Francesco Cecchini

AUN SAN SUU KY
I Rohingya sono la minoranza più perseguitata del mondo, il popolo meno voluto della terra, un caso di pulizia etnica da manuale. La missione indipendente istituita dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite nel marzo 2017 sostiene che il capo dellesercito del Myanmar e altri alti funzionari militari dovrebbero essere processati per genocidio, crimini contro lumanità e crimini di guerra contro i rohingya, minoranza etnica di religione musulmana che abita le zone occidentali del paese. Comunque la crisi in Myanmar si acutizzè nellagosto del 2017 con gli scontri tra esercito birmano e ribelli rohingya nello stato del Rakhine. Nel giro di poche settimane centinaia di migliaia di civili, si parla di 700 mila persone, erano state costrette a lasciare le loro case e a cercare rifugio nei campi profughi del vicino Bangladesh. Le violenze commesse dai soldati birmani sono state enormi: uccisioni indiscriminate, incendi di interi villaggi e stupri diffusi e sistematici.
Aung San Suu Ky premio Nobel per la pace, Consigliere di Stato della Birmania, Ministro degli Affari Esteri e Ministro dell’Ufficio del Presidente. ha sempre detto che le violenze sul popolo Rohingya sono false notizie. Non è d’accordo Amnesty International con le bugie di Aung San Suu Ky e le ha ritirato il premio Ambasciatore della Coscienza conferitogli nel 2009.
Secondo una legge del 1982, ai Rohingya non è consentito viaggiare senza ottenere un permesso speciale, non gli è concesso possedere terreni o proprietà immobiliari, sono soggetti a limitazioni del regime legale in materia di matrimoni e sono costretti a firmare, quando si sposano, un impegno a non mettere al mondo più di due figli. Non solo: sono soggetti a vere e proprie estorsioni e a lavorare in regime di semi-schiavitù alle dipendenze dellesercito e del governo. Al principio degli anni Novanta, in seguito allennesima campagna di stupri, omicidi e persecuzioni, altri duecentocinquantamila Rohingya abbandonavano la Birmania per rifugiarsi principalmente in Bangladesh inseguendo lillusione di poter essere meglio accolti in uno Stato di popolazione a maggioranza musulmana sunnita. Non è stato così, perché subiscono anche in Bangladesh discriminazioni, soprusi, violenze e ripetute violazioni dei diritti umani più di una volta denunciati dalle Nazioni Unite e caduti fino a oggi in un assordante silenzio. In Myanmar il genocidio continua tanto che la comunità internazionale si è mossa in grande stile chiedendo perfino il ritiro del Nobel per la Pace ad Aung San Suu Kyi che da quando è stata liberata ed è in seguito andata al potere non ha mai speso una parola in favore dei Rohingya. Ora Il segretario generale di Amnesty International, Kumi Naidoo ha scritto a Aung San Suu Kyi per informarla della decisione del ritiro . In un comunicato Amnesty si è detta delusa da quello che ha definito un vergognoso tradimento degli stessi valori che un tempo la leader rappresentava.” Kumi Naidoo ha anche detto: “Siamo profondamente costernati nel vedere che lei non rappresenta più un simbolo di speranza, coraggio e difesa dei diritti umani.” A Aunh San Suu Kyi vengono contestate, tra le altre cose, lindifferenza verso le atrocità commesse dallesercito del Myanmar e la crescente intolleranza che le autorità del paese mostrano nei confronti della libertà despressione. Lo scorso settembre sono stati condannati a sette anni di prigione due giornalisti dell’agenzia Reuters, accusati di spionaggio per aver indagato su un massacro di Rohingya.
Una decisione quella del riiro del premio e un duro giudizio politica che devono contribuire alla mobilitazione internazionale contro il genocidio del popolo Rohingya, sia in Bangladesh che in Myanmar, e a sostenere l’ Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa) ed altre l’organizzazioni politico-militari che si battono per la liberazione di questo popolo.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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