A un anno dalle elezioni amministrative, la sindaca Virginia Raggi spinge per approvare la convenzione che permetterebbe il prossimo anno la posa della prima pietra dello stadio della Roma. Un progetto di cui si parla da otto anni e che rischia di stravolgere per sempre l’urbanistica nell’area dell’ex ippodromo di Tor di Valle, terminale a ridosso del fiume Tevere nel quartiere della Magliana. Osteggiato per questo dall’ex assessore della giunta Raggi, Paolo Bernini, poi costretto alle dimissioni, dalle associazioni e dai comitati territoriali. Un affare come pochi, invece, per le banche come Unicredit, i costruttori come Luca Parnasi e politici del Movimento Cinque Stelle come Marcello De Vito, attuale presidente dell’Assemblea capitolina e tuttora sono sotto processo davanti al tribunale di Roma, imputato di corruzione proprio per la vicenda dello stadio

La prossima campagna elettorale di Roma Capitale che avrà il suo culmine nell’estate del 2021 una grossa fetta dell’attuale amministrazione pentastellata ora al Governo del Campidoglio, l’ha immaginata aprirsi con il taglio del nastro del cantiere e con la posa della prima pietra nell’area di Tor di Valle, dove da otto anni si progetta di far nascere il nuovo stadio della Roma.

Lì, nei pressi dell’ex ippodromo di Tor di Valle, più o meno a ridosso del punto in cui il fiume Tevere tocca il quartiere romano della Magliana, già teatro della grande speculazione urbanistica della prima metà degli anni’60, ora lo stadio romanista e le opere annesse e connesse sono un progetto che continuerebbero a stravolgere l’urbanistica della zona. Ma sono anche una ghiotta occasione a cui pensano da ben otto anni gli esponenti romani del “partito del mattone”. Non si spiegherebbero, altrimenti, i movimenti frenetici, le trattative e le possibili intese tra le forze politiche di maggioranza ed opposizione, che sembrerebbero trovarsi proprio in questi giorni ad un punto decisivo. Ma andiamo con ordine.

«Non ci opporremo alla costruzione dello stadio», hanno spiegato più o meno in coro le opposizioni in Campidoglio di Lega e Pd, mentre la sindaca Virginia Raggi annunciava la riapertura della partita per costruire il nuovo tempio del tifo tutto romanista. Ci  sarebbe solo da limare l’opposizione interna da parte di qualche consigliere «grillino» e, poi, grazie ai tecnici del Patrimonio che hanno elaborato la due diligence chiesta dalla sindaca Raggi in seguito agli arresti che scossero nelle fondamenta, appena un anno fa nel marzo del 2019, l’amministrazione pentastellata di Roma Capitale, con il coinvolgimento, tra gli altri, del presidente del Consiglio comunale, Marcello De Vito, la partita potrà riprendere da dove era stata interrotta.

Marcello De Vito dopo alcuni mesi di carcere è tornato libero nel novembre del 2019 e, da allora, dato che non si era dimesso nemmeno quando si trovava in carcere e poi ai domiciliari ma era stato soltanto sospeso in base alla legge Severino, è tornato a occupare come se nulla fosse lo scranno più alto dell’assise cittadina.

Dunque, «dove eravamo rimasti?», ha detto De Vito rivolgendosi ai consiglieri capitolini nel discorso del (re-) insediamento. Già, sulla vicenda dello stadio, dove eravamo rimasti? Alle frasi, alle parole, agli episodi contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare con cui De Vito e il costruttore Parnasi furono arrestati, alle carte giudiziarie che sono alla base del processo che è cominciato da qualche mese e che vede tra le parti civili ammesse al giudizio, danneggiate dalla corruzione, anche il comune di Roma. E in uno dei tronconi di inchiesta anche il Ministero dei Beni Culturali, il Mibact, aveva chiesto di costituirsi a giudizio. Ma torniamo al periodo in cui a Roma ci doveva essere una specie di congiunzione astrale.

UNA CONGIUNZIONE ASTRALE

A Roma, e in Italia, dal mese di marzo 2017 e perlomeno fino al giugno del 2018, c’era una specie di congiunzione astrale. Ne era convinto il rampante avvocato Camillo Mezzacapo, che si rivolgeva così – intercettato dagli investigatori – all’amico ed ex allievo del suo studio legale, ora diventato importante: il “potente” presidente dell’Assemblea capitolina, massimo rappresentante del parlamentino del Campidoglio, Marcello De Vito; il quale a quel tempo era ancora considerato il leader romano dell’ala sinistra (così detti ortodossi) i duri e puri del Movimento Cinque Stelle. «Guarda, noi abbiamo proprio un anno buono, come quando passa la cometa di Halley, una congiuntura astrale. Quando ricapita che voi (Cinque Stelle) state al governo qua di Roma e anche al governo nazionale in maggioranza con la Lega». In questo modo si compiaceva l’avvocato rampante, proponendo all’amico e allievo nel frattempo diventato potente: «Mettiamoci il cappelletto da pesca, io conosco un paio di fiumetti qua, ci mettiamo tranquilli, con una sigaretta, un sigaro, con la canna, ci raccontiamo le storie e ci facciamo un prepensionamento dignitoso». «E allora Marce, noi la dobbiamo sfruttare sta cosa, ci rimangono due anni». Era affamato di potere l’avvocato romano Camillo Mezzacapo. E, come lui, lo era l’ex collega di studio legale, il presidente del consiglio comunale pentastellato. A sostenerlo sono stati i giudici per le indagini preliminari del tribunale di Roma che un giorno di marzo dello scorso anno hanno arrestato i due insieme a un’altra dozzina di persone: costruttori come i fratelli Tosi, politici e alcuni dirigenti del Comune deputati al rilascio dei permessi a costruire. C’era una ragnatela – secondo i giudici di Roma – con al centro il costruttore Luca Parnasi, che ha cercato di influenzare, in particolare, (al di là delle colpe giudiziarie che sono ancora tutte da accertare) l’iter amministrativo relativo alla realizzazione del progetto del Nuovo Stadio della Roma. Ma facciamo un ulteriore passo indietro nel tempo.

PARNASI, L’AMICO COSTRUTTORE

È il 13 giugno del 2018, quando un primo, vero terremoto giudiziario scuote le già fragili fondamenta del Governo pentastellato di Roma Capitale, proprio mentre sul piano politico nazionale cominciava a prendere forma governativa l’esperimento giallo-verde. Viene rivelata in quei giorni secondo i giudici «una corruzione sistemica e pulviscolare». Tripartisan, che coinvolge alla stessa maniera Forza Italia e Partito Democratico, ma che chiama in causa, appunto, a pesanti responsabilità, il vertice romano del Movimento Cinque Stelle. Paolo Ferrara, capogruppo dei consiglieri pentastellati al Comune, si autosospende. Indagato per corruzione. In carcere quel giorno di inizio estate ci finiscono in nove. I carabinieri del nucleo investigativo di Roma, in particolare, conducono in cella a Regina Coeli il costruttore Luca Parnasi, mandando invece agli arresti domiciliari l’ex sindaco del comune di Marino e vicepresidente del Consiglio regionale del Lazio Adriano Palozzi di Forza Italia –  poi scarcerato dalla Corte di Cassazione – il presidente di Acea, la mega municipalizzata mista pubblico-privata che fornisce l’energia ai romani, Luca Lanzalone, nominato dalla sindaca Virginia Raggi, e l’ex assessore regionale all’urbanistica del Lazio, Michele Civita, del Partito Democratico.

Dalla lettura di quella prima ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Luca Parnasi, si scopre, infatti, come lo stesso costruttore si era speso per «un’attività di promozione in favore del candidato alla Regione Lazio Roberta Lombardi». C’è da precisare che la Lombardi non è mai stata indagata. Ma, secondo lo stesso Parnasi: «quei soldi sarebbero serviti al fine di ottenere favori dal mondo Cinque Stelle». Inoltre, hanno precisato i giudici di Roma: «sarebbero serviti a rafforzare i legami del costruttore con Paolo Ferrara e con Marcello De Vito», in quanto «ricoprono rilevanti incarichi nell’ambito dell’amministrazione capitolina». Proprio quei due, De Vito e Ferrara, nei mesi a venire, svolgeranno un ruolo preciso nella vicenda dell’approvazione dello stadio. Facendo a gara per accreditarsi come referenti politici di Parnasi. Il capogruppo dei Cinque Stelle, Paolo Ferrara, per esempio, propose all’imprenditore di elaborare anche un progetto di restyling del Lungomare di Ostia, mentre Marcello De Vito – a dirlo sono ancora le carte giudiziarie che lo hanno costretto in carcere dal 21 marzo a luglio del 2019 – «dà conto di un comportamento di assoluta gravità messo in atto nel suo ruolo di Presidente del Consiglio Comunale di Roma Capitale con il concorso dell’Avvocato Camillo Mezzacapo, oltre che dei privati con i quali sono stati conclusi gli accordi corruttivi». «Una sistematica attività di mercimonio della funzione pubblica», così è stata definita dai giudici l’attività di Marcello De Vito.

FORMAT CAPITALE

L’indagine sullo stadio della Roma ha «svelato l’esistenza di un vero e proprio format in quanto tale potenzialmente replicabile in un numero indeterminato di casi». Per i giudici, dunque, si trattava di un format, poiché «vi una scientifica strumentalizzazione di ruoli astrattamente leciti quale abito dentro cui far muovere la macchina dell’illecito». E, ancora, perché: «i personaggi si muovevano come una sorta di giano bifronte, accrescendo la loro capacità di influenza sul doppio versante, dei rapporti normali con la società civile, e di quelli opachi con il mondo illecito sottostante». Una sorta di mondo di mezzo, dunque, rimodulato, al tempo degli “affari a Cinque Stelle”. Ciò che cambia sono soltanto gli attori, dentro una nuova fase politica, quella in cui, confida Marcello De Vito a Mezzacapo: «avresti vinto pure con il Gabibbo». Ma in cosa sarebbe consistito il rapporto dei costruttori (finiti in disgrazia) con il gotha romano del Movimento Cinque Stelle, sono ancora gli atti alla base dell’inchiesta sulla costruzione dello stadio, a rivelarlo.

UNO STADIO FATTO BENE

Così, ancora dagli atti di indagine è emerso che il costruttore Luca Parnasi incontrava spesso il gotha del Movimento cinque stelle romano, dall’ex presidente del consiglio comunale, appunto, all’ex assessore allo sport Daniele Frongia, al più volte chiamato in causa nei dialoghi intercettati Paolo Ferrara. Nulla di compromettente, si dirà. Non foss’altro per gli obiettivi degli incontri e i contenuti dei colloqui. Infatti, il costruttore così spiegava il percorso dell’operazione: «Mettiamo le cose insieme e facciamo un progetto con la legge sugli stadi». Diceva Luca Parnasi: «insomma io questa operazione la voglio fare se ho la copertura politica della città. L’ho anche accennato a Paolo, «inteso evidentemente Paolo Ferrara», cioè il capogruppo dei Cinque Stelle al Comune, scrivono gli inquirenti trascrivendo le intercettazioni. È Parnasi a spiegare negli incontri con i sodali a Cinque Stelle come i costruttori governano Roma: «l’operazione Fiera è stata costruita in questo modo. Noi abbiamo trovato disponibilità in Unicredit, che vanta 183 milioni di euro di crediti nei nostri confronti, a cederli a una società, il Credito Fondario, dove dietro c’è Elliot, gruppo americano legato a Telecom, il quale acquisterebbe il credito, trattando, quindi negoziando con Investimenti Spa di Luca Vogli». E poi è lo stesso Parnasi ad aggiungere, «Loro comprano e ti dicono pagherò questa cifra quando avverrà l’evento urbanistico». E ancora, nel caso dell’area in cui doveva sorgere lo stadio occorreva rimediare ai “casini” che aveva fatto l’assessore Bernini – poi costretto alle dimissioni – (riducendo le volumetrie nell’area dai 67. 500 mq previsti dalla vecchia delibera che era stata adottata durante la sindacatura Marino, scendendo a 44 360 mq).

Bisognava, dunque, sollecitare il consiglio comunale di Roma ad adottare una delibera di variante urbanistica richiamando la legge sugli stadi. Parnasi ne parla più volte con l’avvocato Luca Lanzalone, allora presidente dell’azienda municipalizzata che fornisce l’acqua e l’energia ai romani. In quelle giornate, siamo nei primi venti giorni di maggio del 2018, i due sono particolarmente attivi. Come emerge ancora dal contenuto dell’ordinanza di custodia cautelare che un mese dopo conduce agli arresti domiciliari il manager, infatti, i due “faccendieri” discutono in una cena a casa di Parnasi insieme al futuro sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il leghista Giancarlo Giorgetti, la nascita del governo giallo-verde. D’altronde, «io parlo direttamente con Salvini», si compiaceva Parnasi. «E io sento Di Maio tre volte al giorno», lo seguiva a ruota Luca Lanzalone, sempre in uno dei tantissimi dialoghi intercettati. Ma intanto uno dei loro obiettivi fondamentali del loro piano, il loro problema, come quello del gruppo romano dei Cinque Stelle era «come rimangiarsi la decisione di Berdini senza rimangiarsi la decisione di Berdini». Di come fare a Roma uno stadio fatto bene. Parafrasando le parole pronunciate da Virginia Raggi nell’aprile del 2018, quando il progetto fu presentato, in piena congiuntura astrale.

LA RAGNATELA DEGLI AFFARI

In tutti i casi, al di là di come si evolveranno nei prossimi mesi e nei prossimi anni le vicende giudiziarie, a un anno esatto dalla prossima tornata elettorale amministrativa, restano nella memoria alcuni fatti. Nella Roma pentastellata, nel Campidoglio al tempo di Virginia Raggi esisteva una rete, una ragnatela di affari e relazioni di cui l’avvocato Mezzacapo era il dominus assoluto, il tramite tra i potenti costruttori e la nuova classe dirigente grillina. Il “sistema” come per Luca Parnasi, funzionava, infatti, anche per la holding dei fratelli Toti, i quali giravano all’avvocato sostanziose parcelle, con un oggetto contrattuale ben preciso. L’assistenza, la rappresentanza e la consulenza legale alla Silvano Toti Holding spa e alle sue società controllate relativamente all’intervento di riqualificazione in concessione del complesso degli ex Mercati Generali, lungo la via Ostiense, per esempio. Una ghiotta consulenza da 180.000 euro. Con una clausola contrattuale conclusiva significativa, in cui le parti convenivano che il «contratto si intenderà risolto di diritto ove entro il 30 luglio 2017 non sia stato approvato dalle competenti Autorità il Progetto Definitivo di variante funzionale agli interventi di riqualificazione». Niente più soldi alla società di cui – secondo i giudici – era socio occulto De Vito, se non verrà approvata la variante urbanistica, in sostanza. A pensarla così sono ancora una volta i giudici di Roma che nell’ordinanza di custodia cautelare che ha colpito, tra gli altri, il Presidente del consiglio comunale, scrivono: «la lettura del documento consente di rilevare inequivocabilmente come le parti abbiano scelto di ricorrere allo strumento dell’assistenza stragiudiziale per schermare formalmente l’accordo corruttivo di cui rendono altresì chiaro l’oggetto e il fine».

È dunque un fatto conclamato che gli accordi corruttivi posti in essere attraverso le mediazioni dell’avvocato Camillo Mezzacapo non riguardassero solo le vicende autorizzative connesse alla realizzazione dello stadio a Tor di Valle. Il meccanismo era sempre identico. I costruttori pagavano parcelle salate per i servizi dell’avvocato, il quale, poi, provvedeva a mettere da parte il denaro schermandolo in una società, la Mdl, considerata la cassaforte del gruppo composto da Mezzacapo e da De Vito; l’avvocato, nel frattempo, grazie alle buone entrature con la classe dirigente romana pentastellata, aveva collezionato ben 80 incarichi di consulenza in Acea, per un totale di oltre tre milioni di euro di crediti da recuperare.

Uno schema corruttivo sempre identico, dunque, che sarebbe stato applicato – si diceva – anche con altri costruttori. Per esempio, gli Statuto. A riferirlo sono ancora i giudici romani: «il trasferimento di parte delle somme corrisposte a Camillo Mezzacapo nella disponibilità di Marcello De Vito induce a ritenere che anche in questa occasione si sia ripetuto lo schema, ossia l’affidamento di un incarico professionale quale strumento corruttivo volto a fare pervenire un’indebita somma di denaro al presidente del consiglio comunale». Stavolta, al fine di favorire «il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione di una struttura alberghiera al posto del fabbricato che ospitava l’ex stazione ferroviaria Trastevere». Era senza dubbio una congiuntura favorevole per i due amici e sodali, Camillo e Marcello. «Una congiunzione astrale tipo la cometa di Halley».                   Lo sosteneva l’avvocato Mezzacapo: «E allora Marcè, noi la dobbiamo sfruttare sta cosa, ci restano ancora due anni».

LE ASSOCIAZIONI SUL PIEDE DI GUERRA

Di fronte a una battaglia per la verità e la trasparenza che dura da molti anni, nei giorni scorsi, le associazioni Carteinregola, Cittadinanzattiva Lazio, CILD Centro Italiano per la Legalità Democratica, Good Lobby Italia, OPA (Osservatorio Pubblica Amministrazione), Openpolis, sono tornate alla carica, e in una lunga lettera rivolta alla sindaca, Virginia Raggi, e alle istituzioni municipali capitoline, hanno chiesto trasparenza negli atti, perché, dicono: sono cinque anni che la cittadinanza romana assiste passivamente  al dibattito e agli stop and go dell’operazione Stadio della Roma, senza conoscere quasi  nulla del progetto, delle sue ricadute sulla città, per quanto riguarda  gli impatti urbanistici sulla mobilità e  sull’ambiente, gli aspetti economici e i tanti problemi ancora da risolvere.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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