di Ollie Vargas

Trascorrere del tempo con membri del sindacato di Chapare, che amministra la società in modo collettivo, offre speciali visioni della resistenza al colpo di stato. Sono riusciti a espellere la polizia, ma ora temono un bagno di sangue per rappresaglia.

Cochabamba, Bolivia – Noto come la regione boliviana del Chapare, il Tropico di Cochabamba è un rifugio per la base di sostegno più dedicata del presidente eletto Evo Morales. Dal colpo di stato del 10 novembre, è in effetti diventato un territorio autogovernato in cui la giunta militare è assente.

La polizia e l’esercito sono stati forzati in completa ritirata da quest’are quando il colpo di stato è iniziato ed è stato detto loro che sarebbero stati bentornati se fossero “venuti in ginocchio a chiedere scusa” alla comunità.

In quest’area di 12.000 chilometri quadrati, nel corso degli anni sono fioriti centinaia di sindacati. Ho trascorso diversi giorni con membri della base del sindacato, assistendo a come gestiscono la società in modo collettivo e come hanno organizzato un’intensa resistenza al governo di destra che minaccia di distruggerli.

Nonostante la resilienza in mostra qui, c’è anche una sensazione di paura. Leader sindacali mi hanno detto che se lo stato decidesse di militarizzare la regione, come ha minacciato di fare, un bagno di sangue sarebbe praticamente inevitabile. Se arrivasse la repressione violenta, potrebbe smontare una struttura sociale che sono andati costantemente costruendo per decenni.

Trasformazione della regione

Il Chapare ha sempre avuto un elevato livello di autogoverno, a causa delle necessità della comunità. Quando i governi boliviani neoliberisti degli anni Ottanta chiusero un gran numero di miniere statali a Potosi e Oruro, molti lavoratori rurali si “rilocalizzarono” in questa regione tropicale per coltivare coca e altri raccolti.

La presenza di ex minatori, che facevano parte delle lotte rivoluzionarie del sindacato dei minatori della Bolivia, infuse nelle comunità indigene campesino una tradizione proletaria radicale.

Un sindacato del Chapare chiamato Llallagua dopo una delle più vaste città minerarie di Potosi Nord

La rilocalizzazione, tuttavia, fu lungi dall’essere un processo facile. Gli USA, all’epoca, stavano intensificando la loro cosiddetta guerra alla droga, usandola come pretesto per intervenire militarmente in America Latina. La DEA si alleò con l’esercito boliviano per dichiarare guerra ai campesino e tentare di sradicare la coca.

I comandanti in quel tentativo erano agenti della DEA; i soldati boliviani servirono da fanteria a loro disposizione. Alla DEA fu concesso un potere tanto elevato da poter decidere chi potesse entrare e uscire dall’area.

Fu durante le lotte contro la presenza degli USA che Evo Morales ascese al vertice delle strutture sindacali del Chapare. E nel respingere la DEA e l’esercito boliviano, fu sviluppato un livello straordinario di organizzazione.

Oggi ci sono sei federazioni sindacali nella regione, e in seno a ciascuna federazione ci sono numerose “centrali” che vanno da poche a trenta. In ciascuna centrale di sono poi diversi sindacati, fino a dieci, secondo la dimensione della comunità. E ciascun sindacato ha un numero variabile di membri da circa 100 a 200.

I sindacati hanno base geografica, così ciascuno piccolo quartiere è un sindacato. Intere famiglie sono incorporate in sindacati in base al lotto di terreno associato. Il numero totale dei sindacati in Chapare è dell’ordine di centinaia, anche se è difficile fornire una cifra precisa poiché il numero e la dimensione variano fortemente in base alla localizzazione.

A causa della debole presenza dello stato, i sindacati organizzano la maggior parte della vita quotidiana nell’area. Stabiliscono piani per progetti infrastrutturali, gestiscono terre e dispute sociali nella comunità, creano canali mediatici locali e, naturalmente, organizzano le attività politiche dei campesino.

Nel 2006 l’allora presidente Evo Morales avviò un vasto sforzo di riforma fondiaria, portando vasti territori nella mani di lavoratori e liberando membri del sindacato da relazioni di sfruttamento con i loro ex proprietari.

I sindacati non rinunceranno facilmente a queste vittorie.

Sfida al colpo di stato

Dopo il colpo di stato la resistenza a base sindacale del Chapare ha assunto il ruolo di sorveglianza.

Il 10 novembre, quando è divenuto chiaro che il colpo di stato aveva schiacciato il governo eletto di Evo, la polizia ha preventivamente abbandonato l’area, fuggendo nella città vicina di Cochabamba.

I dirigenti del colpo di stato sapevano che in Chapare l’organizzazione sociale era così solida che non sarebbero mai stati in grado di contenere la resistenza. E avevano ragione. Dopo che il colpo di stato ha fatto presa, quasi ogni stazione di polizia nella regione è finista sotto attacco dalla popolazione locale.

Israel, un giornalista locale di una stazione gestita dal sindacato chiamata Radio Kawsachun Coca, ha spiegato: “La gente era così arrabbiata che nessuno poteva fermarla”.

A Israel ha fatto eco poco dopo Senobio Carlos, il sindaco di Puerto Villaroel. “Non abbiamo mai detto alla polizia e all’esercito di andarsene; sono fuggiti”, ha detto Carlos. “Di fatto c’è stata una sola base militare in cui i soldati non erano riusciti a partire prima che i dimostranti avessero bloccato tutte le uscite. I sono andato personalmente là e ho detto loro che avrei garantito la loro sicurezza se si fossero uniti alla comunità e non avessero rivolto le armi contro di noi”.

Carlos ha detto di essere stato marchiato quale traditore dalla sua stessa comunità per aver tentato di negoziare con i soldati che imploravano pietà. Da allora la posizione della comunità si è indurita. Leader sindacali dicono oggi che la polizia non è per nulla necessaria e che può tornare solo se “si inginocchia a chiedere perdono”.

Con le forze di sicurezza del colpo di stato espulse dall’area, i lavoratori hanno creato quella che chiamano polizia sindacale, sotto il comando della comunità. Li ho incontrati mentre facevano la guardia a un’assemblea sindacale e li ho trovati privi di armi, salvo alcuni bastoni. Era scelti tra la comunità e responsabili nei confronti di essa.

Polizia sindacale

Tutti coloro con i quali ho parlato nel Chapare sono contenti senza la polizia statale nell’area. Un membro del consiglio comunale, Limbert, della cittadina locale di Ivirgarzama, ha detto: “Siamo addirittura più sicuri ora senza la polizia. Era solita esigere pedaggi illegali dai camionisti; tendeva imboscate alle persone che si recavano a casa di sera e rubava i loro telefoni. Ora non abbiamo ciò; tutti possono muoversi in sicurezza nel Tropico”.

Tuttavia nella regione alcuni basi militari sono rimaste intatte. Al loro interno adolescenti locali stanno svolgendo il loro servizio militare.

Con l’evolversi del colpo di stato, ha raccontato una giornalista locale di nome Sabina, i genitori di quei giovani hanno circondato la base militare e chiesto ai loro figli di non schierarsi con il golpe.

Da allora i soldati sono rimasti attivi, ma hanno concordato di restare solo all’interno della loro base. Tutte le altre unità militari sono fuggite.

Seguirà un massacro?

Anche se la polizia non è stata in grado di rientrare nella regione, il governo golpista ha tentato di punire i residenti del Chapare per averla espulsa. La giunta ha tagliato tutti i servizi alla banca pubblica, Banco Union, che nella maggior parte di questa regione è la sola banca nazionale con Bancomat.

Inoltre il ministro dell’interno del regime del colpo di stato, Arturo Murillo, ha minacciato di negare a tutti i residenti del Chapare il diritto di voto alle prossime elezioni, a meno che i residenti non consentano alla polizia di rientrare.

La polizia leale a Murillo, il cui soprannome è El Bolas (cioè “quello con le palle”, con riferimento alla sua posa da macho e il suo atteggiamento violento) ha annunciato che si sta preparando a “entrare, insieme con le forze armate, nel Tropico di Cochabamba, al fine di stabilire lo stato di diritto in quest’area”. Non ha spiegato esattamente come lo farà, ma il solo modo possibile sarebbe mediante invasione e occupazione militare.

“La polizia non può tornare, la gente non l’accetterà”, ha detto Segundina Orellana. Quando le ho chiesto che cosa potesse essere fatto per combattere una potenziale invasione, ha detto che la regione si solleverebbe e che sperava che avrebbe spinto anche il resto del paese a farlo.

Non è difficile capire perché la comunità non tollererà il ritorno della polizia. Il 15 novembre membri del sindacato di questa regione stavano marciando verso la città di Cochabamba e sono stati fatti oggetti di colpi d’arma da fuoco da agenti, alcuni da elicotteri. Quel giorno sono stati uccisi in nove, in quello che è ora noto come il massacro di Sacaba.

Si intensifica la guerra dell’informazione dei media boliviani

Il Chapare è una delle regioni più demonizzate del paese. I canali mediatici boliviani prevalenti dipingono regolarmente la sua popolazione come un’accolta di narcoterroristi, sfornando affermazioni prive di prove, come il mito che militanti colombiani delle FARC stanno controllando le proteste.

La realtà è del tutto opposta, con la produzione della coca che è di fatto è stata ridotta sotto il governo di Evo, mentre è salite alle stelle in paesi alleati degli Stati Uniti come Peru e Colombia.

Gli stessi sindacati boliviani hanno un ruolo nel garantire che la produzione sia controllata e destinata all’uso tradizionale. In realtà la maggior parte dei cosiddetti cocaleros (coltivatori di coca) produce anche frutta, riso, formaggio e altri prodotti agricoli.

La loro comunità ha beneficiato della marea di progetti infrastrutturali pubblici e di investimenti in servizi pubblico sotto Evo Morales. Ma tutto ciò è ora scomparso. Tuttavia loro sono ancora lì, più decisi che mai nel loro impegno per il partito Movimento al Socialismo (MAS) del presidente eletto.

Anche se i canali mediatici di opposizione e ONG filo-golpiste appoggiate dall’occidente affermano che i residenti sotto forzati dai leader sindacali, la realtà è del tutto opposta. Di fatto i membri sono solitamente più radicali dei loro capi.

Ho partecipato a numerose assemblee sindacali con un leader federale di nome Julian Cruz e visto quando è stato costretto dalla sua base a spiegare perché non era un traditore per aver negoziato un accordo di pace con il regime del colpo di stato.

La natura partecipativa di questo movimento è straordinaria. Julian mi ha spiegato come deve presenziare a ogni singola assemblea di ogni centrale sindacale della sua federazione, e che se non lo fa i membri del sindacati lo porteranno nella giungla e “mi legheranno a un albero per 24 ore” come punizione per mancanza di trasparenza.

Non molti sindacati negli Stati Uniti o nell’America del Nord in generale possono contare su un tale livello di coinvolgimento della base.

Seguendo la campagna dei media contro i campesino del Chapare pare che la demonizzazione sia un preludio a un bagno di sangue.

La copertura giornalistica del massacro di Sacaba è stata istruttiva, con la stampa nazionale che falsamente inquadrato l’uccisione come una caso di “fuoco incrociato”. I sostenitori del colpo di stato indicano questa copertura unilaterale come prova che non si è trattato di una carneficina, ma piuttosto di uno scontro armato con cocaleros narcoterroristi.

L’assenza di prove che i dimostranti fossero armati e il fatto che nemmeno un solo agente di polizia è morto è di scarsa importanza per dei media risoluti a condurre una guerra d’informazione.

“I media dicono che siamo terroristi armati, ma la realtà è che non abbiamo nulla con cui difenderci se l’esercito attaccherà davvero”, ha spiegato un giovane campesino di nome Eleuterio Zurita, che ha offerto protezione a giornalisti. “La ragione di un attacco sarebbe spezzare l’organizzazione sindacale che abbiamo realizzato qui, dunque spero che il mondo possa appoggiarci e mostrare la verità”.

Progettazione di una via di ritorno al potere

La natura autogestita del Chapare è nata dalla necessità pratica di sostentamento e autodifesa, non da una devozione a un’ideologia anarchica. Tutti i sindacati stanno attualmente tenendo assemblee d’emergenza, non per discutere la gestione degli affari locali, ma per preparare una strategia per affrontare nazionalmente il colpo di stato, e in tal modo riprendere il potere statale.

In ogni assemblea cui ho partecipato, i membri del sindacato hanno approvato una risoluzione di impegno a offrire donazioni della base alla campagna del MAS, non da usare qui ma invece in sezioni del MAS in altre parti del paese dove il partito non è altrettanto forte.

E’ in questo modo che il MAS ha prosperato dai suoi primi giorni. Così sarebbe difficile immaginare che il partito proponga una scheda senza un rappresentante di questa tradizione organizzativa.

I prossimi giorni e settimane decideranno se questo spazio radicale di resistenza sarà affogato nel sangue dalla giunta boliviana. Se sopravviverà sarà la base da cui la sinistra farà risorgere il suo progetto nazionale.

Nota della redazione: Questo articolo è stato aggiornato dopo la pubblicazione per spiegare meglio la complessa struttura sindacale nel Chapare.

Ollie Vargas

Ollie Vargas è un giornalista e scrittore boliviano. Ha contribuito a teleSUR, Morning Star e altri canali mediatici.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Originale: https://thegrayzone.com/2019/12/24/bolivia-free-territory-chapare-coup-invasion/#more-18251

Traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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