riceviamo e pubblichiamo
mcc434 giorni fa
Mentre i Palestinesi preparano le elezioni e quella a Gerusalemme Est è osteggiata dal governo israeliano, mentre in Israele stanno per scadere i termini per la formazione del governo e Netanyahu mira ad una quarta elezione, in città gli animi si allontanano dalla politica e molti gerosolimitani s’infiammano di antico astio.
La città è di fatto divisa in due parti e rivendicata come capitale dagli uni e dagli altri. Nella zona est abita la maggioranza araba – sempre più respinta da nuove costruzioni che ampliano la zona ovest ebrea – ed è lì che si trova la porta di Damasco dove giovedì sono avvenuti i peggiori scontri della settimana tra palestinesi e suprematisti ebraici. Risuonavano grida “Allah akbar” e “Morte agli Arabi”, 150 arabi più un civile ebreo e un poliziotto sono rimasti feriti, 50 gli arresti in totale nei due gruppi.
Perchè tutto questo? Scrive su Haartez, Anshel Pfeffer:
“È stato il risultato della marcia del gruppo suprematista ebraico Lehava che si stava svolgendo da piazza Sion a Gerusalemme occidentale? È stato a causa della bizzarra decisione della polizia di recintare le ampie sezioni della piazza intorno alla Porta di Damasco durante il Ramadan? Era tutto collegato alle aggressioni contro ebrei sulla metropolitana leggera di Gerusalemme postati con giubilo da giovani (ndr. due) palestinesi su TikTok?
Nonostante le scene tempestose di giovedì sera e gli scontri piuttosto più limitati da allora, questa non è affatto la peggiore violenza a Gerusalemme degli ultimi anni, almeno finora Al-Aqsa e i dintorni del Monte del Tempio sono rimasti tesi ma calmi. Però mancano ancora due settimane di Ramadan e un’ulteriore escalation è possibile, soprattutto perché la notte del Qadr, uno dei picchi religiosi del Ramadan, cade quest’anno il giorno in cui migliaia di sionisti religiosi si riversano a Gerusalemme per commemorare la cattura della Città Vecchia e del Muro Occidentale nella Guerra dei Sei Giorni nel 1967. L’attuale minaccia di escalation è dovuta a una giustapposizione di eventi e cause come questa, apparentemente non collegate, che si sono combinate per creare una situazione potenzialmente esplosiva.
Per cominciare, c’è stata un’ondata di baldanza dell’estrema destra neofascista israeliana rafforzata dall’elezione alla Knesset il mese scorso del leader Itamar Ben-Gvir della fazione Potere Ebraico, nel gruppo Sionismo Religioso. Non solo Ben-Gvir è stretto alleato di Benzi Gopstein, fondatore e leader di Lehava, ma lui e altri membri del Sionismo Religioso hanno condiviso negli ultimi giorni gli stessi messaggi online di avvertimento sui “pogrom del nemico arabo”. Le marce di Lehava a Gerusalemme non sono nuove, ma in passato erano presenti al massimo qualche dozzina di adolescenti annoiati, sebbene violenti, e di solito rapidamente dispersi dalla polizia. Questa volta erano centinaia, secondo alcuni rapporti forse 1.000. La marcia si è svolta sotto la protezione della polizia, sebbene non sia stato impedito alla maggior parte di raggiungere i quartieri palestinesi. Ed è impossibile ignorare il fatto che ora, sotto il nuovo status di parlamentare, si può vedere Ben-Gvir come sostenuto dalla coalizione di Benjamin Netanyahu.
Un altro aspetto relativamente nuovo della marcia di Lehava è stato il gran numero di giovani ultraortodossi che vi hanno preso parte. In effetti, erano la maggioranza. La maggior parte dei manifestanti haredi (ndr. religiosi molto conservatori) sembrava troppo giovane per aver già votato, ma la loro presenza è un altro segno dell’erosione dell’autorità della leadership rabbinica tradizionale, fermamente contraria a tali proteste.
I giovani palestinesi che si sono scontrati con la polizia vivono a poche centinaia di metri dai giovani haredim nella marcia di Lehava che spingeva contro le barriere. La loro situazione li rispecchia in molti modi: non hanno leader chiari, politici o religiosi e come palestinesi che vivono a Gerusalemme est sono tagliati fuori dalla Cisgiordania, hanno i diritti dei residenti ma sono senza cittadinanza . Vivono in una zona crepuscolare tra Israele e la limitata autonomia dell’Autorità Palestinese.
I servizi municipali di Gerusalemme, con i suoi assistenti sociali, psicologi e consulenti del lavoro, servono solo un terzo della città, gli ebrei non haredi; hanno scarso accesso ai giovani ultraortodossi e palestinesi o alle risorse per affrontarli. La polizia di Gerusalemme non manca di risorse, ma non ha una vera leadership. Al vertice c’è il ministro della Pubblica Sicurezza Amir Ohana, che si è rifiutato anche di ammettere pubblicamente che a Gerusalemme c’è qualche violenza anti-araba. Sotto di lui c’è il nuovo Commissario della Polizia Nazionale Yaakov Shabtai, che ha poca esperienza di Gerusalemme. Sabato sera, Shabtai ha insistito sul fatto che i gradini intorno alla Porta di Damasco fossero sempre stati recintati a ogni Ramadan. Non si è reso conto che ciò è palesemente falso. La decisione è stata presa dal nuovo capo della polizia di Gerusalemme Doron Turgeman, che conosce bene la città e avrebbe dovuto conoscerla meglio. Probabilmente adesso ha dei rimpianti, ma non può tirarsi indietro.
Tutto a Gerusalemme è politico, ma non tutte le cause profonde di questo round di violenza lo sono. Non è un caso che la peggiore delle violenze sia avvenuta nelle notti in cui il tempo è cambiato e la frustrazione di lunghe giornate di digiuno, l’impulso naturale di scoppiare dopo quasi un anno di blocco e le temperature in rapido aumento hanno coinciso. A Gerusalemme non ci vuole niente a passare da zero a cento, dalla noia condivisa al linciaggio della folla, soprattutto quando non c’è una leadership politica locale e nazionale o una polizia efficace per impedirlo.”
https://mcc43.wordpress.com/2021/04/26/gerusalemme-eternamente-ferita/amp/?__twitter_impression=true