Di Razan Azzarkani

 

Il 14 maggio,  Ivanka Trump, Jared Kushner, e il Segretario al Tesoro Steve Mnuchin

Hanno sorriso per le fotografie davanti alla nuova ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Grande giornata per Israele” scriveva Trump in un tweet. “Congratulazioni!”

Nel frattempo, soltanto a poche miglia di distanza, a Gaza, Yazan Ibraheem Mohammed Al-Tubassi giaceva morente dopo essere stato ripetutamente colpito dai soldati israeliani durante le proteste al presso la barriere al confine di Gaza. In un altro luogo,  i parenti di Taher Ahmed Madi – un’altra vittima della sparatoria – trasportavano a casa dall’ospedale il suo corpo, per preparare il funerale.

Non ci sono parole che possono descrivere la rabbia e l’angoscia che provo in quanto palestinese che vive in America, a vedere questi eventi.

Lungo la recinzione di Gaza, le truppe israeliane hanno colpito migliaia di dimostranti palestinesi disarmati, uccidendone 60 e ferendone oltre 2.700.

Le proteste non riguardavano il trasferimento dell’ambasciata degli Stati Uniti. Erano iniziate varie settimane prima per ricordare l’anniversario della Nakba, o “catastrofe”, cioè l’esodo in massa e la pulizia etnica di centinaia di migliaia di palestinesi fin dalla fondazione di Israele nel 1948.

Ogni anno, mentre gli Israeliani festeggiano la creazione del loro stato, milioni di palestinesi piangono la fine della loro esistenza di un tempo.

Per l’amministrazione Trump, scegliere questo giorno per il trasferimento    dell’ambasciata, mentre i Palestinesi venivano uccisi soltanto a 90 km. di distanza, è orribilmente crudele. Gli Stati Uniti hanno dimostrato che non sono soltanto indifferenti verso il trattamento che fa Israele dei Palestinesi, ma hanno dato proprio il via libera alla violenza delle scorse settimane.

Nel 1948, i miei nonni, le cui famiglie avevano vissuto in Palestina da centinaia di anni, sono stati costretti a lasciare l’unica patria che avevano mai conosciuto. Praticamente di notte, sono stati trasformati in profughi e costretti a fare un viaggio a piedi  di quasi 320 km.  verso il fiume Giordano.

Lasciandosi dietro i loro averi, la famiglia e i ricordi, si stabilirono in Giordania, sperando che la comunità internazionale, un giorno li avrebbe aiutati a tornare nelle loro case.

I miei nonni, che non hanno mai smesso di parlare della loro vita in Palestina, non l’hanno mai più rivista. Sono morti in Giordania, lasciando la chiave della loro casa in Palestina alla mia famiglia. Ce la abbiamo ancora, come ricordo delle nostre radici, e della violenza che la mai famiglia e molte altre hanno sofferto in Israele.

Tuttavia mi ricordo che i miei nonni sono stati fortunati a esserne usciti vivi. I milioni che sono statti costretti ad andare a Gaza, non possono dire lo stesso. Non sono liberi di andare e venire quando vogliono, ma restano rinchiusi nella più grande prigione a cielo aperto del mondo – uccisi se soltanto si avvicinano alla “barriera di confine”  con Israele.

All’interno sopportano condizioni inimmaginabili.

 

Soltanto il 10% dei Gazani ha accesso all’acqua potabile, quasi metà della popolazione è disoccupata, e oltre il 70% vive in povertà. Hanno soltanto poche ore di elettricità al giorno; non parliamo degli effetti psicologici di vivere sotto assedio, e la paura quotidiana degli attacchi da Israele.

Adesso, i politici in tutti gli Stati Uniti esprimono il loro appoggio alla    dell’ambasciata, mentre altri paesi annunciano la loro decisione di imitare l’America.

E’ esasperante vedere la mia patria condonare attivamente una violenza brutale contro il mio popolo mentre altri paesi si rilassano e stanno a guardare. Come possono mai i Palestinesi avere fiducia in un “processo di pace” guidato da un’amministrazione che li umilia in questo modo?

Continuo a sentire persone che dicono che è necessario che i Gazani “protestino pacificamente” mentre i cecchini israeliani li uccidono metodicamente. Sono state date loro due scelte: o soffrire un trattamento disumano o farsi uccidere protestando. Non c’è   molta scelta.

Nessuno accetterebbe passivamente una vita come questa. Perché dovrebbero farlo i Gazani?

Nella foto: Rifugiati palestinesi lasciano la Galilea nell’ottobre-novembre 1948

Razan Azzarkani is a Palestinian American che vive  in Virginia  e lavora al Center for Global Policy. Distribuito da  OtherWords.org.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/americas-treatment-of-palestinians

Originale : Other Words.org

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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