Pakistan, Italia, oriente, occidente, cultura, tribalismo, diritti delle donne e patriarcato. Di più ancora: laicità e religione. Mescolate tutti questi ingredienti e vi accorgerete che il mondo è uguale, da ovest ad est, da nord a sud, soltanto nella ripetizione di gesti e atti che seguono a mentalità purtroppo umane, ora legate a tradizioni moralistiche e moraleggianti, ora a dettami religiosi e ottenebranti le menti di persone che in coscienza sanno di non essere giusti, di non fare del bene, di limitare i diritti di una figlia, di una madre, di una sorella, di una nipote… Ma lo devono fare. Perché ne va dell’onore della famiglia.

Già, la famiglia; questo involucro ancestrale di un società plurimillenaria, che si perde nella notte dei tempi, tra le pagine dei cosiddetti “testi sacri” dei culti monoteisti: cristianesimo e Bibbia, islamismo e Corano, ebraismo e Tōrāh. Un certo carattere antievolutivo delle religioni si manifesta in tutta la sua prepotenza grazie al dogmatismo, al fideismo piuttosto che alla fede: la sospensione di ogni razionalità è il primo passo per il disconoscimento di qualunque ragione (nel senso di “diritto“) possa e debba avere ogni persona per difendere sé stesso, la propria esistenza, la propria spontanea evoluzione in questo disgraziato mondo.

Per fortuna fede e coscienza sono ancora separabili e alla seconda si deve fare riferimento quando la prima tradisce i più elementari presuposti di autonomia e di indipendenza di ognuno di noi. Alla coscienza si dovrebbe fare riferimento anche (forse soprattutto) quando è la legge a imporci (o volerci imporre) comportamenti che riteniamo lesivi dei diritti individuali, umani, civili e sociali che siano. La disobbedienza diventa l’ultima arma che ha la coscienza per non soffocare, per non venire meno al suo ruolo di motore invisibile tanto della vita spirituale quanto di quella materiale.

Saman ha tentato di scappare, ma l’hanno acciuffata e ricondotta a casa. L’hanno forse rabbonita con qualche promessa, mostrandosi ragionevoli, apparendo e non essendo, fingendo ancora una volta: nel dirsi buoni credenti in un dio che punisce gli assassini, nell’essere genitori e zii che mutano pelle, si trasformano in un clan che uccide e occulta il corpo. E poi vigliaccamente fugge: chi in Europa, ricercato dall’Interpol e chi in Pakistan. «Se qualcuno la cerca, diremo che è tornata in Pakistan». Pare la trama di un film girato per denunciare il confine tra umano e disumano, tra vita e morte, tra fede e ottundimento, tra coscienza e ignoranza voluta della stessa.

Chi ha ucciso Saman vorrebbe farci credere, autoconvincendosene, che l’etica religiosa prevale sulla morale civile e sociale perché la prima è divina mentra la seconda è umana. Si potrebbe facilmente obiettare che non esisterebbe nessuna religione se nessuna la pensasse e se nessuno lo facesse affidando l’inquietudine per l’incomprensione dell’esistenza alla soluzione “dio”, che tutto spiega, che non abbisogna di nessun progresso scientifico per capire l’universo e ciò che contiene.

Ma questa facile, oggettiva obiezione, tipica di un agnostico o di un ateo, sarebbe rigettata immediatamente perché chi vive di dogmi e di assolutismi (non solo religiosi, dunque) finisce per consegnarsi mani, piedi, stomaco e cervello alla spiegazione più semplicistica che fa purtroppo il paio con l’arretratezza culturale a volte, ed altre con la cattiveria gratuita che è, purtroppo, una delle caratteristiche tutte umane.

Il tradizionalista religioso e familistico cade in un circolo vizioso, all’inizio forse senza accorgersene, per non destrutturarsi completamente, per non mettersi in forse e ripensarsi come persona: il contesto diventa veramente ristretto, esclusivo, tribale nel momento in cui vale soltanto l’identità collettiva e non hanno più nessuna voce in capitolo pensieri, desideri e sogni del signolo.

Ancestralità che non possono essere spiegate, perchè sono pietre angolari di un edificio di presupposti che escludono qualunque domanda. Tutto torna: laddove arriva il dogmatismo si spegne ogni dubbio, ogni possibile critica, ogni tentativo di pensare e di essere pensati. Stato o famiglia, poco cambia se la tua vita di giovane ragazza è prigioniera di questi schemi.

Cercare di spiegare questi fenomeni sociologici e religiosi può apparire come un tentativo di giustificarli, proprio perché si tenta di capire come nascano e come si diffondano. Invece è l’esatto opposto: la ricerca è critica, è stimolo alla riflessione, alla preservazione del dubbio ed anche alla formulazione di certezze date dai fatti. Il contrario della fede adoperata come clava contro chi è laico e razionale e ritiene che una comunità debba rispettare tutte le convinzioni e le idee tranne quelle che pretendono di dirsi tali e che, come base per il loro sviluppo, hanno la negazione della libertà stessa di pensiero, di essenza, di spontanea e particolare esistenza cui ognuno ha diritto.

Fascismi e fanatisimi religiosi, in fondo, non sono poi così lontani fra loro: li accomuna la discriminazione nei confronti dei diversi, degli opposti, dei ribelli, dei contradditori, dei detrattori, di chi non crede e non vuole credere. Coscientemente e, per questo, senza fede, senza subalternità alcuna ad una idea di duce o di dio che ci sovrasti e cui tutto debba uniformarsi.

La laicità di Stato è ancora un valore particolare, inficiato da teocrazie di ogni tipo: monoteiste, politeiste, antiche e moderne. Nessuno è al sicuro in una nazione dove la morale è dettata non da una sorta di giusnaturalismo molto ambiguo che si perde nella trascendenza divina per fondarsi come società, in qualche modo, sempre superiore rispetto alle altre. Proprio come vengono pensate le religioni e gli dei da parte di chi ha tentazioni suprematiste.

In Italia, dove a prevalere è il diritto positivo sul diritto (e lo stato) di natura, Saman cresceva come donne oltre che come membro della sua famiglia. Questo era inaccettabile: che una ragazza non obbedisse alla struttura piramidale del clan che, a sua volta, sarebbe strato espulso dal cerchio della considerazione sociale in Pakistan. Più dell’amore paterno e materno, più dei sentimenti vale la fedeltà alle sovratrutture create in secoli, in millenni di superstizioni che nutrono le disperazioni e non le eliminano per niente.

Putroppo non è un film. E’ una storia che scorre nella pianura del Po, in quella Novellara dove per decenni “I Nomadi” di Augusto Daolio e Beppe Carletti hanno cantato di libertà, giustizia e uguaglianza e dove, un giorno, la morte ha gli occhi di una famiglia. Della famiglia. La tua, dalla quale non ti aspetteresti alcun atto ostile, ma rifugio, comprensione, anche severità ma dentro la logica dell’empatia naturale. Invece tra le mura di casa, prescindendo dalle religioni, si tengono i più grandi drammi, si consumano i delitti più efferati contro le donne, contro chi è indifeso e non deve avere diritti. Perché così ha stabilito ora l’interpretazione tribale di una società patriarcale e bigotta, ora invece un padre-padrone o forse un marito-padrone.

Se non si può piegare una volontà, nel nome dell’amore verso le donne e verso dio quella stessa va spezzata. Per sentirsene padroni fino in fondo nel moderno mondo occidentale italiano ed europeo, oppure per affermare la propria autorità davanti magari ad un altro clan tribale in Pakistan.

Difficile poter essere una ragazza italiana – come Saman ha scritto su Instagram – se la famiglia, nel rispetto delle tradizioni social-religiose del tuo paese di origine, ti prepara un matrimonio combinato, preconfezionadoti la vita, distruggendo i sogni che coltivi chattando con un fidanzatino conosciuto su Internet. Probabilmente già devi difenderti dal quotidiano razzismo tutto occidentale che permea questa Italia apparentemente così moderna, eppure così pronta ad odiare, a discriminare e a ghettizzare, ed in più non trovi nemmeno un sostegno tra le persone che più ti dovrebbero voler bene. Quelle che ti hanno creato e che, fuori da ogni regola di natura, ti annientano, di distruggono e ti annichiliscono obbedendo a riti e convenzioni che negano ogni libertà, ogni diritto all’autodeterminazione.

La laicità non è, probabilmente, una soluzione panaceica ma è un primo passo per sovvertire l’attaccamento religioso di tanti Stati e di tanta parte della società ad un conservatorismo moderno che sa esprimersi molto bene in un mondo che contiene tanti mondi differenti fra loro. Così diversi da concepire matrimoni tra vecchi e ragazzine. Nel nome della morale e anche di dio

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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