È corretto privilegiare un approccio proprietario di fronte a una pandemia globale di questa portata che richiederebbe una risposta, vaccinale ma non solo, che deve coinvolgere almeno il 70-80% della popolazione mondiale per raggiungere la tanto agognata quanto incerta immunità di gregge?

Negli ultimi giorni siamo stati scossi dalle notizie relative al massiccio calo delle forniture vaccinali da parte della casa farmaceutica Pfizer, cui si sono aggiunti i ritardi già annunciati da AstraZeneca; per l’Italia tali ritardi si tradurranno inevitabilmente in un progressivo slittamento del piano vaccinale nazionale. Pzifer ha spiegato che la contrazione temporanea delle fornitura sarebbe legata all’ottimizzazione della sua capacità produttiva che passerà da 1,3 a 2 miliardi di dosi prodotte per anno. La situazione si evolve di giorno in giorno e, a oggi, non sembra promettere nulla di buono.

Nell’ultimo anno abbiamo assistito alla corsa al vaccino da parte delle varie case farmaceutiche e anche ai nazionalismi a essa connessi (attualmente sono in sviluppo circa 140-160 progetti concorrenti).

Ci siamo chiesti se il processo che sta avvenendo, tutto centrato sulla tutela estrema della proprietà intellettuale, cioè sulla brevettazione a fini commerciali dei vaccini, degli strumenti e delle metodologie per produrlo come anche dei sistemi di diagnosi (tamponi, reagenti, ecc.) e dei farmaci per chi si ammala, non sia, oltre che palesemente ingiusto dal punto di vista etico, anche totalmente inefficace di fronte alla dimensione globale dell’epidemia che coinvolge 7,85 miliardi di persone sulla Terra.

Come è noto alcune aziende farmaceutiche sono riuscite a completare l’intera fase di sperimentazione e hanno immesso sul mercato i loro prodotti. Gli accordi bilaterali e gli impegni di pre-acquisto stipulati dai paesi a più alto reddito (dove vive al massimo il 20-25% della popolazione mondiale) hanno ormai completamente saturato la capacità produttiva delle società farmaceutiche, impegnandole almeno fino al 2022; le strategie commerciali adottate stanno inoltre facendo levitare enormemente il costo delle dosi per i paesi a basso reddito.

Ogni gruppo farmaceutico e ogni Stato sta quindi lavorando in autonomia, in una corsa per accaparrarsi tutto il mercato, alla faccia della retorica del Vaccino Bene Comune che ogni tanto viene propinata.

In genere, l’intero processo di ricerca e sviluppo si svolge con le tecnologie brevettate da ogni azienda produttrice, allo scopo di mantenere il monopolio sull’intero processo e non solo sul prodotto finale. Da ciò che si sa, poco o niente viene condiviso tra gruppi di ricerca concorrenti e i dati sperimentali non vengono resi completamente disponibili alla comunità scientifica, favorendo così la frammentazione della conoscenza. In altri contesti di ricerca, forse meno direttamente legati agli interessi commerciali, si adotta un diverso approccio, incentrato sulla massima collaborazione e condivisione di dati e conoscenze tra gruppi di ricercatori; tale approccio collaborativo è alla base del conseguimento di enormi risultati scientifici, dei cui effetti diretti e indiretti spesso beneficiamo tutti senza esserne consapevoli.

È corretto privilegiare un approccio proprietario di fronte a una pandemia globale di questa portata che richiederebbe una risposta, vaccinale ma non solo, che deve coinvolgere almeno il 70-80% della popolazione mondiale per raggiungere la tanto agognata quanto incerta immunità di gregge? Anche solo facendo i conti con l’attuale capacità produttiva dichiarata dalle case farmaceutiche che producono i vaccini per ora risultati efficaci e considerando che occorrono due dosi per persona con un richiamo annuale, si direbbe proprio di no.

Ma come siamo finiti in una situazione in cui i vincoli di natura commerciale che insistono su farmaci, vaccini e strumenti medico-diagnostici sembrano impedire di affrontare adeguatamente una emergenza che coinvolge l’intera specie Homo sapiens?

Sede di Pfizer (da commons.wikimedia.org)

L’ENTRATA IN VIGORE DEI TRIPS

Il primo gennaio 1995 entra in vigore l’accordo Trips (Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale), un trattato internazionale promosso dalla Wto (Organizzazione Mondiale del Commercio) finalizzato ad armonizzare nel mondo i diritti di proprietà intellettuale, tra cui i diritti relativi ai brevetti, anche quelli sui farmaci.

Prima dell’Accordo Trips ogni paese poteva decidere di produrre farmaci generici prima che il brevetto diventasse di pubblico dominio, ma la globalizzazione dei diritti di proprietà intellettuale ha impedito tale pratica, determinando la crescita incontrollata dei prezzi dei farmaci e compromettendo l’accesso alle cure di intere fasce della popolazione mondiale meno abbiente.

Negli anni successivi, tale accordo consentì a un’alleanza di 38 case farmaceutiche, allora denominate “Big Pharma”, di bloccare un atto legislativo del governo sudafricano di Mandela che autorizzava la produzione locale e l’importazione di farmaci generici a basso costo, per contrastare la pandemia di Aids per la quale nel 1996 era stato finalmente individuato un trattamento efficace. Le case farmaceutiche, dietro le pressioni internazionali si ritirarono alla fine dal processo – iniziato nel marzo 2001 quando ormai i decessi in Africa erano raddoppiati – e da allora fu possibile concedere licenze per la produzione locale e per l’importazione di farmaci a basso costo.

LA SITUAZIONE ATTUALE

Il 2 ottobre 2020 India e Sudafrica hanno presentato un’istanza presso il Council of Trips, organo della Wto competente in materia, per richiedere la rinuncia all’attuazione e all’applicazione dell’Accordo Trips per la «prevenzione, il contenimento e il trattamento della Covid-19»; la deroga riguarderebbe quindi non solo i vaccini, ma tutti gli strumenti necessari per affrontare l’emergenza globale e condurrebbe alla sospensione temporanea di tutti i diritti di proprietà intellettuale rimanendo in vigore «fino a quando la vaccinazione diffusa non sarà in atto a livello globale e la maggior parte della popolazione mondiale non avrà sviluppato l’immunità». A oggi si sono associati alla richiesta anche Bolivia, Eswatini, Kenya, Mozambico, Mongolia, Pakistan, Repubblica Bolivariana del Venezuela, Zimbabwe ed Egitto.

Secondo i promotori della richiesta «le esigenze globali sono enormi e possono essere affrontate solo con la condivisione di tecnologia, conoscenza e proprietà intellettuale correlata» e «sarebbe ingenuo per qualsiasi paese pensare di poter vincere un virus, che non conosce confini, semplicemente vaccinando la propria popolazione».

Alcuni Stati membri del Council of Trips, tra cui l’Unione Europea, si sono opposti alla proposta sostenendo che i meccanismi di flessibilità già previsti nell’Accordo Trips – come ad esempio le “licenze obbligatorie” – siano sufficienti a garantire l’accesso globale ai farmaci; altri hanno affermato che non ci sono prove che la proprietà intellettuale possa costituire un ostacolo all’accesso a vaccini, trattamenti o tecnologie.

Secondo gli Stati proponenti inoltre, le iniziative di cooperazione globale, come il Covax che raccoglie donazioni internazionali per garantire l’accesso ai vaccini, sono inadeguate a soddisfare le enormi esigenze di tutti gli abitanti del pianeta.

La discussione è tuttora in corso, ma sembra molto difficile che la contrarietà espressa in particolare da Stati Uniti, Unione Europea, Giappone e Regno Unito, possa modificarsi tanto da consentire di formalizzare una richiesta di deroga dagli accordi relativi alla proprietà intellettuale.

La prossima riunione formale del Council of Trips è programmata per il 4 febbraio 2021.

A dicembre il Sud Africa ha duramente condannato gli accordi bilaterali tra le aziende farmaceutiche e i governi, accordi non trasparenti e irresponsabili, che dimostrano la sostanziale inesistenza della tanto decantata collaborazione globale, ma che anzi alimentano e rafforzano quello che viene apertamente definito «apartheid dei vaccini», aprendo così «voragini di iniquità» che continueranno a estendersi, a meno che non vengano intraprese iniziative volte a superare le barriere imposte dalla proprietà intellettuale.

Sarà questa l’occasione persa dall’intera specie?

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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