«Questa mattina la commissione economica del Parlamento europeo ha respinto la piena integrazione del Fiscal Compact all’interno delle normative comunitarie». Così spiega Eleonora Forenza, eurodeputata del Gue: «Il Fiscal Compact è un trattato tra i governi dei Paesi dell’Unione e la Commissione Europea proponeva di farlo diventare obbligatorio per tutti. Si è trattato di un clamoroso voto in parità, 25 a 25, che quindi non approva la proposta della Commissione di Juncker.
La battaglia contro il simbolo dell’imposizione dell’austerità ai popoli d’Europa è ancora lunga e continuerà da parte nostra con la massima intensità. Ma è significativo che nemmeno in questo Parlamento, che vede una larga maggioranza favorevole alle politiche neoliberiste e all’austerità, si trovi il consenso necessario all’implementazione di un trattato che col suo meccanismo di rientro automatico dal debito ha, ed avrà maggiormente in futuro, effetti devastanti sulle economie dei paesi dell’Unione. Il nostro gruppo Gue/Ngl ha votato compattamente e coerentemente contro il Fiscal Compact e quello di stamattina è un grande successo. E’ molto probabile che la Commissione torni alla carica ripresentando la proposta, la nostra opposizione proseguirà e ne darò prontamente conto».

«Questo fiscal compact cominciò a fare dan­ni già prima di essere approvato – così si legge in un libro di Paolo Ferrero del 2012, Pigs, la crisi spiegata a tutti (DerieApprodi) – nel maggio del 2010 c’è una svolta nella crisi del debito pubblico europeo. È all’epoca che si ini­zia a parlare di fiscal compact. Per comprendere quello che s’è innescato bisogna tenere a mente che il trattato di Maastricht fissava dei tetti nei bi­lanci degli Stati europei su due parametri: da un la­to il 3% massimo per il rapporto deficit annuale e Pil. Dall’altro il 60% massimo per il rapporto tra debito pubblico complessivo e prodotto interno lordo. Fino al 2010 in sede europea si è tenuto con­to solo del rapporto tra deficit e Pil, e in realtà in modo nemmeno troppo stringente: negli anni scorsi sia la Germania che la Francia hanno sfon­dato questo tetto senza troppe preoccupazioni. In ogni caso, fino al 2010, l’unico parametro tenuto in conto era il 3% tra deficit e Pil.

Poi la Germania – proprio per imprimere scelte di austerità ai paesi cosiddetti Pigs – incomincia a insistere pesantemente per interpretare in modo molto stringente anche il rapporto tra debito e Pil. Nel 2010 questa discussione arriva a trasformarsi in un una vera e propria bozza di trattato europeo, con tanto di sanzioni semiautomatiche nel caso di sfondamento del tetto fissato.

Questo orientamento dei governi europei di fis­sarsi arbitrariamente un vincolo duro, anche sul debito, ha avuto l’effetto di attirare l’attenzione de­gli speculatori sui paesi più indebitati. Se prima il debito non era un problema, ora gli speculatori possono sperare di guadagnare mettendo alle cor­de i paesi più indebitati. Proprio la discussione sul fiscal compact apre quindi uno spazio all’azione del­la speculazione che comincia infatti a giocare al ri­basso sulla Grecia, sul Portogallo, sull’Italia… La con­venienza a speculare sui debiti sovrani, infatti, è stata data proprio dalle regole del fiscal compact che i governi hanno scelto di autoimporsi. È sempre più evidente che la speculazione è stato un feno­meno ricercato dai governi per avere la scusa di fa­re stangate che stanno provocando la recessione e raggiungendo il vero obiettivo: abbassare i salari, ridurre il welfare e la democrazia».

Ma cosa prevede il fiscal compact?

Il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione economica e monetaria» – questo il nome completo – impone che tutti i paesi dell’eu­rozona in cui il rapporto debito/Pil superi il 60%, debbano rientrare in vent’anni nei parametri pre­visti. Vuol dire che in Italia, dove si sfiora il 120%, si dovrà rientrare del 3% l’anno.

Fatti i conti si tratta di tagliare circa 900 miliar­di di euro in vent’anni: 47 miliardi l’anno di tagli della spesa pubblica che si vanno ad aggiungere agli effetti dell’obbligo del pareggio di bilancio. Per avere l’idea dell’effetto del fiscal compact occorre pensare che oltre alle stangate di Berlusconi e Monti, ogni anno, per i prossimi vent’anni, si do­vrà fare una manovra di tagli di almeno 45 miliardi di euro (90.000 miliardi di vecchie lire). Una stan­gata pazzesca – ogni anno per vent’anni – destina­ta a produrre gli effetti di una guerra. Mentono, quando ci dicono che ci stanno salvando. La verità è che ci stanno portando sempre più vicini alla si­tuazione greca. Tenete presente che i 45 miliardi di tagli l’anno si sommeranno al pagamento degli interessi sul debi­to, che oggi ammontano a circa 80 miliardi annua­.

Con il fiscal compact, lo Stato italiano invece di im­mettere denaro per far funzionare l’economia to­glierà alla società oltre un centinaio di miliardi di euro l’anno. La recessione è assicurata. Il fiscal compact è un’idrovora che toglie risorse all’economia italiana e rende materialmente impossibile sottrarsi alla re­cessione per i prossimi decenni.

Per la precisione è previsto che il fiscal compact non si applichi nei periodi di recessione. Questo vuol dire che quando il fiscal compact comincerà a funzionare determinerà recessione economica. A quel punto si sospenderà la sua applicazione e si ri­comincerà ad applicarlo quando l’economia cre­scerà per due trimestri di fila. Questo vuol dire che la durata della «cura» si allungherà da venti a tren­ta o quarant’anni, periodo in cui l’economia italia­na sarà condannata alla crisi, bene che vada alla stagnazione.

Una follia pazzesca che solo dei neoliberisti in­vasati e a libro paga degli speculatori potevano pen­sare. Per avere chiara la sua portata, il fiscal compact è il contrario del New Deal praticato da Roosevelt negli Stati Uniti dopo la crisi del ’29. Col New Deal lo Stato creava posti di lavoro pubblici, e ciò aumen­tava le entrate fiscali e trainava l’economia. Qui si fa il contrario, producendo disoccupazione attraverso i tagli di bilancio. Occorre inoltre tenere a mente che, tanto più la distribuzione del reddito è inegua­le, come in Italia, tanto più la tendenza recessiva aumenta, perché una piccola minoranza di ricchi non consuma ab­bastanza da rilanciare l’economia. In Italia la redi­stribuzione del reddito è ormai polarizzata. Le misure contro il lavoro – dalla legge 30 alla manomissione dell’articolo 18 fino al jobs act – contribuiscono a questa polarizzazione: se hai meno diritti hai pure meno salario. La politica dei tagli, aggravata dal fiscal compact, è quindi una follia sul piano economico e una bar­barie su quello sociale.  Una follia che già allora lasciava intravedere che avrebbe portato anche alla svendita del patrimonio pubblico. Anche se tutti sanno, ormai, che facendo i tagli non si esce dalla crisi. La cri­si si aggrava.

Facce di bronzo dem di oggi e di ieri

Dunque, ad essere stata bocciata la relazione dell’europarlamentare Danuta Hubner (Ppe) che chiedeva di incorporare il fiscal compact negli accordi tra gli Stati membri, su proposta della Commissione europea. Anche l’eurodeputato Andrea Cozzolino (Pd) prova a ricostruire una credibilità al Pd su una norma che il suo partito ha inserito nella Costituzione. «Nel caso la richiesta del Ppe passasse – spiega ora Cozzolino – l’austerità cieca diventerebbe atto fondante dell’Unione e, perciò, principio obbligatorio per tutti gli Stati membri, che soffrirebbero ulteriori vincoli su debito, deficit e bilanci». «La situazione è molto complicata, e tutto il Gruppo S&D è impegnato nello sforzo di evitare ai cittadini e ai governi le conseguenze incalcolabili di un provvedimento che, oggi, ha scavalcato persino il dialogo interno al Parlamento non assisteremo immobili all’avanzare di questa Europa, più attenta ai conti che alle persone». Se esistesse una classifica per le facce di bronzo sarebbe sicuramente in posizioni apicali, probabilmente con il collega dem Luigi Morgano che dichiara «è un fatto di estrema rilevanza, perché impedisce al Consiglio, per ora, di poter integrare il fiscal compact nei Trattati europei; è il risultato di una lunga iniziative italiana e dei governi a guida Pd per far uscire l’Europa dalla spirale dell’austerità». Il Pd ha costruito l’operazione politica del governo Monti e in seguito ha governato il paese imponendo livelli di austerità da lacrime e sangue che i suoi successori non hanno la minima intenzione di temperare. Ma le europee sono dietro l’angolo e cade ogni pudore. Così fanno pure i cinque stelle, il partito che ha tradito le aspettative del suo elettorato a una velocità impensabile perfino per l’odiato Pd: «È un segnale storico che va nella direzione che auspichiamo da anni: il Fiscal Compact e le attuali politiche di austerità hanno prodotto soltanto disastri, è necessario un cambio di passo e con il voto di oggi forse anche altri se ne stanno accorgendo. Il no all’incorporazione del Fiscal Compact nel diritto dell’Unione europea va nella giusta direzione, ma è soltanto l’inizio», recita infatti una nota della delegazione M5S al Parlamento europeo dopo il voto della Commissione problemi economici e monetari del Parlamento europeo. «Ci sembrano fuori luogo le dichiarazioni trionfalistiche di alcuni esponenti del Pd: oggi festeggiano la mancata introduzione del Fiscal Compact nel diritto dell’Unione, ma sono gli stessi che hanno votato per l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione. Ci rallegriamo che almeno oggi riconoscano che quell’accordo è una follia vera e propria».

Anche alla vigilia della penultima tornata elettorale per le europee furono in tanti a fingere di trovare indigeribile il fiscal compact. Stefano Fassina, ex viceministro all’Economia e responsabile economico del Partito Democratico nel momento in cui il PD votava sì al Fiscal Compact, ha detto che si trattò di «un errore»; l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta, sempre del PD, ha detto che «così com’è sarebbe terribile per l’Italia». Silvio Berlusconi, all’epoca leader del PdL, che voto sì al Fiscal Compact, ha detto che l’accordo «esprime in sé tutte le idee di una politica imposta all’Europa da una Germania egemone». Cozzolino e Morgano non si sono inventati nulla.

https://www.popoffquotidiano.it/2018/11/28/fiscal-compact-battuta-darresto-a-bruxelles/

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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