E’ straordinaria la potenza dell’infinitesimamente piccolo, del microscopico, di ciò che ad occhio nudo è invisibile e, pertanto, anche facilmente negabile dai fautori di un saccente infido razionalismo che è l’esatto contrario della ragione e che, infatti, scade nel riduzionismo o nel peggiore dei negazionismi.

La proteina Spike, l’aggancio che il Covid-19 ha con le nostre cellule per poterle penetrare e infettarci, pare abbia subito una mutazione in Gran Bretagna, dando vita ad una variante del virus che, pare, sarebbe molto più infettante di quella che abbiamo comunemente imparato a conoscere. Apprendere dagli scienziati tutto ciò è straordinario: la disamina sempre più precisa, particolareggiata dei fenomeni naturali, delle evoluzioni che non devono per forza essere positive per la nostra specie, è quasi commovente.

Noi esseri umani siamo in grado di rincorrere elementi patogeni che sfuggono al sensibile, osservandoli attraverso le lenti di macchinari sempre più complessi e per questo meticolosamente precisi nel darci risposte a dubbi che altrimenti rimarrebbero nel campo delle elucubrazioni e dei dibattiti accademici.

La scienza è un continuo divenire, un dinamismo culturale che si applica alla società in tutto e per tutto, ne è parte e pare estraniarsene un attimo soltanto quando la descrive, quando mette nero su bianco le osservazioni che derivano dagli ingrandimenti  di cellule che vivono di una incoscienza del tutto naturale, esistono e si evolvono secondo quel progetto descritto da Darwin che è tanto più chiaro quanto più si accompagna e si porta appresso un alone di mistero irrisolvibile.

Tutto si crea, cambia e nulla si distrugge ci insegna Lavoisier; proprio il “tutto” segue delle precise leggi di mutamento, fenomeni che si replicano così tante volte da diventare regole che non possono essere cambiate se non dalla natura stessa. Una naturalità degli eventi che è fatta di incontri, scontri e, per questo, di novità che arrivano inaspettate, deviano il corso della storia evolutiva di una specie, di organismi di ogni tipo, animali, vegetali, pluri e unicellulari.

L’economia globale di questo mondo si trova sempre più a dover fare i conti con una anarchica imprevedibilità che non lascia tregua a nessuna riunione di grandi organismi internazionali a difesa e tutela del capitalismo mondiale. La velocità con cui il coronavirus si adatta alle situazioni, ai luoghi e agli ospiti che trova nella sua diffusione è tale da spiazzare persino i ricercatori: figuriamoci i tecnocrati degli apparati di controllo della stabilità dei mercati.

Il Covid-19, nella sua espressione pandemica, è veramente rivoluzionario perché somma in sé una serie di caratteristiche uniche, irrintracciabili anche nelle epidemie che si sono avvicendate nel corso degli ultimi decenni. Più o meno tutte, pur se potenzialmente diffondibili su scala planetaria, sono state fermate prima che diventassero incontrollabili e, nonostante abbiano fatto tantissime vittime (e le stiano ancora facendo, come nel caso dell’HIV ed Ebola, per citarne due tra le più tristemente famose), oggi vengono gestite con un combinato fra contenimento sociale e prevenzione farmacologica.

Il Covid-19 invece, fin dal principio, ci ha dimostrato di essere primo nella corsa, quasi irraggiungibile e capace di distanziarci abilmente anche grazie ai comportamenti contraddittori che milioni e milioni di persone hanno praticato pensando di farla franca, di sfuggire al contagio mettendo avanti a tutto la propria “normalità” quotidiana, da non sacrificare momentaneamente per un più alto, se vogliamo, “ideale” di bene comune interpretato oggi dalla necessità di tutelare la salute di ognuno e di tutti al tempo stesso.

Nell’infinitesimamente piccolo sta la radice dei disagi dell’oggi, del mutamento sociale dai tratti fantascientifici della “guerra dei mondi“, dove non sono le grandi risposte quelle giuste, ma le altrettanto piccole azioni a fare da argine al proliferare del contagio.

Frotte di riduzionisti e negazionisti, schiere di complottisti, che hanno una immaginazione veramente surreale e una capacità di rimescolamento così arbitrario dei fatti con le supposizioni e con le vere e proprie invenzioni create per generare allarme sociale, confusione e panico, unitamente ad una endemica propensione all’autodeterminazione di sé stessi, sono complici della capacità adattativa del virus e della sua naturale evoluzione che ci fa ritenere, ad oggi, di avere qualche guaio in più da risolvere rispetto ad ieri.

Di certo, abbiamo come armi ormai testate e sicure la distanza personale, le mascherine e il lavaggio delle nostre consumate mani. Almeno quelle di chi davvero si lava per provare a tenere fuori il virus da casa propria e da ogni ambiente che frequenti. Chi era abituato a detergersi molto raramente, può ancora accampare qualche scusante; ma chi scientemente, invece, rifiuta di proteggersi perché pensa di essere il depositario di verità che gli altri non capiscono, reputandosi elevato, eletto sul piedistallo della discoverta non delle Americhe, bensì del complotto di un “nuovo ordine mondiale” basato sulla “dittatura sanitaria“, non ha nessun alibi da mostrare.

La pandemia ci ha richiamato ad un senso ampio ed esplicito di comunità: dal locale al nazionale, dai territori così diversi per natura e per struttura sociale al particolarissimo rapporto di ognuno di noi verso il resto del mondo, del nostro micro-mondo, quello che ci è più consono, in cui siamo abituati a vivere e che non è separabile dal resto del cosiddetto “villaggio globale“.

Gli schiaffi che il virus ci ha dato, per farci accorgere della sonnolenta incoscienza in cui eravamo piombati, non possono essere l’unica terapia possibile ad una formulazione delle coscienze in chiave moderna per costrizione o mediante un metodo induttivo.

Il grado di arretramento umano deve essere indagato da una moderna antropologia che prenda atto, con decisione, dello scontro tra brutalità degli eventi e indolenza abitudinaria dei “sapiens” tanto alla crudeltà emergente, alla pochezza disumana che viene spacciata per innovativa concezione dei rapporti interpersonali, quanto alle dinamiche analfabetiche di un dialogo tra opposte interpretazioni di una società sempre più divisa.

Divisa persino nel rapportarsi con l’oggettività dei dati scientifici: tanto che, una più che comprensibile diffidenza verso un nuovo farmaco o un vaccino, come nel caso dell’attuale pandemia, si trasforma in una mostro tricefalo che assembla il complottismo fantasioso che raccoglie le modernissime psicosi da accerchiamento, strumentalizzazioni politiche di squadrismi neoautoritari vestiti con gilet arancioni o camicia nera e, infine, correnti di revisionismo persino medico che vorrebbero appropriarsi del brevetto di disvelamento delle trame occulte che sedimentano un po’ ovunque nel campo sanitario e scientifico.

Fa meno danni la mutazione della proteina Spike di questi scopritori di verità nascoste che nemmeno lontanamente somigliano a dei critici della società capitalistica. La coscienza sociale di queste persone è del tutto priva di un moto di rivalsa nei confronti del regime dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo: anzi, distrae e distoglie milioni di lavoratori, di persone che potrebbero trovare una linea critica degna di questo nome verso le tante ingiustizie che si susseguono ogni giorno, mentre sono inglobati nel tritatutto dell’invenzione più smargiassata che, sulle insidiose ali del “presupposto“, gira per il mondo e crea un’anticultura densa di retropensieri e, quindi, senza alcuna critica ragionata, documentata e dimostrabile.

La lotta sociale contro le diseguaglianze non potrà avere un largo radicamento tra le masse, tra centinaia di milioni di salariati, di sfruttati di ogni parte della Terra, se non incontrerà una nuova cultura critica e una nuova cultura della critica stessa che escludano qualunque considerazione per ipotesi e illazioni ma che facciano tassativo riferimento alla dimostrazione scientifica dei processi di sviluppo economico, sociale e politico.

La vera rivoluzione che possiamo portare avanti, traendo una lezione dalla grande ondata del Covid-19, è prima di tutto un lavoro di riconnessione dell’analisi fondata sull’inchiesta, dunque sia sull’osservazione dei reali rapporti di forza tra le classi, per rimettere al centro le questioni veramente “di classe“, innovando scienza marxista e coscienza sociale.

Il ritorno alla “normalità” equivale ad un passato che deve essere superato nei fatti, sconfiggendo ogni tentativo di alienazione, oltre che materiale, anche intellettiva e, dunque, morale. Se si apre una nuova era nella ristrutturazione capitalistica indotta dalla potenza pandemica, allora si deve aprire anche una nuova era nella costruzione dell’alternativa sociale, sindacale e politica al sistema dello sfruttamento, delle merci e del profitto. Le forze rimaste alla sinistra di opposizione, anticapitalista e libertaria devono prendere in considerazione questo importante, improcrastinabile compito.

MARCO SFERINI

23 dicembre 2020

foto tratta da MR online

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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