Giacomo Pellini

L’emergenza climatica è prepotentemente entrata nell’agenda setting mondiale in seguito alle ondate di mobilitazioni che hanno trovato in Greta Thunberg la sua portavoce. Ma qual’è lo stato del dibattito reale nell’attuale governo italiano?

Ne abbiamo parlato con Sergio Andreis, Presidente del Kyoto club, organizzazione no-profit costituita da imprese, enti, associazioni e amministrazioni locali, impegnati nel raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas-serra assunti con il Protocollo di Kyoto.

Intervista a Sergio Andreis a cura di Giacomo Pellini

A New York il Primo ministro italiano Conte ha dichiarato che la priorità del nuovo governo è un “Green New Deal che ri-orienti il sistema produttivo verso lo sviluppo sostenibile” affermando di voler inserire la protezione dell’ambiente e o sviluppo sostenibile tra i principi fondamentali della Costituzione. Come giudica queste parole?

Parole, appunto. Importanti, naturalmente, ma senza fatti non credibili, perché pronunciate dallo stesso Presidente del Consiglio che nei 14 mesi precedenti nella stessa carica non ha modificato la Strategia Energetica Nazionale basata sul gas, combustibile fossile; non ha cancellato 19 miliardi – secondo i dati più recenti del Ministero dell’Ambiente – di sussidi pubblici dannosi all’ambiente; ha presentato una proposta a Bruxelles una proposta di Piano Nazionale Integrato Energia e Clima al 2030 bocciata persino dalla Commissione europea.

Quali sono le priorità, secondo lei, che dovrebbe affrontare il governo e le leggi più urgenti in materia di clima e di ambiente?

  1. Revisione della Strategia Energetica Nazionale, per una Strategia totalmente basata sull’efficienza energetica e le fonti energetiche rinnovabili e un’Italia 100% rinnovabile e a emissioni zero al 2030.
  2. Abolizione, entro il 2020, di tutti i sussidi pubblici ambientalmente dannosi e loro trasferimento per lo sviluppo sostenibile – quello vero, senza cosmesi, né greenwashing.
  3. Dichiarazione di stato nazionale di emergenza climatica, con linee guida per le Amministrazioni statali, quelle regionali e i privati per la transizione accelerata verso l’economia verde, la bioeconomia e quella circolare.
  4. Fare dell’Italia il primo Paese plastic-free dell’Unione europea.
  5. Eliminazione delle spese militari, utilizzo dei fondi attualmente destinati agli armamenti e alla cosiddetta difesa per la riconversione dei posti di lavoro per produzioni socialmente utili e la difesa civile.

Dopo decenni di lotte, c’è una presa di coscienza collettiva, sopratutto da parte dei giovani, della questione climatica: una vittoria per voi ambientalisti. Ma la generazione che la affronta non è la vostra, anzi: In Italia il 69% dei giovani  tra i 18 e i 34 anni ritiene che il riscaldamento globale sia provocato dalle attività umane, opinione condivisa invece soltanto dalla metà (52%) dagli over 65. Una sconfitta per la vostra generazione?

Una vittoria tripla, argomenterei: primo: perché siamo riusciti a imporre, nella coscienza collettiva e all’economia, tematiche fino a 20-30 anni fa considerate da anime-belle. Secondo: perché la coscienza collettiva non è più limitata al mondo occidentale, ma è globale, con un protagonismo senza precedenti delle aree del pianeta fino a ieri marginalizzate anche sulla questione climatica. Terzo: essendosi la durata della vita media allungata anche in Italia, abbiamo ancora davanti a noi parecchi anni durante i quali continuare a partecipare attivamente.

Il 64% degli italiani sarebbe più propenso a votare per un partito o candidato politico che dichiari di impegnarsi per ridurre a zero le emissioni di gas a effetto serra entro il 2050. Nonostante questo, in Italia, a differenza della Germania e degli altri Paesi Europei, non c’è un partito verde forte. Come mai?

Perché i verdi italiani non sono stati in grado di esprimere personalità credibili agli occhi  degli elettori. Niente di strutturale: alle elezioni europee del 1989 i verdi furono la quarta forza politica, andando oltre il 6%.

Nello scontro globale tra globalisti e sovranisti, la questione del clima è diventata divisiva tanto quanto quella dei migranti. E il negazionismo è un tratto identitario di quasi tutti i leader, partiti e movimenti di estrema destra e ultra-nazionalisti. Perché questa avversione?

Perché non studiano.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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