Da sinistra a destra: Tom Steyer, Elizabeth Warren, Joe Biden, Bernie Sanders, Pete Buttigieg e Amy Klobuchar

Il National Review, nota testata di attualità politica a stelle e strisce esordiva qualche giorno fa con un titolo eloquente: rischio o sicurezza, per illustrare al meglio l’attuale situazione dei candidati democratici alla presidenze degli Stati Uniti.

Il sistema delle primarie dem negli USA è ben più strutturato, articolato e complicato rispetto all’allestimento dei gazebo del PD che abbiamo imparato a conoscere in Italia, soprattutto grazie ad un esponente democratico che ora non fa più neppure parte del PD ma ha deciso di fondare un nuovo partito per i suoi amici. La gara comincerà lunedì 3 febbraio, come da tradizione nell’Iowa, e si prolungherà fino al mese di giugno. Probabilmente per quel periodo la corsa si sarà ridotta a 2 0 3 candidati, potrebbe però anche essere già abbastanza chiaro chi sfiderà Trump a novembre, qualora dovessimo ritrovare un solo uomo (o magari una sola donna) in netto vantaggio.

I candidati più credibili

Pochi giorni fa – il 14 gennaio – la Drake University di Des Moines, capitale dello Stato che sarà teatro del primo duello delle primarie tra un paio di settimane, ha ospitato un dibattito tra i principali candidati dem alla sfida con Trump.

Al dibattito, sponsorizzato dalla CNN, hanno partecipato in 6. Questi esponenti del partito sono quelli che, verosimilmente, nutrono le maggiori possibilità di arrivare in fondo al percorso delle primarie con lo scettro del vincitore tra le mani. I magnifici 6 sono Tom Steyer, ricco gestore di hedge fund californiano; Elizabeth Warren, senatrice del Massachusetts; Joe Biden, vice di Obama e senatore del Delaware, il favorito di ogni sondaggio sebbene stia progressivamente perdendo terreno; il vulcanico Bernie Sanders, senatore del Vermont, arzillo vecchietto e faro del socialismo contemporaneo; Pete Buttigieg, sindaco di South Bend, Indiana, giovane e dinamico, la cui somiglianza anagrafica e politica con qualche leader di partito nostrano potrebbe trarre in inganno chi osserva dal bel paese e Amy Klobuchar, senatrice del Minnesota, equilibrata e diplomatica, prospetto capace ed interessante, la cui ascesa negli ultimi tempi è data seconda solamente a quella di Sanders, che alcuni sondaggi danno persino in vantaggio su Biden, in Iowa.

Somiglianze e differenze

Partendo dal non trascurabile presupposto che questi 6 politici appena citati sono tutti, nessuno escluso, membri del Partito Democratico americano e sono, dunque, compagni di squadra, tutti ugualmente avversari del Partito Repubblicano e della sua intollerabile forma contemporanea, quella che ha le sembianze di Donald Trump, è innegabile che tra di loro vi siano attriti e differenze, talvolta pure sensibili.

Joe Biden rappresenta, naturalmente, la ripresa e la prosecuzione delle politiche di Barack Obama, con il quale ha lavorato per 8 anni come vice, rappresentandone l’ombra tanto quanto Dick Cheney fu quella di Bush figlio; Bush padre quella di Ronald Reagan; Lyndon Johnson quella di John Kennedy e Truman quella di Franklin Roosevelt, giusto per citarne alcuni. Tornando al titolo del Review, Biden è la sicurezza, come ritengono circa il 40% degli afroamericani (ancora una volta il loro voto, così come quello degli ispanici e delle altre minoranze che supportano in massa i democratici, sarà determinante per il successo finale) a livello nazionale, con una punta del 51% in South Carolina, Stato che ha ospitato alcuni dei più atroci episodi di razzismo nel non troppo lontano passato razzista e schiavista degli USA.

Il rischio lo rappresentano principalmente in 2: Bernie Sanders ed Elizabeth Warren, due differenti anime della corrente socialista del Partito Democratico, mai tanto in salute come durante la presidenza Trump, dal momento che non sono in pochi a pensare che l’unico modo per battere la politica radicalmente destrorsa di Trump sia l’adozione di misure altrettanto radicali, a sinistra. Sanders e Warren sono due democratici atipici, basta fare un click sul sito di Bernie 2020 per trovare tutta l’ambizione del suo programma: assicurazione sanitaria per tutti, casa per tutti, lavoro per tutti, università gratuite per tutti, giustizia e trasparenza per tutti, guerra aperta ai miliardari, alle lobby e alla pena di morte e via di seguito. Sanders è una frattura, una spaccatura con molto di quello che la società americana rappresenta in casa e nel mondo, è una spina staccata con il passato e simboleggia un nuovo stile di vita e, probabilmente, un nuovo status quo, qualora riuscisse a dar concretezza al suo programma. Questa è la sua forza, questa è anche la sua debolezza.

Durante il dibattito alla Drake, la senatrice Klobuchar, senza girarci troppo intorno, ha ricordato a Sanders come i due terzi del Partito Democratico non supportino Medicare for all, figurarsi i repubblicani. Amy Klobuchar non è solo una politica lucida e carismatica ma ha anche numerosi tratti che possono darle una mano, in questa partita. Viene dal Midwest, una regione che si rivelerà strategica, magari pure fondamentale, nelle presidenziali di novembre, e potrebbe dunque strappare numerosi voti a Trump; non è troppo giovane e neppure troppo vecchia, dal momento che le sue primavere sono 49; è una gradualista, dunque non incute il timore che gente come Sanders o Warren possono portare agli anziani o, comunque, a tutti gli americani spaventati dal salto nel vuoto proposto dai due socialisti. Simultaneamente, il suo credo in un riformismo graduale potrebbe darle un vantaggio sul conservatore Biden, il cui approccio alla politica potrebbe finire per spedirlo sullo stesso atollo dove è sparita Hillary Clinton quattro anni fa, al largo dell’Oceano della Sconfitta.

Tom Steyer è la risposta democratica a Trump: affarista di successo, si è arricchito a Wall Street grazie ad alcuni fondi d’investimento come Farallon e Beneficial ed ha poi fondato l’associazione nonprofit NextGen America, con la quale invita i giovani americani ad esercitare il loro diritto al voto, impegnandosi anche in questioni che li riguardano direttamente, dal clima all’uguaglianza, dalla salute sessuale all’immigrazione. Della stessa pasta è fato Michael Bloomberg, ex sindaco di New York, miliardario fondatore della Bloomberg, tra le più stimate e attendibili società di analisi finanziaria, come ben sappiamo. Bloomberg salterà i primi appuntamenti elettorali ma sta già facendo pubblicità e promuovendo assunzioni per la sua campagna elettorale. Appena pronto, scenderà in campo anche lui in queste primarie.

Pete Buttigieg è un candidato apparentemente meno attrezzato dei suoi diretti concorrenti. Nel suo Indiana, però, può contare su un ampio serbatoio di elettori ammaliati dalle sue idee progressiste

Di Mattia Mezzetti

Mattia Mezzetti. Nato nel 1991 a Fano, scrive per capire e far capire cosa avviene nel mondo. Crede che l’attualità vada letta con un punto di vista oggettivo, estraneo alle logiche partitiche o di categoria che stanno avvelenando la società di oggi. Convinto che l’unica informazione valida sia un’informazione libera, ha aperto un blog per diffonderla chiamato semplicemente Il Blog: http://ilblogmm.blogspot.it.

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