riceviamo e pubblichiamo

I preliminari dati del censimento decennale americano suggeriscono cambiamenti basici che saranno soggetto di nuovi programmi per i due maggiori partiti politici ma con conseguenze per tutto il Paese in tempi vicini ma anche per i prossimi dieci anni quando avverrà il prossimo conteggio. Ambedue partiti possono sorridere con i dati. Per i democratici la crescita di popolazione nelle aree metropolitane rappresenta vantaggi ma anche i repubblicani possono guardare con ottimismo agli aumenti di popolazione in parecchi Stati “red”, ossia conservatori, del Sud.

Nell’ultimo decennio la popolazione statunitense è cresciuta da 308 a 332 milioni, circa l’8%. Il numero degli over 65 è aumentato dal 13% nel 2010 al 16,9% attuale per un totale di 56 milioni di abitanti. Il Paese sta invecchiando. L’età media nel 2010 era di 37 anni comparata a quella del 2020 di 38 anni. Il numero dei bianchi è sceso dal 63 (196 milioni) al 57% (191 milioni). Gli ispanici adesso rappresentano il 19% della popolazione, gli afro-americani il 12% e gli asiatici-americani il 6%.

Una visione generale di queste cifre dovrebbe fare preoccupare i repubblicani, i quali, soprattutto sotto la guida di Donald Trump, hanno concentrato i loro sforzi ad ottenere il loro supporto quasi esclusivamente da elettori bianchi. I democratici, invece, con Barack Obama nel 2008 e 2012 e Joe Biden nel 2020 hanno formato una coalizione di gruppi minoritari che include anche elettori bianchi.

Questa strada verso le coalizioni per vittorie elettorali viene anche supportata dal censimento recente che ci indica una crescita multirazziale. Gli individui che si considerano parte di più di una razza è cresciuto da 9 milioni nel 2010 a quasi 39 milioni nel 2020, ossia un aumento del 276%. L’altro dato che dovrebbe fare riflettere i repubblicani è l’aumento di residenti nelle zone metropolitane, roccaforti democratiche, cresciuto anche del 9% dal 2010 al 2020. L’86% degli americani risiede adesso in zone urbane. Queste zone metropolitane tendono ad essere più produttive, più tolleranti, più diverse e favoriscono il Partito Democratico. Le zone rurali e periferiche tendono invece a votare per i repubblicani.

Quando ci si addentra ancora di più nei numeri i repubblicani hanno anche loro ragioni per sorridere. Alcuni Stati “red” hanno avuto incrementi di popolazione e riceveranno più seggi alla Camera. Il Texas, la cui popolazione è aumentata di 4 milioni (16%), avrà due seggi in più per un totale di 38. Da notare anche che 2 dei 4 milioni di nuovi residenti sono ispanici che potrebbero rappresentare un punto poco positivo per il Gop poiché tendono a votare per il Partito Democratico. Anche rilevante è il fatto che il 50% degli abitanti del Lone Star State sono ispanici. La Florida, la Carolina del Nord e il Montana, altri stati “red”, avranno un seggio in più. Stati “blue”, ossia liberal, come la California, New York e l’Illinois perderanno un seggio a testa. Nel caso di New York si tratta di un continuo calo iniziato nel 1940 quando lo Stato aveva 45 seggi alla Camera comparati ai 26 attuali.

Il vantaggio per i repubblicani al di là dei nuovi seggi rimane la rimodulazione dei distretti congressuali e anche statali dove il Gop può dettare legge. In grande misura le modifiche dei distretti sta nelle mani delle legislature statali con minime direzioni del governo federale. Si richiedono approssimativamente 761mila cittadini in ogni distretto, tenendo conto dei dati del censimento del 2020. I repubblicani controlleranno la ridistribuzione in 180 distretti mentre i democratici solo 75. I rimanenti 167 distretti saranno rimodulati da commissioni indipendenti che tendono all’obiettività. Storicamente i distretti vengono disegnati per mantenere certe maggioranze di uno o un altro partito con poche eccezioni di distretti competitivi. Per i repubblicani si tratta di una buona opportunità alla luce delle elezioni di midterm del 2022 ma dovranno fare attenzione perché i nuovi distretti rimarranno in vigore fino al prossimo censimento del 2030.

Un dato significativo che va al di là delle competitività elettorali però è molto più importante per il Paese. Il tasso di crescita di popolazione statunitense dal 2010 al 2020 riflette un rallentamento che non si vedeva dagli anni della Grande Depressione degli anni 30. Per mantenere una popolazione stabile si richiede una fertilità del 2,1 percento ma quella degli Stati Uniti è scesa al 1,73. Un fenomeno che si manifesta in molti Paesi industrializzati anche se a livello globale il tasso di fertilità nel 2020 era del 2,4 percento. Si sta creando ovviamente uno squilibrio che potrebbe essere corretto con lo spostamento di gente da Paesi sovraffollati a quelli con popolazioni in calo. Si tratta ovviamente dell’immigrazione per la quale i repubblicani sono in linea generale contrari mentre i democratici sono a favore. Lo sta facendo il Canada importando lavoratori dall’estero secondo i bisogni delle differenti province. Un esempio che gli Stati Uniti potrebbero emulare per mantenere un’economia vibrante.

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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della  National Association of Hispanic Publications.


Di AFV

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