- Paolo Desogus
Cento anni fa nasceva Gianni Agnelli, l’avvocato, l’uomo dai mille vezzi, alcuni ridicoli – come l’orologio al polsino -, l’amico di quel politico democratico specchiato che è stato Henry Kissinger, l’allievo di Vittorio Valletta – quello che schedava gli operai comunisti -, il padrone della Juventus e della Fiat.
Si diceva di lui che avesse un grande fascino. Ma quando sei potente e ricco sfondato non è difficile avere una ascendente sugli altri, specie tra coloro che hanno in animo l’impulso al servilismo. E in Italia non sono pochi. Ma per carità, io sono di parte, e per me Gianni Agnelli rappresenta il peggio dell’Italia, rappresenta la borghesia che cerca di diventare aristocrazia e che pretende che i propri privilegi – non di rado parassitari – diventino qualcosa di naturale, di sancito per legge. Però ripeto, sono di parte, la mia parola non fa testo. Se volete sapere chi è Agnelli allora guardatevi intorno: l’Italia di oggi gli deve molto, gli somiglia tanto. È l’Italia in cui Gianni Agnelli e la sua idea di paese hanno vinto. Bella, no?