Pensare al capitalismo come ad un sistema economico “ordinato“, quindi capace di stabilire un ordine tra le proprie regole e le esigenze della popolazione mondiale, è quasi compiere una astrazione davvero priva di un significato. L’economia è una scienza quasi esatta, che si fonda su logiche matematiche, quindi priva di interpretazione, ma obbedisce a quelle altre leggi invece interpretabili poiché modificabili che sono le leggi della natura e dello sviluppo ineguale che il capitalismo finisce per attribuirle, imponendosi come sistema fondante della diseguaglianza che regna su tutto il pianeta. In questi primi giorni di formazione del governo Conte II è venuto spontaneo chiedersi, vista la partecipazione all’esecutivo di una certa sinistra che è accodata, tanto internamente con ministri quanto esternamente con la sola fiducia votata, come sia possibile ancora oggi, dopo ripetuti fallimenti tanto del riformismo che anela a governare con forze liberali (prima) e liberiste (poi, quindi odiernamente), e dopo altrettanti ripetuti fallimenti dei progetti di alternativa al riformismo medesimo (parliamo quindi della nostra parte, quella comunista e rivoluzionaria, almeno così un tempo avrebbe dovuto essere… e continuare ad essere), dove stia l’errore. L’errore per antonomasia? Forse, anche. Ma principalmente dove risiedano tutte quelle deficienze che hanno impedito se non il cambiamento a centottanta gradi del sistema in cui viviamo, quanto meno la sua modificazione verso una via di evoluzione in senso sociale, che ridimensionasse il ruolo del mercato, delle privatizzazioni e invertisse la tendenza ormai in voga da lustri e lustri. Poi, a ben vedere nella memoria del nostro anche breve recente passato, siamo stati proprio noi comunisti a scendere a tanti compromessi pensando di ostacolare così le peggiori forze reazionarie e distruttrici dei diritti tanto sociali quanto civili. Al tempo del famigerato “pacchetto Treu“, Rifondazione Comunista aprì un credito in merito e votò quello che poi sarebbe stato il pertugio da cui sarebbero passate a valanga tutte le altre scelte privatizzatrici dei grandi assi portanti economici pubblici. La trasformazione del mercato del lavoro mediante l’utilizzo della “flessibilità” dei contratti e quindi l’introduzione del fenomeno del “precariato” soprattutto tra le giovani generazioni di impiego della forza-lavoro è frutto proprio di quella “necessità di riforma” che allora veniva rubricata anche col nome infido di “modernizzazione“, per un adeguamento delle “esigenze” delle imprese italiane al mercato globale La compatibilità di maggioranza, il voler mantenere viva una esperienza di nuovo patto tra un centro democratico e una sinistra composta da moderati (PDS/DS) e comunisti (Rifondazione) per fronteggiare il pericolo berlusconiano, ha ritardato indubbiamente una aggressione – ad esempio – nei confronti della Costituzione e del suo architrave, ma non ha impedito che la stessa sinistra moderata, che allora partecipava all’esperienza de L’Ulivo, creasse le condizioni su cui le destre si sarebbero inserite successivamente tanto politicamente quanto nella pratica di governo per allargare le maglie della precarietà lavorativa, destrutturare i vecchi contratti collettivi nazionali e proseguire sulla via dell’allegerimento fiscale per un padronato italiano incapace, persino con questi favoritismi e privilegi, di fronteggiare la concorrenza estera su brevetti e qualità della produzione. In tutto e per tutto, tanto centrosinistra quanto centrodestra, partendo soltanto da punti di vista leggermente differenti (un punto di vista mediamente riformista nel caso del primo e un punto di vista risolutamente liberista nel caso del secondo), sono arrivati a conclusioni governative simili: il mercato non va ostacolato ma, invece, va sostenuto ed aiutato. Dunque, la sinistra che ha partecipato a queste esperienze, in sostanza, facendo un bilancio di tutti questi decenni, ha impedito o ha permesso, anche col suo sostegno, di favorire gli interessi dei padroni e di penalizzare, parimenti, quelli dei lavoratori? Un po’ grossolanamente, tagliando con l’accetta la storia contemporanea, ma guardando ai risultati cui siamo giunti, possiamo convenire sul fatto che pur nella sua forma unitaria tra sinistra moderata e comunista, nelle diverse esperienze di governo del Paese, la parte progressista del panorama politico italiano non ha prodotto effetti di ampliamento dei diritti e, tanto meno, ha saputo tutelarli, preservarli dai dettami del neoliberismo che, anche oggi, col nuovo governo Conte II si appresta a fare la sua parte seguendo quella che abbiamo chiamato “filiera” politica ed economica che parte da Bruxelles per arrivare a Roma (Sassoli – Gentiloni – Renzi/Zingaretti con insieme l’alleato populista capace di un anno e mezzo di governo col peggiore rappresentante del sovranismo neofascista nella parte occidentale dell’Unione europea). Il fallimento della moderazione progressista, del riformismo governativo e governista è certamente peggiore rispetto al fallimento prodotto dall’incapacità comunista e dei rivoluzionari di incidere politicamente e socialmente nella moderna realtà dei fatti economici mediati dalla sovrastruttura statale. Il fallimento dei riformisti è peggiore di quello dei comunisti perché i primi pretendono di rappresentare valori egualitari sposando i peggiori disvalori disegualitari. Almeno i comunisti conservano, in larga parte, una buona fede che li ha visti costretti a scelte certamente non facili ma che, alla lunga, si sono dimostrate deleterie per i lavoratori, per i precari e i disoccupati e annichilenti la sinistra comunista stessa. Il logorio moderno della sinistra di classe sta tutto nella sopravvalutazione delle istituzioni, a qualunque costo, per evitare il ritorno di nuovi fascismi che invece sono proprio incoraggiati da quella sinistra che ha sempre accusato noi comunisti di essere il “partito del NO“, del pregiudizialismo aprioristico, della cecità sul presente, del non scorgere i pericoli che tutt’oggi esistono e non sono affatto scongiurati. Invece quei pericoli possiamo dire di averli avuti sempre ben presenti, ma, con tutta sincera evidenza, le nostre proposte politiche sono sempre state ignorate dalla grande massa dei lavoratori e degli sfruttati perché la gallina di oggi era meglio dell’uovo di domani: il mercato ha saputo comunicare ai popoli la necessità della sopravvivenza in una contingenza del reale che è apparsa come quotidiana ricerca del rimanere a galla in un mondo che il narratore stesso creava per continuare a raccontarlo come tale e alimentare i propri privilegi di classe. Chi ci raccontava che eravamo alla “fine dalla storia“, altro non ha fatto se non produrre altra storia e continua a vivere in questa storia a scapito della storia dei più poveri e derelitti. Ha rubato loro non solo il tempo futuro ma anche il presente, come del resto ha sempre fatto sfruttando il lavoro per ottenerne quel profitto da non dividere con i produttori, ma da investire in grandi giochi di finanza e di speculazioni, immiserendo miliardi di persone, arricchendone poche centinaia. La sinistra comunista e di alternativa deve quindi fare un bilancio di sé stessa: deve farlo nei congressi che si terranno il prossimo anno e deve farlo per rilanciare l’ipotesi comunista come unica soluzione alla distruzione del pianeta, al dominio umano sulla natura, contro la natura stessa, sempre e solo per l’accumulazione profittuale. La sinistra comunista ora non ha alternative: è arrivata alla fine delle tante biforcazioni che ha dovuto incontrare. Non le rimane che seguire la strada della ricostruzione del comunismo veramente come “movimento reale che abolisce lo stato di cose presente“. Questo è un lungo messaggio in una bottiglia gettata in un mare pieno di drammi ma anche di speranze. Auguriamoci che in molti la raccolgano e ne leggano il contenuto. E scusate se le parole scritte sono state tante…

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy