I simboli della sinistra nella manifestazione delle “madamin” non c’erano, mentre ieri il corteo abbondava di bandiere rosse. Dal mondo Si Tav emerge un senso di sconforto per la forza soverchiante espressa ieri dal movimento No Tav

La piazza del 10 novembre, convocata da sette signore torinesi e un ex sottosegretario berlusconiano era un altro mondo. Molto più silenzioso, serio, poco propenso all’anarchico via vai che ieri faceva impazzire gli organizzatori No Tav, timoroso che la piazza non potesse essere pari a quella di un mese prima. Gli uomini e le donne di un mese fa, anch’essi una moltitudine, erano giunti puntuali alle dieci del mattino e alle undici mezza, dopo una serie di compiti interventi che evocavano e applaudivano i padri fondatori della loro Torino – Camillo Benso conte di Cavour, Sergio Pininfarina e il figlio Andrea, Sergio Marchionne – chiudevano la manifestazione dell’orgoglio pro Tav con l’inno nazionale cantato tre volte di fila, senza che una persona si muovesse dal suo posto fino al termine della ultra patriottica sigla di chiusura.

Quella manifestazione ha funzionato da detonatore per il mondo No Tav, fiaccato da una resistenza quasi trentennale nonché da una delega politica sempre più spinosa da gestire, contestata da una componente di sinistra oggi apolide ma nettamente post Cinque stelle.

I simboli della sinistra un mese fa non c’erano, mentre ieri il corteo abbondava di bandiere rosse, stelle rosse, falci e martelli di ogni foggia. Eppure punti in comuni tra le due piazze ci sono: l’indignazione per il decreto sicurezza del ministro Salvini votato dal M5s, parole molto simili sui processi migratori in corso che coinvolgono la val Susa, divenuta il cuore della cosiddetta «Rotta alpina».

Forse erano più arrabbiati quelli di un mese fa, nonostante l’aplomb sabaudo: in quella piazza c’era un vasto senso di torto subito due anni fa quando i Cinque stelle hanno defenestrato il sistema di potere torinese regnante da due decenni. Paolo Tessarin del collettivo Sistema Torino, il soggetto che ha creato le condizioni della sconfitta del Pd e di Piero Fassino, commenta così le due piazze: «La piazza delle sette donne torinesi pro Tav era un mondo disorientato perché aveva dato fiducia a Chiara Appendino e non al M5s, ritrovandosi però in una condizione di emergenza quando la componente più ortodossa ha equilibrato il moderatismo della prima cittadina». Ora, almeno da quanto dicono i sostenitori del vasto mondo pro-Tav, il confronto proseguirà, sebbene si evinca un senso di sconforto per la forza soverchiante espressa ieri dal movimento No Tav.

Tra chi ribadiva «che noi eravamo il doppio», chi si rammaricava per la «mancanza di incidenti perché non ci sono più gli anarchici di una volta» e «cavernicoli che sono arrivati con l’auto dei Flinstones», è giunto un riflesso di rabbia dai vertici del mondo pro Tav, quelli che invitavano i valsusini contrari all’alta velocità a spostarsi in un’altra valle con capre e mucche.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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