Alcuni giorni fa il presidente di una grande regione italiana, spiegando di fronte al consiglio le difficoltà che ha incontrato nella quadratura del bilancio, ha detto che se non ci fossero stati i disabili gravissimi, la regione avrebbe potuto disporre di qualche decina di milioni in più da destinare ad altri capitoli dove sono stati fatti dei tagli. Una frase sfortunata? Probabilmente sì, e immagino che oggi quel presidente farebbe più attenzione. A quella frase sono seguite alcune reazioni, specialmente delle associazioni delle famiglie di persone disabili, ma più per dire che quella cifra è probabilmente sovrastimata, visto che pare non siano così tante le risorse destinate ai gravissimi ogni anno.

Quando abbiamo sentito la notizia, Zaira mi ha ricordato uno spettacolo che abbiamo visto in televisione, Ausmerzen. Vite indegne di essere vissute, di Marco Paolini; vi consiglio di vederlo o rivederlo.

Paolini, nel suo caratteristico modo di fare teatro, racconta di un aspetto molto meno conosciuto della politica della Germania nazista, ossia della sterilizzazione e poi dell’uccisione, eseguite in maniera sistematica, delle persone che per qualche motivo, fisico o psichico, non erano ritenute normali. L’aspetto interessante è che questa campagna inizia poche settimane dopo che Hitler prende il potere, quindi ben prima che vengano organizzati i campi contro ebrei, zingari, omosessuali, comunisti, e continua per alcuni mesi dopo la fine del regime, perché questa campagna eugenetica non era affidata ai militari, ma ai medici, veniva condotta non nei campi di concentramento, ma negli ospedali psichiatrici, e quindi, come altre attività amministrative non venne sospesa. Solo alcune settimane dopo la fine del conflitto i comandanti delle truppe alleate si resero conto di cosa avveniva in quei manicomi e sospesero le uccisioni, tra l’incredulità dei medici e delle infermiere, che non pensavano di far parte della cosiddetta “soluzione finale”, ma semplicemente di fare il proprio lavoro, cosa che continuarono a fare, caduto il regime, come i medici e le infermiere degli ospedali dei “sani”. Furono trecentomila le persone uccise durante Aktion T4, come era chiamata questa campagna nel linguaggio amministrativo della burocrazia tedesca.

Soprattutto l’autore spiega come eliminare queste persone fosse considerato da tanti una cosa normale. Il paese era uscito prostrato dalla prima guerra mondiale, quasi due milioni e mezzo di persone “sane” erano rimaste uccise nei combattimenti, milioni di famiglie conoscevano la disperazione della povertà e della fame: era per tanti incomprensibile che la collettività dovesse gravarsi dell’onere di mantenere i pazzi, i malati, i disabili, quelli che erano solo un costo per la società. Paolini ci spiega con una chiarezza crudele che non è stato il nazismo a diffondere queste idee, ma sono state queste idee a far nascere il nazismo.

Per questo le parole di Nello Musumeci sono così gravi, per questo è ancora più grave che contro queste parole non ci sia stata una reazione, perché per tanti “normali”, per tanti che si barcamenano tra un lavoro precario e un altro, che sopravvivono grazie alla pensione dei genitori, risulta incomprensibile che tante risorse siano destinate a qualcuno per cui si può anche provare pietà, ma che non ha alcuna possibilità di farcela. La storia della Germania e dell’Europa uscita dalla prima guerra mondiale ci racconta che per uno che è disperato è facile credere che il responsabile della propria condizione sia qualcun altro – un malato, uno straniero, un diverso – uno che riceve quello di cui lui avrebbe bisogno; e che può diventare capace di tutto pur di non dividere il poco che riceve con quest’altro. Le parole incaute di quel politico sono la spia di un’angoscia che c’è nella nostra società e che si può trasformare nel peggiore dei nostri incubi.

 

 

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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