di  Francesco Duina e Chauncey DeVega  – 11 giugno 2018

Secondo molti metri importanti gli Stati Uniti non sono una democrazia. Sono un’oligarchia.

La prova non è celataIl novanta per cento della ricchezza negli Stati Uniti è detenuto dall’un per cento delle famiglie. La mobilità intergenerazionale di classe è stagnante da diversi decenni. Il divario razziale di ricchezza continua a persistere. E’ così estremo che economisti e altri esperti predicono che gli afroamericani come gruppo deterranno zero ricchezza entro il 2053. Le “riforme fiscali” hanno continuato a deviare il denaro verso l’alto ai molto ricchi e via da tutti gli altri statunitensi. I politologi Martin Gilens e Benjamin Page hanno dimostrato che i dirigenti statunitensi eletti sono quasi del tutto insensibili alle richieste politiche dello statunitense medio.

Non può esserci alcuna democrazia reale in un paese nel quale i tribunali hanno deciso che il denaro è parola. Una simile dinamica di potere sopprime il potere politico della maggior parte dei cittadini e favorisce grottescamente i ricchi e le grandi imprese.

Nonostante questi fatti gli statunitensi poveri e della classe lavoratrice sono estremamente patriottici e nazionalisti, molto più di qualsiasi altro gruppo del paese.

Perché? Come conciliano gli statunitensi poveri e della classe lavoratrice tale sostegno entusiasta a un paese che li ha delusi in molti modi? E’ una forma di falsa coscienza? Che cosa spiega il potere dei miti culturali della meritocrazia e dell’individualismo di fronte all’ampia evidenza che non costituiscono una realtà per la maggior parte delle persone? Come è stato in grado Donald Trump di sfruttare il patriottismo e il nazionalismo degli statunitensi bianchi poveri e della classe lavoratrice (e di altri) per conquistare la Casa Bianca?

In un tentativo di rispondere a queste domande ho recentemente parlato con il sociologo Francesco Duina. E’ docente di sociologia al Bates College e autore del nuovo libro premiato Broke and Patriotic: Why Poor Americans Love Their Country [In bancarotta e patriottici: perché gli statunitensi poveri amano il loro paese].

Questa conversazione è stata rivista a fini di chiarezza e lunghezza.

Come spiegherebbe il modo in cui Donald Trump è stato in grado di vincere le elezioni presidenziali del 2016?

Penso ci siano due o tre ragioni. Una è il nazionalismo. L’identità nazionale è particolarmente importante per certi segmenti della popolazione, ma penso che il Partito Democratico abbia assunto una mentalità da “élite globale” della Costa Est e Ovest.

Nel fare ciò, penso abbia dimenticato qualcosa riguardo all’identità nazionale. Per quelli che sentono che molte altre cose nelle loro vite si sono perse per strada, sentire “Facciamo di nuovo grande l’America” è qualcosa che tocca corde sensibili. Penso anche che quelli che hanno votato per Trump erano, come ha detto lui, “disinteressati a quella roba della correttezza politica”.

Sociologi e altri riformulerebbero la “correttezza politica” in “richieste collettive di uguaglianza”. Questo è un modo per dire che tali identità collettive – che si tratti di neri, omosessuali, donne, ecc. – chiedono cose al governo come un diritto. Per esser chiaro, sono d’accordo che tali richieste sono legittime.

Per certi versi, parlando storicamente, si tratta di qualcosa di non statunitense. Va contro la tradizione dell’individualismo. Si hanno certi diritti fondamentali come individui, non come gruppi. Penso che quelli che hanno votato per Trump possano in generale essere descritti come orientati all’individualismo. Sono privi d’interesse a che il governo fornisca loro cose e sono più interessati a che il governo non sia loro d’impiccio. I suoi elettori e altri sostenitori sentono anche che il governo è corrotto e provvede a ogni genere di persone invece che a loro.

C’è tutto questo parlare dei pericoli della “politica identitaria” tra liberali e progressisti che vogliono privilegiare discussioni sulla disuguaglianza di classe rispetto al razzismo e alla disuguaglianza razziale. Si sentono Bernie Sanders e altri far eco a questa narrazione: “Dobbiamo abbandonare la politica identitaria se vogliamo vincere le prossime elezioni”. Come reagiamo al fatto che tutta la politica è identitaria? La politica identitaria bianca ha dominato gli Stati Uniti sin dalla loro fondazione.

Penso che i sostenitori di Trump abbiano in qualche modo reagito alla politica identitaria.

Abbracciando la politica identitaria bianca, il suprematismo bianco e il nazionalismo bianco.

Esatto, ma siamo lei ed io a dirlo. I suoi elettori e altri sostenitori non direbbero per nulla che stanno abbracciando il suprematismo bianco. Direbbero: “Io abbraccio i veri valori statunitensi, che sono i valori dell’individualismo e del nazionalismo civico basati su determinati principi”. Direbbero anche, come Trump: “Io non sono razzista. Non odio nessuno. Amo le donne, amo gli omosessuali, amo tutti”.

Trump sta anche dando ai suoi sostenitori un senso di valore e di identità schierandosi contro “il sistema”. Il suo uso del linguaggio e di espressioni come “correttezza politica” è un modo per canalizzare il risentimento contro gli esperti, i laureati, i non bianchi, i burocrati e altri che i suoi elettori sentono che dicono loro che cosa devono fare.

Ciò risale a questa sensazione di autodeterminazione individuale. Sentono di non essere in grado di decidere il loro futuro di persone che lavorano duro, il che dovrebbe essere la chiave del successo negli Stati Uniti. Pensano dentro di sé: “Beh, noi lavoriamo effettivamente duro e tuttavia non siamo in grado di avere successo perché il governo ha aiutato ‘interessi particolari’ e anche gli Stati Uniti industriali”. Come lei ha detto, queste persone non vogliono anche sentirsi dire che cosa devono fare.

Gli elettori bianchi di Trump – e gli statunitensi bianchi come gruppo – beneficiano molto di agevolazioni governative quali sussidi fiscali e opportunità d’istruzione storicamente non concessi a non bianchi. Dicono che altri stanno “saltando la fila”, ma sono loro il massimo gruppo che ha “saltato la fila” negli Stati Uniti. Ma non si arriva da nessuna parte parlando di questi fatti agli elettori di Trump e alla maggior parte dei bianchi.

E’ qualcosa che non sentono. Un altro modo di considerarlo che trovo utile consiste nel differenziare nazione e stato. Penso che Trump abbia condotto una campagna basata sulla nazione e non sullo stato. Lo stato era stato reso il colpevole, quasi. Era un partecipe del crimine. Era un acquitrino. Lo stato non ha fatto il suo lavoro. Nel corso di decenni ha fatto le cose sbagliate, andato contro i fondamentali valori statunitensi di autodeterminazione individuale e di pregiudizi razziali e tutte queste cose.

D’altro canto, penso che Trump abbia detto che dobbiamo tornare alla nazione. La nazione è una cosa buona. Dobbiamo salvarla. Ha giocato la “carta della nazione” e ha funzionato in modo fantastico.

Dobbiamo anche definire i termini. La nazione è il contratto sociale fondamentale, che è un po’ diverso in ogni paese. Nel caso statunitense è individualismo civico, basato su determinati valori civici quali l’autodeterminazione e la libertà e simili. E’ questo che è celebrato.

E’ la chiave del modo in cui Trump ha vinto. E’ per questo che non conta ciò che ci scaglia contro di lui e contro i suoi sostenitori. Può essere logico, può essere un fatto. Non conta se Trump si contraddice un momento o l’altro perché non è a questo che prestano ascolto. E’ solo un provocatore, da agente rivoluzionario contro lo status quo.

Quale è stata la genesi del suo libro?

Simboli di patriottismo sono dovunque negli Stati Uniti. Inni nazionali nei principali eventi sportivi, giuramento di fedeltà nelle scuole, bandiere dappertutto. Poi si vedono bandiere fuori da case che non sono tenute bene, ma qualcuno che a malapena ha qualche mezzo ha un palo della bandiera con una grande bandiera statunitense.

Nel corso degli anni ho cominciato a interrogarmi al riguardo: semplicemente non ha senso per me. I poveri degli Stati Uniti stanno realmente peggio, secondo molti metri, dei poveri di altri paesi avanzati. Che si tratti del numero di ore lavorate, della rete di sicurezza sociale, della mobilità intergenerazionale, fate voi. Ma secondo molti metri il povero statunitense e il più patriottico, rispetto ai poveri altrove, e certamente rispetto agli statunitensi ricchi.

Volevo parlare con queste persone e chiedere: “Perché amate così tanto questo paese? Perché è un aspetto così pronunciato della vostra vita?”

Agli statunitensi non piace parlare di classe. Il vecchio truismo secondo il quale tutti sono classe media negli Stati Uniti. Quale è stato il suo approccio per trovare persone con le quali parlare?

Ho passato del tempo in luoghi come stazioni delle corriere, lavanderie a gettone e ricoveri per senzatetto. Sono andato in Montana e Alabama. Iniziavo conversazioni generiche con le persone. Quelli sono luoghi dove le persone hanno solitamente un sacco di tempo a disposizione.

Cominciavo a conversare, aspettando un momento. Forse era in corso una partita di basket o qualcos’altro. Spunta la bandiera statunitense e io chiedevo: “Ehi, ascolta, sono un po’ curioso: sei patriottico? Ti piace la bandiera statunitense?” Loro cominciavano a parlare con me. Poi indagavo un po’ più in profondità e poi alla fine dicevo: “Ascolta. Sto viaggiando in giro per il paese. Vorrei parlare con te, se sei d’accordo, per circa una mezz’ora o quarantacinque minuti del tuo tempo. Ti darò qualche po’ di soldi. Ho dei finanziamenti. Possiamo conversare?”

Penso le cose siano andate piuttosto lisce. Non ho mai avuto problemi in quel modo. Le persone erano felicissime di parlare. Molte delle conversazioni diventavano molto emotive per loro, e anche per me, in realtà, una volta che arrivavo ai racconti della loro vita e a quello che era successo loro nel tempo. Erano persone molto povere, persone della classe lavoratrice, che avevano vite difficili. Si aggrappavano davvero così profondamente ai loro Stati Uniti. Era molto significativo per me e per loro. Mi assicuravo anche di garantirmi varietà spostandomi in aree urbane e rurali, parlando con uomini e donne, persone con diverse storie etniche e razziali.

Che motivi avrebbero i poveri e quelli della classe lavoratrice per essere così patriottici? Questo paese li ha traditi. E’ una forma di falsa coscienza?

Quello che è un enigma per lei e per me, in realtà non è un enigma per loro. Di fatto è il contrario. E’ precisamente perché tante cose sono andate loro storte che ricavano tanta credibilità dall’essere statunitensi, cosa che continua a essere un’identità nazionale molto prestigiosa. Si potrebbe sostenere che in un certo modo dà loro un senso di identità pari a nient’altro. Si aggrappano a questo precisamente perché non hanno nient’altro cui aggrapparsi.

Affermare che sono posseduti da una falsa coscienza è di fatto una posizione paternalistica. Poiché quando si parla con queste persone, loro sono parecchio informate sulla storia statunitense. Sono parecchio informate riguardo al contratto sociale statunitense.

Non considerano sbagliata la loro storia. Penso che siano troppo duri con sé stessi. Essi distinguono anche tra sé stessi e il governo e dicono: “Quello che mi è successo è responsabilità mia”. Alla fine di aggrappano a questa idea. Si sentono motivati a continuare e a fare meglio il mattino dopo. Molti di loro hanno detto questo.

Io reagivo chiedendo: “Hai conciliato quello che ti è successo con il tuo amore per questo paese? Non sei stato fregato?” Loro rispondevano: “No, quello che mi è successo è una faccenda mia”. Questa non è falsa coscienza. Questo è un vero senso di dignità che ricavano dal contratto sociale così come lo percepiscono.

Negli Stati Uniti non subiamo il lavaggio del cervello da parte del capitalismo mediante questi miti circa la meritocrazia e l’individualismo? Ogni società deve riprodursi.

Sono parecchio d’accordo. Ma devo chiedere: chi è che non subisce un lavaggio del cervello? Ho vissuto per un anno in Danimarca e mi ci reco molto spesso. Amo quella società ed è molto umana e ha fatto grandi cose per molti versi. E’ una società diversificata e una “società quasi perfetta”, come la descrivono loro. Ma sono ugualmente ipnotizzati collettivamente riguardo alla loro nazione e a quella che si definiscono “la Tribù”. Hanno una quantità di miti su sé stessi e un mucchio di storie che si raccontano riguardo a chi sono. I cittadini della Danimarca sono così omogenei e così orientati collettivamente che sono sotto lavaggio del cervello proprio come chiunque altro.

Chi siamo noi per giudicare? Chi sono io per giudicare la persona del Montana che mi dice: “Sì, io amo gli Stati Uniti. Posso portare armi e in quel modo posso dar da mangiare alla mia famiglia”. Naturalmente io posso dire: “Guarda, io posso andare in Canada e fare lo stesso”. Ma chi sono io per giudicare la loro logica?

Come le hanno raccontato le storie delle loro vite le persone con le quali ha parlato?

Ho parlato con prostitute, con ex tossicodipendenti e dipendenti tuttora. Molti erano senzatetto. Dicevano diverse cose in comune. Una era che si sentivano liberi di andare e venire e di fare le cose che volevano e anche di fare e pensare quel che volevano. In Montana ho incontrato un giovane bianco in biblioteca che era senzatetto. Gli ho chiesto: “Perché sei senzatetto?” Mi ha detto: “Sono senzatetto perché per me è fondamentalmente un periodo sabbatico dalla vita. Sto lavorando a un’app.” Ho pensato che non poteva essere vero. Poi ha detto: “In altri paesi probabilmente mi costringerebbero in un ospizio. Mentre qui posso restare senzatetto e nessuno mi secca per questo”. Ho pensato tra me che era sorprendente.

Un genere di autonomia radicale.

Certamente. Molti di loro si sentono molto autonomi. Molte di queste persone mi dicevano anche cose fantastiche, come “Guarda, ho svoltato l’angolo un mese fa”, oppure “Ho trovato Dio sei mesi fa. Ora sono in regola davanti a Dio e non bevo più. Lunedì ho in programma un posto di lavoro.” Non so se era vero o no.

La faccenda di Dio, dovrei dire, era anche molto prevalente. Questa sensazione che loro camminano con Dio e che gli Stati Uniti sono il paese di Dio. Dio ama gli Stati Uniti più di quanto ami altri paesi. Questa sensazione, ancora, di camminare con Dio nel paese di Dio, cercando di fare la cosa giusta.

Quali sono state alcune delle conversazioni e storie di vita che davvero l’hanno commossa?

Una persona con la quale ho parlato era una donna bianca che lottava con un cancro al cervello. Era giovane. Aveva tre figli. Abbiamo chiacchierato in una stazione di autobus in Colorado, ma lei era dell’Alabama. Mi parlava della sua vita. Era stato molto importante per lei che i suoi figli leggessero il Giuramento di Fedeltà, che lo recitassero a casa. Lottava per insegnare loro i giusti valori prima di morire.

C’è stata un’afroamericana che ho incontrato in Alabama. Studiava in un college comunitario, o qualcosa di simile, per diventare cuoca. Mi ha detto: “Una vita fuori dal paese, una vita fuori da me”. Stava dicendo: se mi togliete il paese, mi togliete la vita; devo averlo. Era tra i trenta e i quarant’anni.

Ho anche conosciuto questa coppia che viveva fuori da una vecchissima Saab. Li ho incontrati in una lavanderia a gettone a Billings, Montana. Lui probabilmente aveva vent’anni più di lei. Probabilmente era sulla quarantina. Lei era appena sui vent’anni. Aveva servito nell’esercito. Lui no.

Lei era incinta. Abbiamo avuto una conversazione fantastica. Erano molto eloquenti e molto ponderati. E’ stato lui a dire: “Dobbiamo essere patriottici. Bisogna avere uno straccio di dignità. Sì, il sistema è corrotto, la polizia è corrotta, siamo sorvegliati da tutti.” Attenzione, questo è il Montana, dunque sono ultraliberali.

Uno crede che il sistema sia equo perché accettare la verità di quanto è iniquo e di parte sarebbe troppo devastante?

Perché i poveri non si sollevano e non si ribellano negli Stati Uniti? Beh, penso di aver scoperto che parte del motivo è che credono ancora nella nazione. Non necessariamente nello stato, ma nella nazione. Credono ancora in essa.

Beh, se è così, non chiederanno una grande riformulazione del contratto sociale. Forse, a voler esser cinici al riguardo, è un modo per perpetuare la disuguaglianza e lo status quo. Al tempo stesso ho avvertito un enorme potere e autodeterminazione e speranza e sapere.

Che sentimenti provano i poveri e gli appartenenti alla classe lavoratrice nei confronti dei ricchi?

Ho posto quella domanda molte volte. Aspettavo il momento giusto, quando per esempio passava una grande Mercedes. In quasi tutti i casi quello che ho sentito è stato: “Se la sono guadagnata e l’hanno fatto da soli. Proprio come i miei fallimenti e i miei difetti, i loro successi sono successi loro”. Ora, io contestavo ciò e dicevo: “Dài! Probabilmente sei nato in un certo contesto che non ti è stato d’aiuto. Loro probabilmente sono nati in famiglie agiate”.

Ho queste citazioni in testa. Un tizio mi ha detto: “Devono essere scelte. Devono essere scelte cattive o scelte buone, ma devono essere scelte. Si riduce tutto a scelte”. Ma quella stessa persona mi aveva appena detto come suo padre l’aveva picchiato per tutta la vita. Aveva quattordici anni ed era senzatetto; fuggì. Quelle non sono scelte. Era molto difficile allontanarli da quel genere di idea. Pensavano che i ricchi essenzialmente meritavano di esserlo. I ricchi erano generosi. Ottengono una quantità di cose come conseguenza di ciò. Questi poveri e lavoratori mi hanno detto realmente questo.

Ora, io ho parlato anche con alcune persone – tre o quattro su un totale di novanta – che non erano così patriottiche. Parlavano della sensazione che il sistema ci ha ingannato. Volevano fare a brandelli la bandiera statunitense. Noi siamo invasori di altri paesi. C’è l’imperialismo. I ricchi non si curano di noi. Il governo non si cura di noi. Un tizio mi ha detto che il nazionalismo statunitense e la bandiera statunitense gli ricordavano un gruppo di fighetti a una festa di una fraternita di una qualche università.

Ma quale che sia la misura che si adotta, i poveri negli Stati Uniti sono molto patriottici.

Chauncey DeVega è redattore di politica a Salon. I suoi saggi si trovano anche su Chaunceydevega.com. Conduce anche un podcast settimanale, The Chauncey DeVega Show. Chauncey può essere seguito su Twitter e su Facebook.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/why-are-poor-people-in-america-so-patriotic/

Originale: Salon.com

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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