Swabeck: Su tale questione non abbiamo all’interno della Lega Americana differenze rilevanti, né abbiamo ancora formulato un programma. Vi presento quindi solo le opinioni che abbiamo sviluppato in generale.

Come dobbiamo considerare la posizione dei negri americani: come minoranza nazionale o come minoranza razziale? Ciò è della massima importanza per il nostro programma.

Gli stalinisti mantengono come loro principale slogan quello di “autodeterminazione per i negri” e chiedono in relazione ad essi uno stato separato e diritti di stato per i negri nella black belt [1]. L’applicazione pratica di quest’ultima richiesta ha rivelato molto opportunismo. D’altra parte, riconosco che nel lavoro pratico tra i negri, nonostante i numerosi errori, il Partito Comunista può anche registrare alcuni risultati. Ad esempio, negli scioperi tessili meridionali, dove le filiere di colore sono state in gran parte bloccate.

Weisbord [2], da quanto ho capito, è d’accordo con lo slogan di “autodeterminazione” e diritti statali separati. Sostiene che questa sia l’applicazione della teoria della rivoluzione permanente per l’America.

Procediamo dalla situazione attuale: ci sono circa 13 milioni di negri in America; la maggior parte si trova negli stati del sud (black belt). Negli stati settentrionali i negri sono concentrati nelle comunità industriali come operai industriali, nel sud sono principalmente agricoltori e mezzadri.

Trockij: Affittano dallo stato o da proprietari privati?

Swabeck: Da proprietari privati, da agricoltori bianchi e proprietari di piantagioni; alcuni negri possiedono la terra che coltivano.

La popolazione negra del nord è mantenuta ad un livello inferiore – economico, sociale e culturale; nel sud, si trova sotto le condizioni oppressive delle leggi Jim Crow [3]. Sono esclusi da molti importanti sindacati. Durante e dopo la guerra la migrazione dal sud è aumentata; forse dai quattro ai cinque milioni di negri vivono ora nel nord. La popolazione settentrionale è in gran parte proletaria, ma anche nel sud la proletarizzazione sta progredendo.

Oggi nessuno degli stati del sud ha una maggioranza negra. Ciò presta enfasi all’ingente migrazione, verso il nord. Poniamo così la domanda: i negri, in senso politico, sono una minoranza nazionale o una minoranza razziale? I negri si sono completamente assimilati, americanizzati e la loro vita in America ha affiancato le tradizioni del passato, le ha modificate e cambiate. Non possiamo considerare i negri una minoranza nazionale nel senso di avere una propria lingua separata. Non hanno costumi nazionali specifici, né cultura o religione nazionale specifica; né hanno particolari interessi di minoranza nazionale. In questo senso è impossibile parlarne come di una minoranza nazionale. Riteniamo pertanto che i negri americani siano una minoranza razziale la cui posizione e interessi sono subordinati alle relazioni di classe del Paese e dipendono da esse.

Per noi i negri rappresentano un fattore importante nella lotta di classe, quasi un fattore decisivo. Sono una sezione importante del proletariato. Esiste anche una piccola borghesia negra in America, ma non così potente o influente, e non in grado di interpretare il ruolo della piccola borghesia e della borghesia tra le popolazioni oppresse a livello nazionale (coloniale).

Lo slogan stalinista “autodeterminazione” si basa principalmente su una considerazione dei negri americani come minoranza nazionale, da conquistare come alleati. Ci poniamo la domanda: vogliamo conquistare i negri come alleati su tale base? E chi vogliamo conquistare, il proletariato negro o la piccola borghesia negra? A noi sembra che con questo slogan conquisteremmo principalmente la piccola borghesia, e che interesse possiamo avere a conquistarli come alleati su una base del genere? Riconosciamo che i poveri agricoltori e mezzadri sono gli alleati più stretti del proletariato, ma è nostra opinione che possano essere conquistati come tali principalmente sulla base della lotta di classe. Il compromesso su tale questione di principio metterebbe gli alleati piccolo-borghesi davanti al proletariato e anche agli agricoltori poveri. Riconosciamo l’esistenza di stadi di sviluppo definiti che richiedono slogan specifici. Ma lo slogan stalinista ci sembra condurre direttamente alla “dittatura democratica del proletariato e dei contadini”. Per l’unità dei lavoratori, bianchi o neri, dobbiamo prepararci a procedere a livello di classe, ma in questo contesto è necessario riconoscere anche le questioni razziali, portando avanti, oltre agli slogan di classe, anche gli slogan razziali. A nostro avviso, a tale proposito, lo slogan principale dovrebbe essere “uguaglianza sociale, politica ed economica per i negri”, nonché gli slogan che ne derivano. Questo slogan è naturalmente abbastanza diverso dallo slogan stalinista della “autodeterminazione” per una minoranza nazionale. I leader del Partito Comunista sostengono che i lavoratori e gli agricoltori negri possono essere conquistati solo sula base di questo slogan. All’inizio era stato proposto per i negri in tutto il Paese, ma oggi solo per gli stati del sud. Riteniamo che possiamo conquistare i lavoratori negri solo su una base di classe, portando avanti anche gli slogan razziali per le necessarie fasi intermedie di sviluppo. In questo modo crediamo che anche i poveri agricoltori negri possano essere conquistati come alleati diretti.

In sostanza, il problema degli slogan riguardo alla questione negra è il problema di un programma pratico.

Trockij: Il punto di vista dei compagni americani non mi sembra del tutto convincente. “L’autodeterminazione” è una richiesta democratica. I nostri compagni americani avanzano, contro questa richiesta democratica, la domanda liberale. Questa richiesta liberale è inoltre complicata. Capisco cosa significa “uguaglianza politica”. Ma qual è il significato di uguaglianza economica e sociale nella società capitalista? Significa chiedere all’opinione pubblica che tutti godano della pari protezione delle leggi? Ma questa è l’uguaglianza politica. Lo slogan “uguaglianza politica, economica e sociale” suona equivoco e, come non è chiaro a me, rischia comunque di essere interpretato male.

I negri sono una razza e non una nazione: le nazioni nascono dal materiale razziale in determinate condizioni. I negri in Africa non sono ancora una nazione ma sono in procinto di costruire una nazione. I negri americani hanno un livello culturale più elevato. Ma mentre si trovano sotto la pressione degli americani, si interessano allo sviluppo dei negri in Africa. I negri americani svilupperanno leader per l’Africa, possiamo dirlo con certezza, e questa a sua volta influenzerà lo sviluppo della coscienza politica in America.

Naturalmente, noi non obbligiamo i negri a diventare una nazione; se lo sono, allora è una questione che riguarda la loro coscienza, cioè, ciò che desiderano e ciò per cui lottano. Diciamo: se i negri lo vogliono, allora dobbiamo combattere contro l’imperialismo fino all’ultima goccia di sangue, in modo che ottengano il diritto, ovunque e come vogliono, di separare un pezzo di terra per sé stessi. Il fatto che oggi non siano la maggioranza in nessuno stato non ha importanza. Non si tratta dell’autorità degli stati ma dei negri. Che nel territorio con maggior presenza negra siano esistiti e vi rimarranno anche i bianchi non è una questione, e non abbiamo bisogno oggi di arrovellarci sulla possibilità che a volte i bianchi saranno repressi dai negri. In ogni caso, la repressione dei negri li spinge verso un’unità politica e nazionale.

Sul fatto che lo slogan “autodeterminazione” conquisterà piuttosto il piccolo borghese anziché i lavoratori – questa tesi vale anche per lo slogan dell’uguaglianza. È chiaro che i particolari individui negri che appaiono di più agli occhi del pubblico (uomini d’affari, intellettuali, avvocati, ecc…) sono più attivi e reagiscono più attivamente contro la disuguaglianza. È possibile affermare che la domanda liberale, così come quella democratica in prima istanza, attirerà il piccolo borghese e solo successivamente i lavoratori.

Se la situazione fosse tale che in America esistessero azioni comuni tra i lavoratori bianchi e quelli di colore, se la fraternizzazione di classe fosse già diventata un dato di fatto, allora forse gli argomenti dei nostri compagni avrebbero avuto una base – non dico che sarebbero corretti – forse allora separeremmo i lavoratori di colore dai bianchi se iniziassimo con lo slogan “autodeterminazione”.

Ma oggi i lavoratori bianchi in relazione ai negri sono gli oppressori, i furfanti, che perseguitano il nero e il giallo, li tengono in disprezzo e li linciano. Quando oggi i lavoratori negri si uniscono al proprio piccolo borghese, ciò accade perché non sono ancora sufficientemente sviluppati per difendere i loro diritti elementari. Per i lavoratori degli stati del sud la richiesta liberale di “uguaglianza sociale, politica ed economica” significherebbe senza dubbio un progresso, ma la richiesta di “autodeterminazione” sarebbe un progresso maggiore. Tuttavia, con lo slogan “uguaglianza sociale, politica ed economica” possono essere facilmente fuorviati (“secondo la legge hai questa uguaglianza”).

Quando arriveremo al punto che i negri affermeranno che vogliono l’autonomia, assumeranno quindi una posizione ostile verso l’imperialismo americano. A quel punto gli operai saranno già molto più determinati della piccola borghesia. Gli operai vedranno quindi che la piccola borghesia è incapace di lottare e non va da nessuna parte, ma riconosceranno anche simultaneamente che gli operai comunisti bianchi combattono per le loro esigenze e ciò spingerà loro, i proletari negri, verso il comunismo.

Weisbord ha ragione in un certo senso che la ‘”autodeterminazione” dei negri appartiene alla questione della rivoluzione permanente in America. I negri attraverso il loro risveglio, attraverso la loro richiesta di autonomia e attraverso la mobilitazione democratica delle loro forze, saranno spinti verso la base di classe. La piccola borghesia accetterà la richiesta di “uguaglianza sociale, politica ed economica” e di “autodeterminazione”, ma si dimostrerà assolutamente incapace nella lotta; il proletariato negro spingerà la piccola borghesia nella direzione della rivoluzione proletaria. Questa è forse per loro la strada più importante. Pertanto non vedo alcun motivo per cui non dovremmo avanzare nella domanda di “autodeterminazione”.

Non sono sicuro che neanche i negri negli stati del sud parlino la loro lingua nera. Ora che vengono linciati solo per essere negri, hanno naturalmente paura di parlare la loro lingua negra; ma quando saranno liberati la loro lingua negra diventerà di nuovo viva. Consiglierò ai compagni americani di studiare questa questione molto seriamente, inclusa la lingua negli stati del sud. A causa di tutti questi massoni, in tale questione mi spingerei piuttosto verso il punto di vista del Partito; ovviamente, con l’osservazione: non ho mai studiato tale questione e nelle mie osservazioni procedo dalle considerazioni generali. Mi baso solo sulle argomentazioni avanzate dai compagni americani. Le trovo insufficienti e le considero una certa concessione dal punto di vista dello sciovinismo americano, che mi sembra pericoloso.

Cosa possiamo perdere in questa quastione quando andiamo avanti con le nostre richieste e cosa hanno da perdere i negri oggi? Non costringiamoli a separarsi dagli stati, ma hanno il pieno diritto all’autodeterminazione quando lo desiderano e li sosterremo e difenderemo con tutti i mezzi a nostra disposizione nella conquista di questo diritto, come difendiamo tutti i popoli oppressi.

Swabeck: Ammetto che hai avanzato argomenti potenti, ma non sono ancora del tutto convinto. L’esistenza di una specifica lingua negra negli stati del sud è possibile; ma in generale tutti i negri americani parlano inglese. Sono completamente assimilati. La loro religione è il Battismo americano e anche la lingua nelle loro chiese è l’inglese.

L’uguaglianza economica non la consideriamo affatto nel senso della legge. Nel nord (come ovviamente anche negli stati del dud) i salari per i negri sono sempre più bassi che per i lavoratori bianchi e per lo più le loro giornate lavorative sono più lunghe, e questo fatto è accettato come qualcosa di naturale. Inoltre, ai negri viene assegnato il lavoro più sgradevole. È a causa di queste condizioni che chiediamo l’uguaglianza economica per i lavoratori negri.

Non contestiamo il diritto dei negri all’autodeterminazione. Non è questo il problema del nostro disaccordo con gli stalinisti. Ma contestiamo la correttezza dello slogan di “autodeterminazione” come mezzo per conquistare le masse negre. L’impulso della popolazione negra è prima di tutto verso l’uguaglianza in senso sociale, politico ed economico. Attualmente il Partito porta avanti lo slogan di “autodeterminazione” solo per gli stati del sud. Certo, non ci si può aspettare che i negri delle industrie del nord dovrebbero voler tornare al sud e non ci sono indicazioni di un tale desiderio. Anzi. La loro richiesta non formulata è per “uguaglianza sociale, politica ed economica” basata sulle condizioni in cui vivono. Questo è anche il caso nel sud. È per questo che crediamo che questo sia l’importante slogan razziale. Non consideriamo i negri come soggetti nazionali, o l’oppressione nello stesso senso dei popoli coloniali oppressi. È nostra opinione che lo slogan degli stalinisti tenda ad allontanare i negri dalla base di classe verso la direzione della base razziale. Questa è la ragione principale per cui ci opponiamo. Siamo convinti che lo slogan razziale nel senso presentato da noi porti direttamente alla base di classe.

Frank: Ci sono movimenti specifici dei negri in America?

Swabeck: Sì, diversi. Innanzitutto abbiamo avuto il movimento Garvey basato sull’obiettivo della migrazione in Africa. Aveva un grande seguito ma si è rivelato una truffa. Ora non ne è rimasto molto. Il suo slogan era la creazione di una repubblica negra in Africa. Altri movimenti dei negri in gran parte poggiano su una base di richieste di uguaglianza sociale e politica come, ad esempio, la Lega [Associazione nazionale] per l’avanzamento delle persone di colore. Questo è un grande movimento razziale.

Trockij: Credo che anche la domanda di “uguaglianza sociale, politica ed economica” debba essere mantenuta e non mi esprimo contro questa richiesta. È progressista nella misura in cui non è stata ancora realizzata. La spiegazione del compagno Swabeck sulla questione dell’uguaglianza economica è molto importante. Ma questa da sola non decide ancora la questione del destino dei negri in quanto tale, la questione della “nazione”, ecc… Secondo gli argomenti dei compagni americani si potrebbe dire ad esempio che anche il Belgio non ha diritto come “nazione”. I belgi sono cattolici e gran parte di loro parla francese. E se la Francia li annettesse con un tale argomento? Anche il popolo svizzero, attraverso la sua connessione storica, si sente, nonostante lingue e religioni diverse, come una nazione. Un criterio astratto non è decisivo in tale questione, ma molto più decisivi sono la coscienza storica, i loro sentimenti e i loro impulsi. Ma anche questo non è determinato accidentalmente ma piuttosto dalle condizioni generali. La questione della religione non ha assolutamente nulla a che fare con la questione della nazione. Il Battismo del negro è qualcosa di completamente diverso dal Battistmo di Rockefeller: si tratta di due religioni diverse.

L’argomento politico che rifiuta la richiesta di “autodeterminazione” è il dottrinarismo. Che abbiamo sentito sempre in Russia riguardo alla questione della ‘”autodeterminazione”. Le esperienze russe ci hanno mostrato che i gruppi che vivono su una base contadina conservano la propria peculiarità, i loro costumi, la loro lingua, ecc… e questi si sono sviluppati nuovamente quando ne hanno avuto l’opportunità.

I negri non si sono ancora risvegliati e non si sono ancora uniti ai lavoratori bianchi. Il 99,9 per cento dei lavoratori americani è sciovinista, in relazione ai negri sono boia e lo sono anche verso i cinesi. È necessario insegnare alle bestie americane. È necessario far loro capire che lo stato americano non è il loro stato e che non devono essere i guardiani di questo stato. Quei lavoratori americani che dicono: “I negri dovrebbero separarsi quando lo desiderano e li difenderemo dalla nostra polizia americana”, sono rivoluzionari, ho fiducia in loro.

L’argomento secondo cui lo slogan per la “autodeterminazione” si allontana dalla base della classe è un adattamento all’ideologia dei lavoratori bianchi. Il negro può essere sviluppato dal punto di vista della classe solo quando il lavoratore bianco è istruito. Nel complesso, la questione del popolo coloniale è in primo luogo una questione di sviluppo del lavoratore metropolitano.

Il lavoratore americano è indescrivibilmente reazionario. È dimostrato oggi che non è nemmeno convinto dell’idea di previdenza sociale. Per questo motivo i comunisti americani sono obbligati a far avanzare le richieste di riforma.

Quando oggi i negri non richiedono l’autodeterminazione, questo è naturalmente per lo stesso motivo per cui i lavoratori bianchi non avanzano ancora lo slogan della dittatura proletaria. Il negro non ha ancora capito nella sua povera testa nera che dovrebbe osare ritagliare per sé un pezzo dei grandi e potenti Stati Uniti. Ma il lavoratore bianco deve incontrare i negri a metà strada e dire loro: “Quando vorrai separarti avrai il nostro supporto”. Anche i lavoratori cechi sono giunti al comunismo solo attraverso la disillusione verso il proprio stato.

Credo che, a partire dall’ineguagliata arretratezza politica e teorica e dal progresso economico inaudito, il risveglio della classe operaia procederà abbastanza rapidamente. La vecchia copertura ideologica esploderà, tutte le domande sorgeranno immediatamente e poiché il paese è così economicamente maturo, l’adattamento del livello politico e teorico al livello economico sarà realizzato molto rapidamente. È quindi possibile che i negri diventino la sezione più avanzata. Abbiamo già un esempio simile in Russia. I russi erano i negri europei. È molto probabile che anche i negri, attraverso l’autodeterminazione, procedano alla dittatura proletaria in un paio di passi giganteschi, davanti al grande blocco di lavoratori bianchi. Forniranno quindi l’avanguardia. Sono assolutamente sicuro che combatteranno meglio dei lavoratori bianchi. Ciò, tuttavia, può accadere solo a condizione che il Partito Comunista porti avanti una lotta senza pietà senza compromessi non contro le supposte prepossessioni nazionali dei negri ma contro i colossali pregiudizi dei lavoratori bianchi, senza concessione alcuna.

Swabeck: È quindi tua opinione che lo slogan di “autodeterminazione” sarà un mezzo per mettere in moto i negri contro l’imperialismo americano?

Trockij: Naturalmente, in questo modo i negri possono ritagliarsi il proprio stato fuori dalla potente America e con il sostegno dei lavoratori bianchi la loro autocoscienza si svilupperà enormemente.

I riformisti e i revisionisti hanno scritto molto sull’argomento che il capitalismo sta portando avanti il lavoro della civilizzazione in Africa e se i popoli dell’Africa saranno lasciati a sé stessi, saranno i più sfruttati dagli uomini d’affari, ecc…, molto più di adesso dove si trovano almeno avere una certa misura di protezione legale.

In una certa misura questo argomento può essere corretto. Ma in questo caso è anche prima di tutto una questione riguardante i lavoratori europei: senza la loro liberazione, anche la vera liberazione coloniale non è possibile. Quando il lavoratore bianco svolge il ruolo di oppressore, non può liberarsi, tanto meno i popoli coloniali. L’autodeterminazione dei popoli coloniali può, in determinati periodi, portare a risultati diversi; in ultima istanza, tuttavia, porterà alla lotta contro l’imperialismo e alla liberazione dei popoli coloniali.

La socialdemocrazia austriaca (in particolare Renner) ha anche posto la guerra delle minoranze nazionali in modo astratto prima della [prima] guerra [mondiale]. Sostenevano anche che lo slogan di “autodeterminazione” avrebbe solo allontanato i lavoratori dal punto di vista della classe e che tali stati delle minoranze non potevano esistere in modo indipendente. Questo modo di porre la domanda era corretto o sbagliato? Era astratto. I socialdemocratici austriaci affermarono che le minoranze nazionali non erano nazioni. Cosa vediamo oggi? I pezzi separati [del vecchio impero austro-ungarico degli Asburgo] esistono, piuttosto male, ma esistono. I bolscevichi hanno combattuto in Russia sempre per l’autodeterminazione delle minoranze nazionali, incluso il diritto alla completa separazione. Eppure, raggiungendo l’autodeterminazione, questi gruppi rimasero con l’Unione Sovietica. Se la socialdemocrazia austriaca avesse precedentemente accettato una politica corretta su tale questione, avrebbe detto ai gruppi minoritari nazionali: “Hai il pieno diritto all’autodeterminazione, non abbiamo alcun interesse a tenerti nelle mani della monarchiadegli Asburgo monarchia”: dopo la rivoluzione sarebbe stato possibile creare una grande federazione del Danubio. La dialettica degli sviluppi mostra che laddove esisteva lo stretto centralismo lo stato è andato in pezzi e dove veniva proposta la completa autodeterminazione è emerso uno stato reale che è rimasto unito.

La questione negra è di enorme importanza per l’America. La Lega deve intraprendere una seria discussione su tale questione, magari in un bollettino interno.

NOTE

[1] Black Belt: termine utilizzato per indicare le aree fertili del sud-est degli Stati Uniti, dedite soprattutto alla coltivazione di cotone, dove ancora oggi la popolazione di colore è particolarmente presente.

[2] Albert Weisbord, insieme a sua moglie Vera Buch-Weisbord, era un leader politico comunista negli Stati Uniti degli anni ‘30.

[3] Le leggi Jim Crow furono delle leggi locali e dei singoli stati degli Stati Uniti d’America emanate tra il 1876 e il 1964. Di fatto servirono a creare e mantenere la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici per i neri americani e per i membri di altri gruppi etnici diversi dai bianchi.

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Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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