di Marshall Auerback

Dopo una falsa partenza riguardo alla pandemia di coronavirus i membri dell’Unione Europea sembrano finalmente agire insieme, poiché risultano tutti aver abbandonato rovinose politiche d’austerità di abbattimento sfrenato delle spese (compresi tagli al bilancio di assistenza sanitaria, istruzione e altri servizi sociali) al fine di far fronte all’avvio di una depressione globale. Almeno questa è l’unanimità sul coronavirus, ora che sia la Banca Centrale Europea (BCE) sia la Commissione Europea (CE) hanno temporaneamente rinunciato alla disciplina fiscale e concesso campo libero ai membri dell’eurozona per impiegare tutte le misure di spesa governativa disponibili per affrontare la pandemia e alla fine aiutare l’economia della regione a riprendersi.

La parola chiave, qui, è “temporaneamente”. Nulla di meno di un grande salto concettuale permanente di immaginazione è richiesto per preservare l’Unione Monetaria Europea (EMU). La BCE già avalla la solvibilità dei governi nazionali attraverso operazioni di acquisto di titoli sul mercato secondario (anche se con condizioni circa la spesa governativa). La banca centrale dell’Europa deve perciò passare allo stadio successivo, in modo simile a quello che fa normalmente il governo degli Stati Uniti quando distribuisce una gamma di fondi ai cittadini in tutti gli stati. Poiché attualmente non esiste un’autorità fiscale della UE, è la BCE che deve assumere questa funzione quasi fiscale, operando distribuzioni annuali di fondi ai governi nazionali (accreditati sui loro conti presso le banche centrali) su base pro capite. Ciò a sua volta darà ai governi nazionali lo spazio di manovra fiscale per far fronte alla pandemia e generare un ripresa economica di lungo termine.

Certamente ci vorrebbe una rigorosa barriera di protezione politica perché gli attori finanziari più rigidi in Europa siano d’accordo; la BCE avrebbe il diritto di negare future distribuzioni ai membri che non rispettino le regole sul deficit (in modo da evitare una corsa al fondo in cui gli incentivi sono totalmente distorti a spendere quanto più possibile). Ma è più facile negare qualcosa che riprenderselo indietro, come si verifica oggi nel sistema. E se queste distribuzioni sono effettuate su basi pro capite allora nessun membro dell’eurozona potrebbe affermare di essere penalizzato o che ad altri sia riservato un trattamento ingiustificatamente favorevole. Si consideri che da maggior destinatario di distribuzioni pro capite, la Germania potrebbe trovare la cosa particolarmente allettante. Compensazioni di costi attraverso fusioni di infrastrutture nazionali dei membri della UE, quali università e istituzioni di ricerca avanzata, aeroporti o sistemi postali, potrebbero rendere disponibile un equilibrio di finanziamento e, di nuovo, rafforzare la UE.

In assenza di qualcosa di così audace, la minaccia esistenziale all’euro diviene molto più acuta. Al minimo paese sotto costrizioni finanziarie che la UE avrebbe dovuto sostenere anziché affamare due decenni fa, come l’Italia, potrebbero considerare di buon occhio l’uscita, come ha fatto la Gran Bretagna. La “Italexit” diventa una probabilità, non una semplice possibilità. In Italia oggi, come ha scritto il Financial Times, “c’è una crescente sensazione persino nell’élite filoeuropea che il paese sia abbandonato dai suoi vicini”. Questo è importante: se gli italiani cominciano a perdere il loro attaccamento emotivo all’idea di una comunità europea più vasta, allora la mentalità diventa molto più simile alla Brexit, in cui gli argomenti economici sono sostituiti da qualcosa di più profondamente viscerale.

Il 26 marzo il Consiglio d’Europa (l’organo governativo della Commissione Europea) ha diffuso una dichiarazione congiunta dei suoi membri che si presume costituisca la conversione di Bruxelles sulla via di Damasco dall’austerità fiscale:

La pandemia di COVID-19 costituisce una sfida senza precedenti per l’Europa e per il mondo intero. Richiede un intervento urgente, deciso e onnicomprensivo a livello UE, nazionale, regionale e locale. Faremo tutto quanto necessario per proteggere i nostri cittadini e superare la crisi, preservando allo stesso tempo i nostri valori e il nostro stile di vita europei.

Questa dichiarazione ha fatto seguito un precedente pronunciamento del 18 marzo in cui la BCE aveva annunciato che stava assumendo misure tra cui un programma di acquisti d’emergenza relativo alla pandemia (PEPP) nonché e la canalizzazione di trasferimenti di liquidità ai livelli nazionali. Il ruolo della BCE è centrale perché, in quanto sola emittente della moneta dell’eurozona, è la sola entità che può garantire credibilmente la solvibilità nazionale di tutti gli stati membri dell’euro.

Tutto bello e bene, dunque, ma come al solito riguardo a tutto ciò che è relativo all’Unione Europea vanno controllate le scritte in piccolo. Quando lo si fa è più difficile sostenere la tesi che i commissari di Bruxelles abbiano compiuto una piena conversione alla Teoria Monetaria Moderna (MMT), come hanno suggerito recentemente alcuni dei più entusiasti promotori nell’eurozona, scrive l’economista Dirk Ehnts su Brave New Europe.

Innanzitutto le norme fiscali arbitrarie dell’eurozona sono sospese, non eliminate. Semmai la sospensione temporanea di queste norme (la durata della quale è tuttora lasciata nelle mani di tecnocrati non eletti) rafforza l’idea che essa rappresenta il definitivo rischio di uno specchietto per le allodole per paesi quali Italia, Spagna o qualsiasi altro stato membro dell’eurozona che si avvalga della limitata opportunità di spendere tutto il necessario per salvare la propria economia. In realtà, sedotte dalle promessi di miliardi di euro per assistere le loro economie decimate, le nazioni del Mediterraneo si ritroveranno intrappolare come una volpe in una tagliola nel momento in cui le misure d’emergenza saranno cancellate e i paesi saranno ricostretti nell’inferno dell’austerità.

Facciamo un passo indietro e ricordiamo un’idea cruciale della MMT: cioè, gli stati che emettono una moneta a corso forzoso non garantita da metalli o legata a un’altra moneta non vedono in alcun modo limitata la propria capacità di finanziare operazioni governative. La moneta è letteralmente creata elettronicamente mediante digitazioni al computer. Da qui, tali governi sono detti “sovrani” riguardo alle proprie monete. Non possono mai restare senza soldi, diversamente da una famiglia o da un’azienda privata. Né possono incontrare problemi di solvibilità (fintanto che non si indebitano in una moneta straniera). Certamente i governi sovrani affrontano limiti di risorse reali, ma ogni limite finanziario percepito è arbitrario e più apparente che reale, considerati i loro poteri di emittenti monopolistici di moneta.

Naturalmente l’eurozona non ha questa caratteristica. Gli stati nazione membri dell’eurozona sono “non sovrani” perché sono utilizzatori, non emittenti, di moneta. Solo la BCE emette l’euro, il che significa che i singoli paesi dell’eurozona (come uno stato o una municipalità statunitense) possono finire in bancarotta perché si stanno in effetti indebitando in una moneta “straniera”. Per compensare questo enorme rischio potenziale di solvibilità, i membri dell’unione monetaria hanno tardivamente concesso (presumibilmente costretti dall’ex presidente della BCE Mario Draghi dopo il suo discorso di “tutto quanto è necessario”) che solo la BCE possa credibilmente sostenere i debiti nazionali dei singoli stati dell’eurozona mediante il suo programma di acquisti di titoli, perché solo la BCE ha la capacità illimitata di creare euro.

Il nuovo programma PEPP della BCE non include le consuete condizioni fiscali (cioè tagli alla spesa governativa in cambio del sostegno della BCE) che erano state sin qui adottate in precedenti operazioni di acquisto di titoli, ma la sospensione di tali condizioni è temporanea. Altri programmi proposti di finanziamento hanno incluso il suggerimento di usare la capacità di finanziamento da 400 miliardi di euro del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM) che era stato creato in origine per contribuire a ricapitalizzare banca dell’eurozona in difficoltà. Leader olandesi e tedeschi sono stati promotori particolarmente entusiasti dell’uso di questo meccanismo. Il problema qui è che l’accesso all’EMS include condizioni alle sue clausole di finanziamento. E anche se tali condizioni limitate sono temporaneamente sospese, non sono cancellate.

In parte questi suggerimenti riflettono una ricerca disperata di qualsiasi strumento disponibile, perché sinora i membri dell’eurozona non sono in grado di compiere il salto concettuale finale ai “corona bond”, ancora un altro tentativo di mutualizzare i mercati obbligazionari europei, in effetti creando un titolo europeo sovranazionale che non esporrebbe i singoli stati nazione al rischio di insolvenza nazionale. La resistenza tedesca e olandese all’emissione di un debito comune appare insormontabile, perché i due paesi la considerano un’altra forma di speculazione da parte delle economie cosiddette fiscalmente prodigali che alla fine minerebbe il merito creditizio originario degli stati settentrionali membri dell’eurozona. C’è scarsa voglia di un “momento Hamilton” in cui i costi ereditati dai singoli stati nazione sono assunti da un tesoro sovranazionale con poteri fiscali espansivi.

Dunque, prendiamo l’esempio dell’Italia per illustrare che cosa potrebbe succedere se Roma accettasse l’”assistenza” offerta dalla Commissione Europea. In conseguenza dell’accresciuto indebitamento per fronteggiare l’emergenza del coronavirus il rapporto debito-PIL dell’Italia potrebbe superare il 160 per cento, stima la Goldman Sachs. Una volta che le condizioni che hanno occasionato la sospensione delle regole dell’eurozona si ridurranno, aumenteranno inevitabilmente pressioni per ritornare allo status quo ante. In assenza di un continuo sostegno incondizionato della BCE è molto improbabile che l’Italia sia in grado di continuare a rifinanziare il suo crescente debito sul mercato a condizioni in qualche misura prossime ai tassi prevalenti di mercato e si troverà a sperimentare la classica dinamica della trappola del debito.

A quel punto ci sono tre scenari probabili, come scrive il giornalista italiano Thomas Fazi in un tweet di risposta al recente articolo di Dirk Ehnts sulla MMT: “(1) La BCE accetta di impegnarsi in una monetizzazione permanente e “incondizionata” del debito italiano” (Improbabile perché la Germania non lo autorizzerebbe mai); “(2) secondo le regole della UE la BCE accetta di rendere ciò condizionato per l’Italia che entra nel programma di austerità del programma ESM” (che consegnerebbe l’Italia a decenni di depressione economica); “(3) l’Italia esce dall’euro” (che probabilmente determinerebbe una rottura più vasta, poiché l’Italia è la terza economia più vasta dell’eurozona e il taglio di tale anello quasi certamente distruggerebbe la catena).

Tuttavia c’è anche una quarta opzione che potrebbe comportare un cambiamento istituzionale meno fondamentalmente brusco  quale l’introduzione di un tesoro in stile “Stati Uniti d’Europa”: come ho scritto dieci anni fa, la BCE ha storicamente reagito al “caos di solvibilità [dell’Unione Monetaria ed Economica della Commissione Europea] conducendo acquisti su vasta scala di titoli sul mercato secondario (il che, diversamente dagli acquisti diretti di debito governativo non è contrario alle regole del Trattato di Maastricht [che disciplina l’Unione Europea]) riguardo al debito [degli stati membri dell’EMU]”. E, diversamente dai corona bond, potrebbe incontrare minor resistenza dai pari di Berlino.

Perché? Come indicato in precedenza la principale logia della distribuzione pro-capite è che la Germania riceverebbe la più vasta distribuzione di euro dalla BCE. La sua posizione fondamentalmente forte rispetto ad altri stati membri non cambierebbe, in gran parte come la distribuzione pro capita da Washington non altera fondamentalmente le posizioni economiche relative della California rispetto, diciamo, all’Arkansas. La distribuzione corrisponderebbe in effetti a scambi di debito nazionale per riserve che a loro volta correggerebbero immediatamente al ribasso i rapporti del debito governativo nazionale (perché, per una questione di contabilità, le riserve non sono considerate debito nazionale). Questo obiettivo ammorbidirebbe enormemente le tensioni creditizie e in tal modo promuoverebbe il funzionamento normale dei mercati del credito per le emissioni di debito dei governi nazionali. I governi a loro volta potrebbero usare questo nuovo soccorso fiscale per perseguire pacchetti fiscali che ravvivino le loro economie nazionali (rispetto a usare il meccanismo per coprire salvataggi bancari).

Come ho scritto nel 2011 e 2012, i trilioni di euro distribuiti finirebbero come riserve nei conti delle banche centrali nazionali e potrebbero essere impiegati direttamente per spese fiscali (come osserva la Banca per i Regolamenti Internazionali, le riserve bancarie possono essere utilizzate solo per prestiti interbancari o per regolamenti con la banca centrale). Ma le distribuzioni della BCE renderebbero i titoli sovrani dei governi nazionali in grado di essere scambiati con riserve. La riduzione conseguente del debito pubblico nel bilancio del governo nazionale concederebbe a sua volta a governi stressati un libertà flessibile aggiuntiva di indebitarsi e ricostruire le loro economie (il reciproco sarebbe riflesso come un saldo di cassa negativo nel bilancio della BCE, ma da emittente dell’euro la BCE non rischia problemi di solvibilità).

Dunque, in essenza la BCE manda soldi all’Italia; l’Italia usa i soldi per ridurre il carico del suo debito nominale. Ciò a sua volta dà all’Italia più spazio per indebitarsi e spendere per ponti, sostegno al reddito, soccorso per il coronavirus, eccetera. Considerate le attuali condizioni di quasi depressione, questa attività è improbabile contribuisca e pressioni inflazionistiche aggiuntive, poiché gran parte della spesa alla fine rafforzerà la capacità produttiva delle economie colpite.

Si definisca questo processo un espediente, ma molte forme di contabilità pubblica sono basate su espedienti simili. Gli Stati Uniti hanno un “fondo fiduciario di previdenza sociale” nel loro bilancio, ma in nessun modo il governo ha un fondo reale in cui deposita dollari per versare le quote individuali di previdenza sociale. L’esistenza di questo fondo nella contabilità del governo statunitense non influenza o rafforza in alcun modo la capacità dello Zio Sam di soddisfare gli impegni della previdenza sociale.

La flessibilità conseguente circa la dimensione dello stimolo fiscale avvierebbe in ogni caso la crescita che, a sua volta, ridurrebbe probabilmente i deficit parallelamente alla crescita delle economie, farebbe aumentare le entrate fiscali e sarebbero necessarie minori provvidenze di assistenza sociale (anche se merita di essere segnalato che anche prima dell’avvio di questa pandemia, al netto di suoi pagamenti di interessi, “l’Italia va amministrando un avanzo di bilancio quasi ininterrottamente dal 1992”, secondo il Financial Times; il paese è difficilmente un dissoluto fiscale).

Inoltre rendere questa distribuzione un evento annuale rafforza molto la capacità di far valere le norme UE, poiché la penale per il mancato rispetto può consistere nella negazione di tali distribuzioni, che è molto più efficace dell’attuale soluzione di multe e penali per il mancato rispetto. Storicamente le multe si sono dimostrate non applicabili in pratica. E’ molto più facile negare qualcosa che imporre una restituzione.

Come ho scritto un decennio fa: “Non ci sono ostacoli operativi all’accredito dei contri dei governi nazionali presso la BCE. Quella che probabilmente sarebbe necessaria sarebbe l’approvazione dei ministri delle finanze”. In teoria non dovrebbero esserci “motivi perché qualcuno si opponga, poiché questa proposta [che rafforzerebbe il Patto di Stabilità e Crescita] serve sia a ridurre i livelli dei debiti nazionali di tutti le nazioni appartenenti e sia al tempo stesso a rafforzare il controllo dell’Unione Europea sulle finanze dei governi nazionali”.

Dieci anni fa, quando ho inizialmente avanzato questa proposta, essa è stata considerata troppo radicale. Per anni sono persistiti timori che avrebbe trasformato l’intera eurozona in una qualche versione fallimentare della Grecia. Le preoccupazioni degli iper-agitati iper-inflazionisti appaiono sempre meno rilevanti oggi, specialmente in un tempo di crescente crisi internazionale e di montanti minacce all’ordine esistente. Trilioni sono stati creati dal nulla e non c’è una situazione iper-inflazionaria alla Weimar in nessun luogo. Ma ciò che è divenuto sempre più evidente a molti paesi dell’eurozona è che il continuo utilizzo delle condizionalità fiscali ha inciso sulla loro capacità di creare condizioni economiche di sostegno alla crescita; analogamente la sovranità nazionale è stata più apparente che reale. Attraverso una serie di programmi creati in fretta e furia (solitamente in reazione a una crisi) i leader dell’eurozona hanno continuato a rappezzare difetti istituzionali preesistenti, ma non ci sono benefici economici tangibili sperimentati dalla grande maggioranza delle persone.

Supponendo, ovviamente, che si tratti di difetti. Dal punto di vista della Commissione Europea il deficit democratico e il solo deficit che sembra piacere alle élite tecnocratiche di Bruxelles, poiché lascia considerevole potere nella mani di funzionari non eletti che possono prontamente scavalcare le aspirazioni e gli obiettivi dei parlamenti nazionali. Rafforzano il carattere oligarchico della UE, centralizzando ulteriore potere nelle mani di istituzioni antidemocratiche quali la Commissione Europea, senza offrire alcun beneficio concreto alla maggior parte dei cittadini dell’Unione Europea nel suo complesso.

Ma questa è una posizione politicamente insostenibile nel mezzo di una depressione economica e di un blocco globali. E’ anche cattiva politica economica, come provano i costi che le politiche d’austerità della UE hanno accumulato e la perdita di un’intera generazione. Forse i custodi dell’austerità stanno calcolando di essere in grado di proseguire con un’ideologia che ha creato tanta miseria per tanti in Europa (senza alcun corrispondente ritorno). Come il Macbeth di Shakespeare sono “talmente inoltrati nel sangue che, se non dovessi andare innanzi, il tornare indietro non sarebbe meno ingrato che il procedere”. Ma questa è difficilmente una pietra angolare per una Unione Europea prospera e sostenibile sempre più prossima. Al contrario, è una via all’anarchia, a maggior caos economico e, alla fine, alla disgregazione. Si spera perciò che tutti i singoli stati membri dell’unione della moneta unica facciano tutto quanto ritengano necessario per rinforzare i loro sistemi sanitari sovraccarichi e per mettere le loro economie in grado di riprendersi, a che i falchi alla fine sperimentino una conversione sulla via di Damasco a un processo decisionale economico razionale e alla costruzione di una nazione.

Questo articolo è stato prodotto da Economy for All, un progetto dell’Independent Media Institute.  

da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://www.nakedcapitalism.com/2020/04/last-chance-to-save-the-euro.html

Traduzione di Giuseppe Volpe

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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