Come era prevedibile, la Lega ha scelto di lucrare sul dossier autonomia. L’esito del voto europeo e l’ultimo incidente – se tale è stato – in commissione bilancio della camera hanno consentito a Salvini di pretendere che le intese con Lombardia, Veneto, ed Emilia-Romagna approdassero in Consiglio dei ministri. Per la parte leghista tutto secondo copione. E i 5 Stelle? Basta per un disco verde che l’autonomia sia nel contratto di governo? Non basta. La disciplina dei contratti insegna che se le condizioni cambiano significativamente, il contratto può essere rivisto, o persino risolto o rescisso. Vale anche per il contratto di governo. L’autonomia assunta come priorità non comporta che si proceda acriticamente, a prescindere. La domanda è: sono emersi fatti nuovi rispetto al momento della stipula che giustificano un ripensamento, una modifica, un fermo all’attuazione di un impegno non più aderente alle situazioni reali? Un primo fatto nuovo viene dalla verifica della distribuzione delle risorse pubbliche stimolata dalla pretesa di autonomia differenziata delle tre regioni. L’assunto di base era un Sud beneficiario di una più ampia spesa pubblica e in ritardo per l’incapacità degli amministratori. Un Sud generosamente e inutilmente finanziato dal Nord. Si dichiarava perciò giusto e nell’interesse del paese concentrare le risorse sulla parte più efficiente. Audizioni parlamentari, ricerche, analisi hanno chiarito come tale quadro fosse del tutto falso. È emerso che in rapporto alla popolazione il Sud è stato per anni gravemente, dolosamente sotto-finanziato, con un drenaggio di molti miliardi a favore del Nord. I dati – pubblici – non sono stati smentiti. La ministra Stefani è stata accusata di aver pubblicato sul sito del ministero cifre fuorvianti. Non ha risposto. Un secondo fatto nuovo è dato dalla piena emersione del disegno politico che, abbandonando l’obiettivo di superare il divario Nord-Sud, assume il separatismo nordista come necessario a consentire alla parte più forte ed efficiente del paese di agganciarsi all’Europa. Era già vero – ma a futura memoria – con i pre-accordi Gentiloni-Bressa. Ora, la partita è concreta ed attuale. A quanto già scritto su queste pagine, possiamo aggiungere il richiamo a un intervista di Cirio, neo-governatore del Piemonte, sul Tempo del 24 giugno. «Noi siamo vicini a regioni come Lombardia e Liguria … e penso sia utile muoverci in maniera sinergica anche nella gestione delle competenze. Farci sentire come macroregione unita sarà importante per aumentare la nostra massa critica, non soltanto verso Roma, ma anche nei confronti di Bruxelles». Per questo, il neo governatore intende ampliare la richiesta piemontese di autonomia, allineandosi a quella lombarda. Il tutto condito dalle solite banalità: «L’autonomia è responsabilità. Avremo un’Italia migliore». Alla Padania di un tempo si è sostituito il grande Nord, che vede unite da un patto sinergico le regioni dell’arco alpino più l’Emilia-Romagna. Tutte mirano ad acquisire le competenze necessarie non ad «efficientare» il paese. ma a farsi Stato. Il che rende del tutto irrilevante il piano per il Sud proposto da Di Maio, o la no-tax area proposta dalla Carfagna. Va fatto un tagliando al «contratto». Bisogna chiedere un’operazione verità sui conti, passati e ancor più futuri; tenere al riparo settori sensibili come scuola, sanità, infrastrutture, lavoro, ambiente, beni culturali dalla bulimia competenziale delle regioni; scrivere in una legge pienamente emendabile e senza rinvii a futuri comitati paritetici le competenze e funzioni da trasferire; assumere la previa determinazione di lep e fabbisogni standard come condizione inderogabile, non solo eventuale. Non sappiamo ancora se il vertice di ieri e il consiglio dei ministri oggi decideranno, fingeranno di decidere, o decideranno di non decidere. A palazzo Chigi palesemente non importa che l’autonomia fin qui delineata sia in evidente contrasto con la Costituzione e trovi fondamento in bugie bene orchestrate. Ma di una cosa siamo certi. Nel prossimo voto, per quel che sarà nel frattempo accaduto, gli elettori presenteranno il conto.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy