesse pre-elettorali di Trump sul ritiro delle truppe statunitensi dal paese devastato dalla guerra, ma ha scelto di schierare altri 14.000 militari.

Non si può negare che l’America abbia pagato a caro prezzo la sua aggressione militare contro l’Afghanistan. I contribuenti americani hanno buttato via oltre 74 miliardi di dollari solo per l’addestramento delle forze di sicurezza afgane negli ultimi 17 anni. A peggiorare le cose, basta ricordare che lo spiegamento di un singolo soldato americano in Afghanistan supera il costo di 1 milione di dollari all’anno. Ciò comporta costi di guerra che arrivano ben oltre i 20 miliardi di dollari all’anno per Washington, afferma Michael O’Hanlon, membro senior in Politica Estera presso la Brookings Institution. Ciò equivale al doppio del budget annuale dell’intero Dipartimento per il Mantenimento della Pace delle Nazioni Unite. In totale, secondo gli analisti indipendenti dell’ispettore generale speciale per la ricostruzione dell’Afghanistan (SIGAR), Washington ha sprecato ben oltre un trilione di dollari per la sua avventura militare in Afghanistan…

Va anche sottolineato che la produzione di oppio in Afghanistan è in forte aumento, nonostante tutti gli sforzi che Washington ha, presumibilmente, messo in atto per porvi fine. I campi di papaveri possono essere facilmente trovati in quasi ogni angolo del paese. Nel 2017, la produzione di oppio, secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC), è aumentata dell’87%, arrivando a 9.000 tonnellate dalle 4.800 tonnellate del 2016.

Questo è il motivo per cui molte persone continuano a mettere in discussione le vere intenzioni di Washington dietro la sua presenza militare in corso in Afganistan, insieme alla totale mancanza di trasparenza e interesse verso le preoccupazioni che altri Stati hanno riguardo al futuro dell’Afganistan. Questi fattori hanno già inferto un duro colpo all’influenza che Washington aveva precedentemente esercitato nella regione.

Si può ricordare che lo scorso febbraio il Pentagono aveva annunciato che sconfiggendo l’ISIS in Iraq stava progettando di ridistribuire le proprie truppe in Afghanistan. Allo stesso tempo, il capo del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell’Iran, Mohammad Bagheri, ha collegato un brusco aumento del numero di attacchi terroristici in Afghanistan con il graduale trasferimento, avviato da Washington, di militanti radicali in questo stato. Inoltre, il mese scorso, si è saputo che il Segretario alla Difesa americano, James Mattis, fece una visita a sorpresa a Kabul. Fu allora che Washington annunciò che la NATO avrebbe portato rinforzi in Afghanistan, mentre Trump annunciò le sue intenzioni di spendere circa 5 miliardi di dollari in più per l’Afganistan solo quest’anno.

Questi fatti dimostrano che Washington non riesce a fare i conti con l’evidenza che non esiste una soluzione militare al conflitto afgano, dal momento che non c’è sconfitta delle forze talebane sul loro territorio. I continui tentativi di Washington negli ultimi 17 anni servono come testimonianza di questo fatto. Tuttavia, gli Stati Uniti non stanno progettando di ridurre la propria presenza, né di cambiare la natura di quella presenza. Negli ultimi anni, le linee di rifornimento militari che i soldati della NATO dispiegati in Afghanistan hanno fatto valere erano principalmente la cosiddetta Linea Durand direttamente dai porti del Pakistan all’Afghanistan. Tuttavia, l’affidabilità di questa rotta potrebbe essere compromessa a causa delle recenti crescenti tensioni [in inglese] tra Washington e Islamabad.

Se Washington non si fosse immersa in una nuova guerra fredda contro la Russia, il Pentagono avrebbe avuto la possibilità di sfruttare la via di transito utilizzata nei primi anni 2000, attraverso la Russia e un certo numero di repubbliche dell’Asia centrale. Tuttavia, per ora, non c’è quasi nessuna possibilità che Mosca accetti questo, dato che il Cremlino non vuole mettere a rischio i suoi rapporti con Islamabad e Washington è desiderosa di addossare la colpa a Mosca per il suo fallimento in Afghanistan. Anche il corridoio iraniano su cui Washington faceva affidamento non sembra praticabile, poiché le relazioni tra Teheran e Washington hanno recentemente toccato un nuovo minimo.

In questa situazione, l’unica alternativa per il Pentagono è il corridoio Azerbaigian-Kazakistan-Uzbekistan-Afghanistan. Il desiderio di creare una cosiddetta rotta di approvvigionamento settentrionale ha costretto Washington ad intensificare gli sforzi diplomatici in Kazakistan e Uzbekistan. Tuttavia, se quest’ultimo dimostra la sua buona volontà nei confronti dei piani di Washington, il primo è riluttante a mettere a rischio le sue relazioni con la Russia. Com’era prevedibile, ciò ha portato Washington ad annunciare nuove sanzioni contro il Kazakistan che mirano a persuadere Astana a cambiare idea, con le banche statunitensi che annunciano il congelamento di ben oltre 22 miliardi di dollari del Fondo Nazionale del Kazakistan.

Nel tentativo di preservare la visione di Sir Halford John Mackinder, Washington è determinata a mantenere l’Afghanistan una ostile minaccia per la sicurezza sia della Russia che della Cina, non importa quale. E il fatto che sia Mosca che Pechino stiano facilitando i processi di pace in Afghanistan può mettere seriamente a repentaglio il piano di Washington di protrarre indefinitamente lo spargimento di sangue nella regione.

Questo è esattamente il motivo per cui Washington ha costituito la partnership per lo sviluppo e la cooperazione nell’Asia centrale, che è stata progettata per facilitare i contatti con gli attori regionali, escludendo Russia, Cina e Iran. Gli esperti ritengono che tale unione possa assicurare agli Stati Uniti una presenza continua in Asia centrale per molti anni a venire, e possa favorire il successivo sviluppo della regione dell’Asia centrale secondo i suoi piani. L’Afghanistan, in questo caso, può essere utilizzato come trampolino di lancio, con il proprio sistema di depositi, campi di aviazione e basi militari sul campo da anni.

Così, stabilendo una rete di basi militari in Afghanistan, gli Stati Uniti potrebbero mettere a rischio la Russia, la Cina e le frontiere iraniane, conducendo operazioni militari fuori dall’Afghanistan attraverso l’uso di truppe addestrate localmente. È possibile che presto l’Iran possa diventare il primo a mettere alla prova la prontezza di quelle truppe in prima persona.

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Articolo di Martin Berger apparso su New Eastern Outlook il 20 aprile 2018
Traduzione in italiano di Cinzia Palmacci per SakerItalia

[le note in questo formato sono del traduttore]

http://sakeritalia.it/asia-centrale/afghanistan/lafghanistan-ha-un-futuro/