Articolo collettivo presentato da oltre 70 cofirmatari, fra cui Eric Toussaint, Costas Lapavitsas, Stathis Kouvelakis, Zoe Konstantopoulou, Miguel Urbán Crespo, Marina Albiol, Alexis Cukier, Jeanne Chevalier, Christine Poupin

Il testo seguente, tradotto dalla Fionda, è stato firmato da più di 70 personalità di oltre 15 paesi europei (si vela la lista in coda al testo originale), del centro quanto della periferia, di analoga inclinazione critica del sistema economico dominante e della sua declinazione europea. Tale analisi è maturata a ridosso della sconfitta greca contro la Troika, che chiude la crisi dei debiti sovrani 2009-2015 con una netta vittoria delle oligarchie europeiste. Uno dei principali promotori è Eric Toussaint, portavoce del Comitato per l’Abolizione dei Debiti illegittimi (CADTM), una rete di gruppi che lavora da anni sui temi del debito e della finanza; Toussaint è stato anche coordinatore della Commissione per l’Audit del debito greco, ha lavorato a stretto contatto con la nomenclatura di Syriza, dando un giudizio poco lusinghiero dei suoi vertici, incluso lo stesso Varoufakis.

A differenza di molte delle sinistre (anche se denominate “radicali”) gli estensori, anche in forza della eccezionale esperienza sul campo di Toussaint, hanno maturato una convinzione significativa: che solo misure sovrane e unilaterali potranno dare uno sbocco emancipativo e popolare con una rottura del sistema vigente del debito estero e dell’austerità made in UE

Da maggio 2010, il debito è diventato una questione cruciale in Grecia e nel resto dell’eurozona. Il primo programma da 110 miliardi di euro attuato dalla Troika – costituita per la sua elaborazione ed esecuzione – ha provocato un enorme e brusco aumento del debito pubblico greco. Lo stesso processo si è ripetuto in Irlanda (2010), Portogallo (2011), Cipro (2013) e in Spagna sotto una forma particolare.

I programmi avevano cinque obiettivi fondamentali:

  1. Permettere alle banche private [1] di ricevere un salvataggio pubblico per non pagare il conto dello scoppio della bolla del credito privato che avevano creato e per evitare una nuova crisi finanziaria privata internazionale su larga scala. [2]
  2. Dare ai nuovi creditori pubblici, [3] che hanno sostituito i creditori privati, un enorme potere di coercizione sui governi e sugli stati dei paesi periferici per imporre una politica di austerità radicale, deregolamentazioni (contro tutta una serie di conquiste sociali), privatizzazioni e rafforzamento delle pratiche autoritarie (vedi punto 5).
  3. Preservare il perimetro dell’eurozona – cioè mantenere la Grecia e altri paesi della periferia all’interno dell’eurozona – che è uno strumento potente nelle mani delle grandi imprese private europee e delle economie che la dominano.
  4. Approfondire le politiche neoliberali, in particolare in Grecia, ma anche in altri paesi della periferia, un esempio e un mezzo di pressione per le popolazioni europee nel loro insieme.
  5. Rafforzare a livello europeo (sia a livello dell’UE che di ogni stato membro) forme autoritarie di governo, senza ricorrere direttamente alle nuove esperienze del regime fascista, nazista, franchista, salazarista o dei colonnelli greci (1967-1974). [4]

Dobbiamo imparare dal fallimento della politica adottata dal governo di Alexis Tsipras nel 2015 per rompere con l’austerità. Allo stesso modo, dobbiamo essere consapevoli dei limiti dell’esperienza del governo socialista di minoranza di Antonio Costa in Portogallo. [5].

Un orientamento alternativo, favorevole agli interessi del popolo, deve concentrarsi sui temi quali l’austerità, il debito pubblico, le banche private, l’Eurozona e l’opposizione alle politiche autoritarie. Il bilancio del periodo 2010-2016 nell’Eurozona è abbastanza chiaro: è impossibile uscire dall’austerità senza dare risposte almeno a questi cinque problemi. Naturalmente, è necessario aggiungere che l’alternativa deve affrontare anche altri problemi, come la crisi climatica ed ecologica, la crisi umanitaria legata al rafforzamento della fortezza Europa che ogni anno condanna migliaia di migranti o richiedenti asilo a morte certa nel Mediterraneo o altrove, la crisi in Medio Oriente. Si tratta anche di combattere l’estrema destra e la crescita del razzismo. Tenendo conto della vittoria di Donald Trump, e dopo l’emergere dell’ampio movimento che ha chiamato a combattere in prima linea contro Trump e i suoi progetti, la sinistra anticapitalista eco-socialista, i movimenti sindacali, sociali, femministi ed ecologici europei devono costruire ponti con le forze resistenti negli Stati Uniti.

Gran parte della sinistra radicale con rappresentanza parlamentare aveva, e ha ancora, una percezione sbagliata dell’integrazione europea attraverso l’UE e l’eurozona. In sintesi, questa sinistra vede nell’UE e nell’eurozona più vantaggi che svantaggi, e ritiene che sia l’UE che l’eurozona siano compatibili con un ritorno alle politiche socialdemocratiche, con un po’ meno ingiustizia, con qualche recupero del keynesianesimo.

È essenziale, sulla base dell’esperienza del 2015, allargare il campo delle forze che non si fanno illusioni sull’UE e sull’Eurozona, e che propongono una prospettiva genuinamente ecosocialista, di rottura con l’UE così come è costituita ora. Dobbiamo partire dalla constatazione che sia l’UE che l’eurozona non possono essere riformate.

Nel 2015, tutti hanno potuto vedere che sulla sola base della legittimità offerta dal suffragio democratico e con le negoziazioni è impossibile convincere la Commissione europea, il FMI, la BCE e i governi neoliberali al potere negli altri paesi europei a prendere misure che rispettino i diritti dei cittadini greci e del popolo in generale; il referendum del 5 luglio 2015, che essi hanno combattuto con ricatti e coercizioni (come la chiusura delle banche greche 5 giorni prima del referendum) non li ha convinti della necessità di fare concessioni. Al contrario, calpestando i diritti democratici fondamentali, hanno radicalizzato le loro richieste. Certamente, in linea di principio, una serie di misure avrebbero dovuto e potuto essere prese a livello europeo per far recuperare l’economia, ridurre l’ingiustizia sociale, rendere sostenibile il rimborso del debito e dare ossigeno alla democrazia. Yanis Varoufakis, come ministro delle finanze, aveva fatto proposte in questo senso nel febbraio 2015. L’idea era di scambiare il debito greco con due nuovi tipi di obbligazioni: 1. obbligazioni indicizzate alla crescita; 2. obbligazioni cosiddette “perpetue”, nel senso che la Grecia avrebbe rimborsato solo gli interessi ma in perpetuo. [6] Le proposte di Varoufakis, sebbene moderate e perfettamente fattibili, non avevano, in realtà, alcuna possibilità di essere accettate dalle autorità europee. 

È il caso di tutta una serie di proposte volte ad alleviare radicalmente il peso del debito della Grecia e di molti altri paesi europei (mutualizzando i debiti, emettendo eurobond, ecc.). Tecnicamente, avrebbero potuto essere attuati, ma è importante rendersi conto che nel contesto politico e con l’equilibrio di potere che prevale nell’UE, i paesi con governi progressisti non possono aspettarsi di essere ascoltati, rispettati e ancor meno sostenuti dalla Commissione europea, dalla BCE o dal MES (Meccanismo europeo di stabilità). La BCE ha i mezzi per soffocare il sistema bancario di uno stato membro dell’eurozona tagliando il suo accesso alla liquidità. Come menzionato sopra, la BCE l’ha usato in Grecia nel 2015. L’unione bancaria e il potere arbitrario della BCE rafforzano i mezzi di coercizione a disposizione delle istituzioni europee per far deragliare un’esperienza di sinistra.

Ora, i trattati sono divenuti estremamente coercitivi  sul debito e sul deficit. In termini assoluti, le autorità europee, compreso il Consiglio dell’Unione, potrebbero decidere di derogare a questi mezzi di coercizione in considerazione della situazione di crisi (e di fatto, lo hanno già fatto con i governi che erano dalla loro parte) [7] ma evidentemente non ne hanno la minima intenzione. Al contrario, queste istituzioni così come il FMI e i governi neoliberali di altri paesi hanno combattuto attivamente il governo greco, nonostante il fatto che quest’ultimo fosse molto moderato (il minimo che si possa dire). La maggior parte dei media e molti leader politici europei hanno presentato Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis come ribelli, persino come radicali antieuropei. La Troika ha combattuto l’esperienza che si stava svolgendo in Grecia tra gennaio e luglio 2015, per dimostrare a tutti i popoli europei che non ci sono alternative al modello capitalista neoliberale.

La capitolazione del primo governo di Alexis Tsipras non è stata sufficiente per loro, i leader europei e il FMI hanno chiesto e ottenuto dal secondo governo di Tsipras l’approfondimento delle politiche neoliberali colpendo ancora di più il sistema di sicurezza sociale, in particolare il sistema pensionistico, accelerando le privatizzazioni, imponendo molteplici cambiamenti in campo giuridico e legislativo che costituiscono fondamentali arretramenti strutturali a favore del grande capitale e contro i beni comuni. [8] Tutte queste nuove misure e controriforme rafforzano l’ingiustizia e la precarietà. Se i creditori finissero per accettare una nuova ristrutturazione del debito, [9] sarebbe a condizione di continuare con lo stesso tipo di politiche. In questo caso una riduzione del debito non sarebbe né una vittoria né un premio di consolazione. Sarebbe solo una misura volta a garantire la continuazione dei rimborsi e a cercare di evitare una ripresa vigorosa delle lotte sociali.

Si deve trarre una prima conclusione: senza prendere misure sovrane unilaterali forti per la propria autodifesa, le autorità nazionali e i popoli che le hanno elette per rompere con l’austerità non potranno mettere fine alla violazione dei diritti umani perpetrata su richiesta dei creditori e delle grandi imprese private.

Qualcuno potrebbe replicare che se un governo di sinistra governasse in Spagna, potrebbe usare il peso dell’economia spagnola (quarta economia dell’eurozona in base al suo PIL) per negoziare con i principali governi della zona e ottenere concessioni che Tsipras non ha potuto ottenere [nel 2017 pareva possibile che Podemos diventasse il primo partito in Spagna, invece nelle elezioni del 2019 ebbe un risultato assai inferiore, N.d.R.]. Quali concessioni? La possibilità di una ripresa dell’economia e dell’occupazione attraverso una spesa pubblica massiccia e quindi con un deficit pubblico considerevole? Berlino, la BCE e almeno altre cinque o sei capitali della zona euro si opporrebbero! Possibilità di prendere misure molto forti nei confronti delle banche? La BCE sostenuta dalla Commissione rifiuterebbe questa opzione.

Quello che è anche certo è che se le forze della sinistra radicale dovessero prendere il potere in paesi come il Portogallo, Cipro, l’Irlanda, la Slovenia o le tre repubbliche baltiche, non saranno in grado di convincere la Commissione o la direzione della BCE a permettere loro di rompere fortemente con l’austerità, le privatizzazioni. Questi governi dovranno resistere e prendere misure unilaterali per difendere il loro popolo. E se diversi movimenti di sinistra andassero al potere contemporaneamente in diversi paesi della zona euro e chiedessero insieme un negoziato? Certo, sarebbe bello, ma dobbiamo escludere anche questa possibilità, se non altro a causa del calendario elettorale.

Potrebbe essere che un governo di sinistra al potere a Parigi, come sarebbe il caso se Mélenchon vincesse le elezioni presidenziali, accompagnato da forze di sinistra radicale nelle successive elezioni legislative, forzi una riforma dell’euro? Questa è l’ipotesi del team della campagna di Jean-Luc Mélenchon. Ma possiamo ragionevolmente dubitare di questa possibilità. Ammettiamo che Mélenchon diventi presidente della Francia e formi un governo [si fa riferimento alla possibilità che nelle elezioni presidenziali dell’aprile 2017 – con ballottaggio a maggio – Mélenchon vincesse]. Quindi vorrà attuare una serie di misure di giustizia sociale e cercare di ottenere una riforma dell’euro. Di tutto ciò, cosa sarà possibile? Ovviamente, sarà possibile per un governo di sinistra in Francia disobbedire ai trattati e imporre le sue scelte, ma non sarà in grado di realizzare una profonda riforma dell’eurozona. Per ottenere ciò, sarebbero necessarie vittorie elettorali simultanee della sinistra, sia nei paesi principali che in diversi paesi periferici. Detto questo, è chiaro che un governo della France Insoumise e dei suoi alleati, che prendesse misure unilaterali a favore del popolo francese e dei popoli del mondo (per esempio, cancellare unilateralmente i debiti della Grecia e dei cosiddetti paesi in via di sviluppo nei confronti della Francia) potrebbe svolgere un ruolo positivo in Europa.

Anche se facciamo questa analisi, non si tratta di cercare una via d’uscita nazionalista dalla crisi. Come in passato, è necessario adottare una strategia internazionalista e sostenere un’integrazione europea dei popoli in opposizione alla continuazione dell’integrazione attuale, che è completamente dominata dagli interessi del grande capitale.

Gli anelli deboli della catena del dominio intraeuropeo si trovano nei paesi periferici. Se Syriza avesse adottato una strategia corretta, ci sarebbe potuto essere un cambiamento positivo nel 2015. Ma così non è stato. Gli altri anelli deboli della catena in cui la sinistra radicale potrebbe ottenere l’accesso al governo nei prossimi anni sono soprattutto Spagna e Portogallo. Potrebbe anche essere possibile, in futuro, in Irlanda, in Slovenia, a Cipro, e così via. Questo dipenderà da molti fattori: la capacità della sinistra radicale di imparare le lezioni del 2015 e di avanzare proposte anticapitaliste e democratiche che generino adesioni. E dipenderà anche, senza il minimo dubbio, dal grado di mobilitazione popolare. Se non c’è pressione dalla strada, dai quartieri, dai luoghi di lavoro per cambiamenti reali e per rifiutare compromessi imperfetti, avremo un futuro tetro.

[1] Nel caso della Grecia, si trattava principalmente di banche greche, francesi, tedesche, belghe e olandesi (una quindicina di grandi banche private per dare un’idea approssimativa). Per un’analisi dettagliata si veda il Preliminary Report of the Commission for the Truth on Greek Public Debt, giugno 2015, capitoli 1 e 2, http://www.cadtm.org/Rapport-preliminaire-de-la ; intervento di Eric Toussaint alla presentazione del rapporto preliminare della Commissione per la verità il 17 giugno 2015: http://www.cadtm.org/Intervention-d-Eric-Toussaint-a-la ; vedi anche “Grecia: le banche sono all’origine della crisi”, pubblicato il 23 dicembre 2016, http://www.cadtm.org/Grece-Les-banques-sont-a-l- origine  

Infine vedi: Documenti segreti dell’FMI sulla Grecia con commenti di Eric Toussaint (CADTM), http://www.cadtm.org/Documents-secrets-du-FMI-sur-la 

[2] A quel tempo, le attività di molte delle principali banche francesi, tedesche, olandesi, belghe, ecc. coinvolti erano fortemente intrecciati con i mercati finanziari negli Stati Uniti e con le maggiori banche negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Un legame ulteriore è che hanno avuto accesso ad un’importante linea di credito offerta dalla Federal Reserve degli Stati Uniti, da qui l’interesse mostrato dall’amministrazione di Barack Obama per la crisi greca e irlandese, e più in generale per la crisi bancaria europea .

[3] Nel caso della Grecia, si trattava di 14 Stati della zona euro “rappresentati” dalla Commissione europea, dall’EFSF – Fondo europeo per la stabilità finanziaria – (a cui è succeduto il MES – Meccanismo europeo di stabilità), la BCE e l’FMI.

[4] Quest’ultimo aspetto è spesso insufficientemente preso in considerazione perché l’accento è posto sugli aspetti economici e sociali. La tendenza autoritaria all’interno dell’UE e della eurozona è, tuttavia, sia una questione centrale che un obiettivo deliberatamente perseguito dalla Commissione europea e dalle grandi imprese. Ciò riguarda il rafforzamento del potere esecutivo, l’uso di procedure di voto rapide, la violazione o la limitazione di una serie di diritti, il mancato rispetto delle scelte degli elettori, l’aumento della repressione della protesta sociale …

[5] Nelle elezioni legislative del 4 ottobre 2015, le forze di sinistra hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi nell’Assemblea nazionale: il PS è arrivato secondo, con il 32,4%; al terzo posto il Bloco de Esquerda (Blocco di sinistra) con il 10,3% e 19 deputati (8 nel 2011); il PCP guadagna un seggio e ha 15 deputati; il partito dei verde, il PEV, rimane con 2 seggi. A novembre 2015 è stato concluso un accordo di governo: il PS governa da solo e gli altri due partiti più radicali (BE e PCP), pur rifiutando di entrare al governo, sostengono in Parlamento le sue decisioni quando le approvano.

[6] Si veda http://www.latribune.fr/actualites/economie/union-europeenne/20150203trib85abe7370/les-propositions-grecques-pour-restructurer-la-dette.html

[7] Per citare solo alcuni esempi: la Francia di Nicolas Sarkozy e la Germania di Angela Merkel non sono state sanzionate nonostante non abbiano rispettato i loro obblighi di deficit; più recentemente, la Commissione è stata lassista anche nei confronti del governo di Mariano Rajoy nel 2015 e nel 2016.

[8] Modifica della normativa affinché in caso di fallimento di una società le banche creditrici abbiano la precedenza sui dipendenti e i pensionati dell’azienda  (estate 2015); completa emarginazione degli enti pubblici nell’azionariato delle banche (dicembre 2015); aumento del potere dell’ente indipendente di riscossione delle imposte; ulteriori passi indietro nel sistema pensionistico; ulteriori arretramenti nel codice del lavoro; istituzione di un meccanismo di tagli automatici di bilancio in caso di scostamento dagli obiettivi di eccedenza di bilancio fissati nel marmo del 3 ° Memorandum. Si constata anche un peggioramento del debito delle famiglie.

[9] Il debito è già stato ristrutturato nel 2012. Le autorità europee hanno annunciato una riduzione del 50% del debito greco. In realtà l’’aumento dell’indebitamento è ripreso subito dopo la ristrutturazione. Le misure annunciate a dicembre 2016 costituiscono una vera commedia (vedi Michel Husson http://www.cadtm.org/Grece-allegement-en-trompe-l-oeil).

[10] Per una spiegazione della socializzazione delle banche, vedere Cosa fare con le banche? Versione 2.0, http://www.cadtm.org/Que-faire-des-banques-Version-2-0 

[11] Applicare un tasso di cambio progressivo al passaggio dall’euro alla nuova moneta ridurrebbe la liquidità detenuta dall’1% più ricco e ridistribuirebbe la ricchezza liquida alle famiglie.

[12] Questo può essere combinato con misure di fornitura gratuita di acqua, elettricità, gas, ecc. per individuo e fino a un certo livello di consumo.

(traduzione di Antonello Gianfreda e Matteo Bortolon)FacebookTwitterWhatsAppTelegramCopy LinkCondividi

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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