Dopo un anno e mezzo di crisi pandemica e lo scoperchiamento del vaso di Pandora delle carenze nella sanità pubblica dovute a decenni di tagli alla spesa in ossequio all’ideologia liberista, il governo italiano ha tentato di mettere una pezza negli ultimi mesi con una programmazione indirizzata ad un maggior intervento grazie anche ai soldi promessi dal cosiddetto recovery fund. In precedenti articoli (qui e qui) ci siamo occupati di analizzare, numeri alla mano, i nefasti effetti che i tagli alla sanità hanno avuto nel fronteggiare l’emergenza COVID-19. Le più gravi carenze, come è facile immaginare, riguardano sia le strutture ospedaliere – con posti letto, reparti e interi ospedali depotenziati se non del tutto chiusi – sia il personale, quest’ultimo soggetto a numerosi tagli e costantemente sottodimensionato.
In aggiunta a ciò un aspetto meno dibattuto ma altrettanto fondamentale è stato la quasi totale debacle della medicina di base e delle strutture mediche territoriali, che nella prima fase della pandemia si sono viste generalmente travolte mentre nelle fasi successive, relegate ai margini, hanno svolto un lavoro insufficiente, per non dire inesistente, andando a completare il quadro critico del nostro sistema sanitario. Da un’indagine che riguarda solo otto regioni su venti, è emerso che oltre 1 milione e mezzo di italiani è sprovvisto del medico di base, altri, invece, sono costretti ad intasare le liste degli studi medici disponibili (1) ma i numeri reali si prospettano molto più alti. Nonostante questo stato di cose, e anche a fronte della massa di pensionamenti di medici di base prevista nel prossimo quinquennio, nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), il nome con il quale è conosciuto il piano di investimenti del governo italiano dei fondi europei del recovery fund – e che vedremo in dettaglio più avanti – poco o nulla sembra destinato a tappare questa enorme falla, a dispetto delle promesse.
Fino ad oggi il governo, come abbiamo anche annotato in nostre precedenti analisi, ha cercato di tamponare il sottofinanziamento, cronico e perdurante da anni, con un aumento piccolo, rispetto alla reale portata del problema, ma significativo della spesa pubblica passando da un 6,5% ante covid ad un 7,5% del 2020. Parlando in miliardi di euro si tratta di un passaggio dai 119 previsti dalla programmazione (ante-covid) per il 2020 ai 123 effettivamente ricalibrati ma che tuttavia per il 2021 prevedono già una diminuzione a 121 miliardi rispetto all’anno dello scoppio della crisi (2). Come accennato, però, questo aumento dell’1% della spesa sulla sanità pubblica non è minimamente proporzionato alla strutturale carenza che sconta il nostro Sistema Sanitario Nazionale. Destinare alla sanità il 7,5% (per il solo 2020) e prevedere un aumento di investimenti complessivo di appena 9 miliardi nell’arco di un quinquennio (3), non può minimamente rappresentare un cambio di tendenza a livello strutturale ma più che altro un raffazzonato tentativo di affrontare la crisi immediata e salvare la faccia di fronte all’opinione pubblica.
La fotografia che attesta l’insufficiente livello di spesa sanitaria, con conseguente riverbero su servizi e sulla salute pubblica, diventa ancora più nitida se paragonata ai livelli degli investimenti dei nostri vicini europei. L’Italia nel 2019 ha investito in sanità il 6,4% del PIL contro il 10% della Germania, il 9,5% della Francia o l’8% della Gran Bretagna (4).
Come può, dunque, un aumento di un punto di PIL riuscire a colmare questo gap occorso dopo anni di tagli? Un aumento che, va da sé, potenzialmente potrebbe essere disatteso per tornare ai vecchi parametri una volta “mitigata” la tempesta COVID-19.
Nell’ottobre dell’anno scorso il ministro della Salute Roberto Speranza si lanciava in roboanti dichiarazioni parlando di un piano di investimenti sulla sanità pubblica per 65 miliardi di euro nei prossimi anni (5) e a supporto di tale sforzo atto a potenziare il SSN, sarebbe dovuta giungere a spron battuto la cavalleria dall’Unione Europea, grazie al Next Generation EU, volgarmente detto recovery fund o recovery plan. Quest’ultimo, in breve, si è configurato, dalla sua approvazione al Consiglio Europeo nel luglio 2020, come un fondo di 750 miliardi di euro in pacchetti di aiuti agli Stati europei maggiormente colpiti dalla pandemia da aggiungere agli oltre 1000 miliardi di euro del normale piano settennale di investimenti europei (multiannual financial framework) per un totale di 1800 miliardi (6). Per ricevere i finanziamenti del Next Generation EU ogni Stato avrebbe dovuto presentare, entro un termine perentorio, un piano di investimenti che l’Italia ha inoltrato – il famoso PNRR – accaparrandosi un tesoretto di circa 220 miliardi di euro. La gestione di questi fondi, nota a margine, è stata causa di turbolenze e appetiti smodati da parte delle varie forze partitiche che hanno portato alla caduta del governo Conte II e alla nascita, con l’unzione salivare dei media mainstream, del governo della salvezza presieduto da Draghi.
Ad ogni modo, il PNRR – che non analizzeremo nel complesso in questa sede – lanciato dal governo, e rilanciato con delle modifiche dal successivo esecutivo guidato da Draghi, prevede 6 punti principali di intervento: digitalizzazione, rivoluzione green, inclusione, istruzione, trasporti e ultimo…. per importanza, la sanità. Questo piano di investimenti che destina la stragrande maggioranza dei fondi a finanziare digitalizzazione e transizione ecologica, malcelando il chiaro intento di una ristrutturazione delle imprese finanziata dallo Stato – i capitalisti ne sono i maggiori beneficiari – vede come fanalino di coda in termini di investimenti proprio la sanità. Quest’ultima è stata omaggiata (sic!) di ben 18,5 miliardi in sette anni per perseguire, a detta del Ministero dell’Economia e Finanza, “l’obiettivo di rafforzare la prevenzione e i servizi sanitari sul territorio, modernizzare e digitalizzare il sistema sanitario e garantire equità di accesso alle cure.” (7)
Dei 65 miliardi promessi da Speranza, proprio per rilanciare la sanità territoriale, la medicina di base e, in generale, il miglioramento del SSN nel suo complesso, ci rimane solo l’eco di fanfaronate elargite proprio nel momento in cui il governo veniva travolto dalla seconda ondata della pandemia dopo un’estate passata con le mani in mano sperando che il peggio fosse alle spalle. Il governo Draghi, nella suo rivedere il piano per il potenziamento della sanità territoriale, ha già dimezzato ogni previsione fatta nelle precedenti versioni del PNRR salute (8) mentre nulla si è detto e fatto per la continua penuria di personale sanitario che costringe i restanti a turni massacranti. Dopo un anno crisi pandemica, promesse di investimenti e proclami vari, non passa settimana dove non si senta qualche dirigente ospedaliero o addetto ai lavori lamentare carenza di medici e infermieri nelle corsie (9). La Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI) rileva, per esempio, che in Italia mancano all’appello più di 63000 infermieri, con una presenza di piante organiche ristrette: in italia ci sarebbero 600 infermieri ogni 100.000 abitanti contro una media europea di 1000. Inoltre, sempre la FNOPI, lamenta che oltre ad essere sotto organico e costretti a turni massacranti gli infermieri italiani: “sono i meno pagati tra quelli degli Stati maggiormente industrializzati in Europa e in tutto il mondo occidentale” (10).
A ciò si aggiunge le difficoltà, nel pubblico, di mettere in condizione i medici di poter lavorare in modo adeguato, fra numeri chiusi alle università (che hanno ancora una volta scatenato le giuste proteste dei giovani) e soprattutto scarsità di borse di studio di specializzazione che ci portano ad avere carenze di personale nel sistema sanitario nazionale pur non essendoci, in termini assoluti, grossi deficit di “medici”(11). Sarebbero 15.000, infatti, in Italia i medici precari, cioè coloro che, per mancanza di borse di specializzazione, non sono riusciti ad entrare nel sistema sanitario nazionale, così come nelle scuole di formazione di medicina generale che sforna i medici di base (12). A fronte di una situazione del genere, che richiederebbe un ripensamento generale della sanità pubblica che sia realmente universale e gratuita per tutti, che dia la possibilità a tutti i lavoratori sanitari di svolgere il proprio lavoro con serenità ed efficienza, il governo pensa che 18,5 miliardi in più nel SSN in 7 anni o l’aumento di un 1% di PIL in extremis, possano rappresentare la redenzione da tutti i mali dopo anni di tagli estremi e di drenaggio di risorse dal pubblico al privato. Rimane, infatti, un problema troppo spesso sottovalutato, come abbiamo visto, la spesa sanitaria privata “out of pocket”, che ricade sulle spalle delle famiglie e che in Italia rappresenta il 22% della spesa sanitaria complessiva.
Ad ogni modo la Speranza è l’ultima a morire, così come, pare, la credibilità di una classe politica italiana perfetto specchio di una borghesia cialtrona e interessata soltanto a strombazzare a destra e manca venti di cambiamento che si rivelano soltanto per quel che sono: flatulenze nel carnet della propaganda da sciorinare alla bisogna; e mentre alla sanità pubblica si lasciano le briciole dei 220 miliardi del recovery fund, i padroni fanno piazza pulita della torta.
1) https://www.ilsole24ore.com/art/medici-base-allarme-carenza-15-milioni-italiani-sono-senza-AE9gWwg
2) https://temi.camera.it/leg18/temi/tl18_il_fabbisogno_sanitario.html
3) https://www.ottobre.info/2021/04/07/covid-un-anno-dopo-litalia-non-si-e-fermata-il-virus-neanche/
4) http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?approfondimento_id=15484
6) https://www.consilium.europa.eu/en/meetings/european-council/2020/07/17-21/
7) https://www.mef.gov.it/focus/Il-Piano-Nazionale-di-Ripresa-e-Resilienza-PNRR/
9) https://www.ilrestodelcarlino.it/ancona/cronaca/mancano-medici-e-infermieri-1.6781947
11) https://www.agi.it/cronaca/news/2020-03-27/coronavirus-carenza-medici-ospedali-italiani-7918784/
12) https://www.informazionesenzafiltro.it/li-chiamano-i-camici-grigi-sono-i-medici-precari/