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In questi giorni si sono tenute le riunioni delle due massime assemblee di due piccoli partiti che non siedono in Parlamento e che, bisogna sottolinearlo, coraggiosamente hanno deciso di rimettere in discussione tanto la loro organizzazione quanto l’impostazione analitica, persino, per certi versi, ideologica, di una critica del capitalismo che rimane senza appello, senza se e senza ma.

Rifondazione Comunista e Sinistra Anticapitalista si sono confrontate tante volte, hanno avuto modo in molte parti d’Italia di stringere alleanze comuni sul piano elettorale; molte di più le collaborazioni di piazza, le manifestazioni cui sono state promotrici e, anche in questa fase di lontananza della vera politica sociale dalle piazze, hanno provato a mantenere un contatto con il mondo del lavoro, dell’indigenza, dello sfruttamento, tramite l’utilizzo quotidiano delle reti sociali, di canali di informazione che, indubbiamente, non raggiungono i pur miseri livelli del resto della galassia della sinistra cosiddetta “di alternativa” e della quale sempre meno se ne intravede nella compagine governativa.

Nei due documenti prodotti dai rispettivi Comitati politici nazionali, è centrale il tema della “ripartenza” anche per la politica che vuole essere declinazione non solo istituzionale dell’impegno di tante compagne e di tanti compagni, ma che intende riportare il conflitto di classe direttamente davanti ai luoghi di lavoro, tornando al dialogo con quei riferimenti sociali che sono imprescindibili per una nuova stagione di critica dell’economia politica, di critica della seduzione del potere istituzionale e parlamentare come eterno ritorno al solo convincimento che lì – e soltanto lì – risiederebbe la potenzialità di una forza comunista per poter far avanzare le proprie istanze egualitariste.

Nel corso dei decenni abbiamo potuto osservare come né nel solo “movimentismo” e tanto meno nel solo “partitismo” si riscontrasse la soluzione allo storico dilemma del ristabilimento di una empatia politica e sociale tra moderne forze anticapitaliste e moderna classe sociale degli sfruttati, dei salariati.

Se ne contano nel mondo oltre due miliardi e mezzo, tra cui molte centinaia di migliaia di lavoratori ridotti in regime di schiavitù: ancora tanti Iqbal Masih cuciono palloni, tessono tappeti, intingono stoffe con sostanze altamente cancerogene e scavano cunicoli nelle miniere africane per estrarre i minerali che vanno poi ad essere utilizzati per la costruzione dei nostri “telefoni facili“, gli “smartphone“. La lotta di classe, dunque, è un fatto che, come dimostrato anche da quanto avvenuto negli Stati Uniti pochi giorni fa con l’assassinio di George Floyd: alle proteste delle comunità afroamericane, ispaniche si uniscono tanto semplici cittadini slegati da qualunque appartenenza politica quanto i militanti del Partito Comunista degli USA, le correnti socialiste sandersiane del Partito Democratico e la galassia eco-marxista.

Il pericolo semmai è rappresentato, come sempre, dalle infiltrazioni di soggetti che inneggiano alla rivolta più che altro civile, ma non sociale: si radunano prevalentemente su Internet e formano gruppi che, seppur slegati da tante fobie tipiche della destra sovranista trumpiana, non abbandonano la costante del riferimento primario legato al patriottismo a stelle e strisce. Si fanno chiamare “Boogaloo boy” (dal titolo del film “Civil War 2: Electric Boogaloo“).

Come in Italia, anche negli Stati Uniti le sinistra anticapitaliste non hanno vita facile nel ritrovarsi sotto le bandiere della protesta e della proposta sociale: in Europa ciò avviene a causa della interpretazione differente sul valore tutto tattico del posizionamento politico rispetto al grado di incidenza delle ragioni che si intendono portare avanti; in America, la storica collocazione minoritaria del PC-USA, degli ecologisti anticapitalisti e del variegato mondo che si rifà ad un socialismo da conquistare con un “entrismo” che non riesce mai a prevalere sulle grandi lobby di potere che gestiscono la politica del Congresso, quindi la sua rappresentanza attraverso la plurisecolare alternanza tra Old Party e democratici.

Tornando nella nostra Penisola, ed ai documenti redatti dai Comitati politici nazionali di Rifondazione Comunista e di Sinistra Anticapitalista (i collegamenti ai testi qui: CPN Rifondazione :: CPN Sinistra Anticapitalista) rimarcano la necessità di una azione politica che intervenga nella rimodulazione del concetto stesso di “stato-sociale” moderno. Come si legge nel documento di Sinistra Anticapitalista, proprio nel suo incipit:

Siamo entrati in una nuova fase storica del sistema capitalista in cui si combinano le preesistenti contraddizioni economiche del capitale con una crisi sanitaria e sociale senza precedenti, le cui dinamiche sono del tutto inedite ed ancor più imprevedibili”.

Ciò significa che l’analisi che abbiamo fino ad oggi sviluppato sul modello economico dominante e globale che abbiamo conosciuto va aggiornata e va tenuto in considerazione che la ciclicità delle crisi capitalistiche può derivare anche da fattori non prettamente legati alla sovrapproduzione delle merci, ad un caduta tendenziale del saggio di profitto, ad una contrazione esponenziale della domanda: insomma, la crisi del sistema di produzione che include merci, sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura, può essere, se non proprio determinata fino al suo tracollo definitivo, almeno influenzata da fattori inaspettati come le epidemie, le pandemie.

Sconvolgimenti dell’asse di equilibrio delle contraddizioni del capitale (quindi del capitale stesso) non causate da sommosse popolari, quindi da atti diretti da una volontà mediante una presa di coscienza del ruolo di classe subalterna e sfruttata da parte di milioni di moderni proletari, bensì dall’intromissione quasi passiva, del tutto “naturale” (nel vero senso della parola) di un elemento patogeno, esterno all’uomo ma che, appena dentro il suo corpo, ne travolge l’esistenza orizzontalmente, senza guardare ad alcuna distinzione di sorta.

Semmai, viste le aree di sviluppo del Covid-19, potremmo addirittura azzardare che, laddove lo sviluppo industriale si fa più fitto e la concentrazione di impianti è maggiore e maggiore è la produzione di polveri sottili ed inquinamento, quindi dove l’aria è meno pulita, dove è rarefatta la presenza di agenti inquinanti e tossici, lì il virus prospera e getta le sue radici di diffusione incontrastata.

Ma non è certo questo il punto su cui può vertere la rinascita della sinistra comunista e anticapitalista per una rivoluzione prima di tutto nostra, partendo dai contenuti, dalle analisi e arrivando ad un nuovo tipo di organizzazione politica del pensiero e della motivazione ideale e sociale che ci spinge a batterci contro le ingiustizie e le disuguaglianze.

Un punto giustamente ripreso nel documento del Comitato politico nazionale di Rifondazione:

Nessuna emergenza di per sé induce automaticamente cambiamenti positivi senza conflitto sociale e lotta politica adeguata“.

Per continuare affermando che la pandemia, di per sé, può anche indurre le istituzioni politiche (e le loro direzioni economiche) ad un aumento delle risorse pubbliche per affrontare l’emergenza sanitaria, ma ciò non rappresenta affatto una inversione di tendenza rispetto al passato liberista:

La crisi provocata dalla pandemia costringe i governi di tutto il mondo ad un aumento fortissimo della spesa pubblica, ma questa non costituisce di per sé un reale cambiamento delle coordinate di fondo delle politiche dominanti da un trentennio“.

Chi pensava che la crisi sanitaria mondiale fosse una leva per scardinare le fondamenta del sistema capitalista ha commesso come principale errore quello di non considerare tutta l’internità dell’emergenza del Covid-19 (e di qualunque altra pandemia dovesse scoppiare in futuro) nel mondo dominato dal regime del plusvalore e dell’accumulazione dei profitti da parte di chi possiede i mezzi di produzione.

L’unica “rivoluzione“, per così dire, stimolata dal Covid-19, l’effetto politico che dovrebbe indurre nel “partito comunista” di oggi consiste nel gestire una nuova contraddizione apertasi tra le altre, prendendo per tempo ogni occasione possibile per sfruttarla a vantaggio della critica sociale, del dinamismo dei rapporti di forza che si incrinano e del rischio reale di un terribile impoverimento di massa che non deve avere come risposta politica il sovranismo delle destre, il populismo giallastro, il nuovo centrosinistrismo di chi coniuga la libertà di impresa con presunte ragioni di “sinistra” nel mostrarsi egualitario solo in materia di diritti civili e di grande devozione nei confronti della Costituzione.

Come è scritto in entrambi i documenti, gli imprenditori, i padroni, la moderna borghesia italiana (ed europea) è ben consapevole dei rischi che corre e, infatti, corre ai ripari, sollecita la Banca Centrale Europea e la Commissione di Ursula von der Leyen a drenare risorse sia a fondo perduto sia in forma di prestito agli Stati maggiormente colpiti dal Covid-19. Ma si tratta dell’opposto rispetto ad un sostegno veramente sociale: Francia e Germania utilizzano l’Europa per gestire la loro personale crisi economica, inserendola nell’impatto continentale tanto del Coronavirus quanto dei riflessi delle politiche di austerità che si fanno sentire proprio nella “zona Euro“.

Non possiamo aspettarci che un potere economico tra i maggiori capisaldi del capitalismo liberista moderno sia, d’un tratto, divenuto “sociale” e voglia sostenere le classi che lo dovrebbero invece combattere. Ogni aiuto economico che verrà dato ai singoli Paesi europei sarà vincolato a precisi regimi di bilancio comunitario che risponderanno, alla fine, alla “legge del più forte” sul terreno della concorrenza interna al Vecchio Continente e sul rapporto di import-export che si verrà a creare nei nuovi assetti internazionali post-Covid-19.

Il compromesso cui sono scesi Merkel e Macron è stato semplicemente rinunciare ad una esosità di reperibilità di risorse per i fondi comuni (a tutto vantaggio delle locomotive che traiano la UE) che in “tempi normali” sarà nuovamente un caposaldo della propaganda imbellettata con le solite paroline accattivanti: “sviluppo“, “modernità“, “crescita“.

Per dirla con un termine che oggi va molto di moda, forse grazie (o per colpa) di “Striscia la notizia“, i rappresentanti politici del capitalismo europeo hanno scelto di essere “resilienti“, di adattarsi ai contraccolpi della pandemia per evitare la catastrofe prima di tutto dei loro privilegi e poi fenomeni di incontrollata rivolta sociale frutto di emergenti pauperismi causati dalla sommatoria delle politiche liberiste di ieri e dalla protezione dei privilegi di classe oggi.

E’ evidente che due piccole forze politiche comuniste e libertarie, in un Paese dove la sinistra è ridotta ad identificarsi col “governismo” genuflesso alla logica del “meno peggio al potere” oppure con presunti rinculi in un passato ormai dimenticato, fatto di una socialdemocrazia parricida di un comunismo già abbastanza riformatore e riformista negli ultimi due decenni del secolo scorso, possono fare ben poco se rimangono anzitutto separate e se, ragione ancora più importante, non si siedono a discutere per costruire vere e proprie campagne di informazione e di lotta su specifici temi sociali che diventano pietre angolari di un nuovo movimento comunista non solo nazionale ma pensato per essere l’Internazionale di questo secolo. Quanto meno…

Non si tratta di vecchi schemi organizzativi elaborati sul sentire singolo di ciascuno di noi: archiviamo ciò che vogliamo per effetto delle nostre esperienze di lotta, di appartenenza partitica nello specifico. Pensiamo ai punti di partenza che abbiamo: Rifondazione Comunista, Potere al Popolo!, Sinistra Anticapitalista, il nuovo PCI, PCL… Quark di un atomo indistinguibile da tanti, troppi lavoratori e sfruttati.

Ripeto quanto ho già scritto più volte: facciamo tabula rasa del passato e pensiamo prima di ogni altra cosa a tessere una cultura comune, condivisa sul piano ideologico, sociale e politico. Con sfumature anche differenti, ma una cultura che ci unisca nel poter affermare: “Noi siamo insieme perché siamo differenti da tutti gli altri“. Riformuliamo, in sostanza, la nostra autonomia, la nostra alterità di classe sul piano politico.

Pensiamo al futuro. Pensiamo a costruire le condizioni essenziali per rimettere all’ordine del giorno dell’intuizione sociale e singola dei moderni sfruttati la questione della diseguaglianza sociale, dello squilibrio tra le classi, della lotta tra le classi stesse.

Per farlo, dobbiamo abbandonare definitivamente ogni pensiero del passato. Non è più realizzabile nemmeno il migliore dei riformismi possibili attraverso una sola scelta di lotta: istituzioni, società, luoghi di lavoro, scuola, una nuova cultura dell’alternativa di società va ispirata prima di tutto mediante il convincimento che deve riguardare noi comunisti per primi. Non potremo mai rendere concrete le nostre ragioni se noi stessi continuiamo a cullarci nella rassegnazione e nel dramma della “sconfitta storica” dell’anticapitalismo, del movimento rivoluzionario “che abolisce lo stato di cose presente“.

Lo stato di cose presente è ancora lì… Ma noi dove siamo?

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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