Ambrose Evans Pritchard sul Telegraph commenta in un suo articolo del 28 maggio il veto del Presidente Mattarella alla nomina a Ministro dell’economia del professor Paolo Savona con la considerazione che quest’atto rischia di diventare uno “straordinario precedente”.
Opponendosi infatti alla nomina di Paolo Savona a Ministro dell’economia con l’argomento che la sua posizione critica sull’euro “potrebbe provocare l’uscita dell’Italia dall’unione monetaria e innescare una crisi finanziaria”, si pone il precedente in base al quale la strada del governo è sbarrata per qualsiasi movimento politico o coalizione di partiti che osi mettere in discussione l’ortodossia dell’unione monetaria.
Una mossa che in realtà, osserva Pritchard, invece di porre un argine alla crisi rischia di peggiorare infinitamente la situazione, sotto diversi punti di vista.
Da un lato perché inquadra gli eventi come una battaglia frontale tra il popolo italiano, che a maggioranza ha votato a favore dei ribelli 5 Stelle-Lega, e “un’eterna ‘casta’ fedele allo straniero” come la definisce Pritchard. Il concetto che appare in tutta evidenza è espresso citando le parole di Claudio Borghi della Lega:
“Ormai è chiaro che si tratta di una scelta tra la democrazia e uno spread rassicurante sui mercati. Dobbiamo giurare fedeltà al dio euro per poter avere una vita politica in Italia. È peggio di una religione.”
Inoltre, per giustificare il suo veto nei confronti dell’euroscetticismo, il Presidente ha incautamente evocato lo spettro dei mercati finanziari, ma il risultato è stato quello di aver messo gli investitori davanti alle implicazioni davvero spaventose di questa crisi istituzionale, che Pritchard definisce come una ” ‘convulsione costituzionale’: una crisi continua che durerà per tutta l’estate e che potrà concludersi solo con nuove elezioni, che peraltro non risolveranno nulla”. Il risultato è che lo spread sulle obbligazioni italiane a 10 anni, dopo una lieve flessione ha poi ricominciato a crescere e che i titoli bancari in borsa stanno crollando più forte di prima.
Pritchard osserva come questa mossa del Presidente si collochi in una sorta di “zona grigia” dei poteri presidenziali: il Presidente Mattarella si è appellato alla violazione dell’art. 81 della Costituzione italiana che, come riformato nel 2012, prevede il pareggio di bilancio, e al suo dovere di garantire gli impegni presi dall’Italia nel contesto internazionale. A prescindere dalle considerazioni se questo possa effettivamente qualificarsi come un “colpo di stato soft“, Pritchard ricorda che l’elezione del Presidente Mattarella è stato il frutto di un compromesso tra le forze politiche allora in Parlamento su una figura di basso profilo, che certamente non ha l’autorevolezza per “bloccare l’Italia nell’euro in eterno“.
E comunque c’era da aspettarselo, dato che già nel 2011 il governo Berlusconi era stato rovesciato da Bruxelles e dalla Banca centrale europea (se ne parlava qui, nel vecchio blog) e persone informate sui fatti avevano fatto trapelare che lo spread sui bond era stato manipolato per esercitare la massima pressione sul governo italiano.
Ora, tuttavia, la situazione è stata spinta a un’impasse molto pericolosa. Savona non è certo una testa calda, ex funzionario della Banca d’Italia, ex ministro della Repubblica italiana ed ex direttore generale di Confindustria, con toni abbastanza concilianti ha affermato che il suo reale obiettivo è di riportare l’eurozona a una situazione di maggior equilibrio ed equità, con degli argomenti anche giuridicamente impeccabili basati sui Trattati europei; per cui l’establishment avrebbe anche potuto cercare di ammorbidire le sue posizioni senza giungere a uno scontro frontale molto deleterio per il paese e dagli esiti incerti.
Queste le considerazioni conclusive dell’articolo:
“Con un po’ più di finezza, i ‘poteri forti’ e i mandarini italiani avrebbero potuto collaborare con Savona e trovare un modo per ammorbidire l’ordine del giorno della coalizione Lega-Grillini. Il loro istinto li portava in questa direzione. La spinta ad estrometterlo del tutto – e così cercare di soffocare sul nascere la ribellione euroscettica, come è stato fatto con Syriza in Grecia – è arrivata da Berlino, da Bruxelles, e dalla struttura di potere dell’UE. Solo il tempo ci dirà se sono cascati in una trappola da loro stessi congegnata.
Il calcolo degli ambienti intorno al presidente è che gli italiani, posti di fronte all’abisso finanziario e politico, cambieranno idea e rinunceranno alla rivolta. La scommessa è che l’attrito politico che si creerà da qui alle nuove elezioni, previste a ottobre, potrà ridisegnare il paesaggio politico italiano. Può anche riuscire, ma è un’ipotesi densa di rischi.
Dalle ultime elezioni a oggi, la Lega di Matteo Salvini ha già guadagnato otto punti nei sondaggi. Come Gabriele d’Annunzio a Fiume nel 1919, la Lega ha capitalizzato consenso sugli umori nazionalisti scatenati dagli ultimi eventi. ‘Non saremo mai servi e schiavi dell’Europa’, ha detto Salvini, e ha già proclamato che il prossimo voto sarà un plebiscito sulla sovranità italiana e un atto di resistenza nazionale contro ‘Merkel, Macron e mercati finanziari’.
Ma c’è un altro pericolo. La fuga di capitali ha una sua logica implacabile. La si può notare nell’apprezzamento del franco svizzero. Esiste il rischio che i flussi in uscita accelerino e spingano gli squilibri interni al sistema di pagamenti interbancari Target2 della Banca centrale europea verso il punto di rottura.
I crediti Target2 della Bundesbank tedesca sono già a 923 miliardi di euro. È probabile che arriveranno a 1 trilione di euro in breve tempo, provocando da parte di Berlino richieste sempre più forti per il loro congelamento. L’Istituto IFO in Germania ha già avvertito che devono essere posti dei limiti. Qualsiasi mossa per limitare i flussi di liquidità significherebbe che la Germania è vicina a staccare la spina all’unione monetaria e scatenare una reazione a catena inarrestabile.
Mattarella si trova davanti un’estate estenuante. Rischia di finire tra quattro mesi con la stessa alleanza Lega-Grillini, ma con una maggioranza ancora più solida e un mandato popolare clamoroso al loro “governo del cambiamento”.
Potrebbe seguire la strada del presidente legittimista francese Patrice de MacMahon, che negli anni ’70 dell’Ottocento tentò di imporre il suo governo dell’ ‘ordine morale’ a una Camera dei Deputati ostile, invocando i suoi poteri formali sotto la Terza Repubblica. La scommessa fallì. Il Parlamento lo affrontò con un ultimatum: “sottomettersi o dimettersi”. La democrazia prevalse.”