di RobertoRosso

Il titolo di questo articolo potrebbe essere “da Catania a Glasgow passando per il Metaverso”  incrociando in modo surreale eventi di questi giorni; gli eventi diversi in due città legati al cambiamento climatico -Catania, sommersa in un giorno da una quantità di pioggia che nella media cade in sei mesi, e Glasgow dove si tiene la COP 26, in un anno segnato da una miriade di eventi metereologici estremi-  si confrontano al progetto di Zuckerberg di trasformare il sistema di social network sotto il suo controllo in una sorta di iper-realtà, il cosiddetto Metaverso, dove si procede oltre l’online, per trasformarsi in una realtà immersiva, nella quale si riproducono i luoghi, le attività i gesti della nostra vita quotidiana. Questa iper-realtà sembra la promessa di un piano di esistenza in cui rifugiarsi per sottrarsi alla cruda realtà del presente e dell’orizzonte catastrofico di cui si discute a Glasgow.

Cambiare il nome di Facebook in Meta, non è solo uno stratagemma, per rimediare alla cattiva fama procurata dalle rivelazioni del data scientist Frances Haugen1 denota  una ulteriore salto nella innovazione tecnologica, peraltro già in corso, capace di indurre forme nuove di socializzazione mediata, sussunta dal digitale. Il valore in borsa Facebook a giugno di quest’anno ha superato per la prima volta il valore di 1.000 di dollari soglia superata dalle altre società del Big tech Apple, Microsoft, Amazon e Alphabet, la società madre di Google. Per la cronaca in questi giorni anche la società automobilistica Tesla ha superato questa soglia dopo che la società di autonoleggio Hertz ha ordinato 100.000 furgoni elettrici.  Insomma un trionfo della tecnologia che plasma rapporti sociali e produttivi e genera plusvalore in borsa.

In queste settimane denaro e tecnologia sono la coppia, la figura retorica, che viene evocata per affrontare la crisi climatica, per unificare un mondo i cui destini corrono sugli indici del riscaldamento globale, mentre procede diviso in formazioni sociali che competono tra loro, prodotto dello sviluppo ineguale delle varie fasi della globalizzazione.

In questi mesi abbiamo descritto il processo di astrazione crescente che caratterizza il modo di produzione capitalistico, la creazione di una trama digitale che per un verso innerva ogni momento della riproduzione sociale e contemporaneamente ne costituisce un suo doppio, una sorta di codice genetico, con i suoi processi epigenetici a cui affidare la sopravvivenza di un sistema dilaniato da contraddizioni laceranti.

La conferenza di Glasgow sta producendo alcuni annunci di stanziamento di fondi  finalizzati a specifici interventi, come già era accaduto nelle precedenti COP, senza che ciò arrivi ad intaccare le diverse traiettorie scelte dai paesi responsabili di gran parte delle emissioni di gas climalteranti; non solo gli orizzonti dell’emissioni zero si colloca attorno alla metà del secolo, secondo le conclusioni del G20 ovvero nel 2050, 2060, 2070 a  seconda dei casi. I paesi di più recente industrializzazione, come Cina ed India, a confronto con gli Usa e gli altri paesi di più antica industrializzazione, hanno dalla loro la minor quota di emissioni pro-capite ed il minor accumulo storico che ha portato al livello attuale.

Gli interventi per la riduzione delle emissioni producono una mappa globale molto variegata, ma a poco valgono le polemiche tra i diversi paesi, le ragioni che gli uni o gli altri possono accampare, il riscaldamento è un processo globale che richiede un intervento sistemico per essere rallentato, che richiede il massimo di coordinamento e di solidarietà tra le principali aree del globo, ciò che non accade. Non basta il sostegno finanziario alle aree marginali dal punto di vista economico, serve invece il massimo di integrazione tra le aree forti per arrivare ad eliminare le tecnologie più ‘emissive’, che oggi fanno parte dell’armamentario di tutti i paesi, sia pure in proporzioni diverse, per garantire il proprio sviluppo economico, alimentare la propria macchina produttiva e la propria capacità di competere su tutti i piani.

Mentre si proiettano i piani di trasformazione nei prossimi decenni, con una prima scadenza convenzionale al 2030, nell’immediato ad esempio si estende l’uso del carbone, come accade in Cina proprio in questi giorni; l’ingorgo, la trombosi2 che ha colpito le reti logistiche, le filiere energetiche, ha fatto saltare nell’immediato i progetti di riduzione delle emissioni; la pandemia da Sras-CoV-2 ha fatto, sta facendo, saltare i ritmi produttivi e di consumo, i flussi logistici, esaltando il consumo di dispositivi informatici ed elettronici nei periodi lockdown, svuotando i polmoni tenuti a livelli adatti al just in time’ producendo un movimento opposto di accumulo per paura della scarsità, facendo saltare dispositivi complessi di coordinamento, nonostante il largo uso delle tecnologie informatiche per attuarli.

Costruire un capacità sistemica di ridurre drasticamente in breve tempo, poiché questo è realmente necessario, il carico di emissione, richiede il massimo di integrazione laddove invece si stanno esasperando i termini dello scontro strategico soprattutto nell’area dell’indopacifico3 dove si affacciano  le principali potenze dell’alterazione climatica. Fare progetti per contrastare il riscaldamento globale richiede di riepilogare ogni aspetto della riproduzione sociale, di cogliere la complessità del modo di produzione, del nesso uomo-natura, del ricambio organico della società capitalistica, secondo denominazioni tradizionali, cogliendone il salto di qualità ovvero, con un autocitazione : “ La formazione sociale globale nel suo nesso inestricabile di naturale e artificiale, con i fenomeni di trombosi, di reazioni immunitarie che colpiscono i corpi umani ed i corpi sociali, è descrivibile dalla metafora del cyborg, in questa riflessione potremmo rileggere e farci guidare dalle intuizioni di Antonio Caronia4; un cyborg- creatura al contempo naturale e artificiale-  che si dibatte nelle sue mille patologie, dove i nessi sempre più intricati tra naturale e artificiale appaiono veicolare sempre nuove contraddizioni.”5

Appare allora un tentativo patetico e riduttivo il proposito di rimediare alla deforestazione ed alla perdita di biodiversità investendo miliardi di dollari in un’opera di piantumazione, siamo di fronte al fraintendimento tragico da un lato delle cause della perdita di biodiversità e superfice forestale e sulla natura complessa degli ecosistemi capaci di assorbire i gas climalteranti, di regolare il regime delle precipitazioni ed il clima in generale ovvero di fornire nei confronti della società umana i cosiddetti servizi ecosistemici.

Il nesso inscindibile tra cambiamento climatico e perdita della biodiversità è stato discusso dal Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) e dal Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES) che hanno cosponsorizzato nel dicembre 2020 uno workshop su BIODIVERSITY AND CLIMATE CHANGE, le cui conclusioni sono racchiuse nel documento IPBES-IPCC CO-SPONSORED WORKSHOP BIODIVERSITY AND CLIMATE CHANGE Scientific outcome6. Nei giorni 11-15 ottobre 2021 si è tenuta, prima della COP26 sul cambiamento climatico, si è tenuta la ‘UN Convention on Biological Diversity (CBD)’7,  a Kunming, China in cui si è aperto il processo per la definizione del cosiddetto Post-2020 Global Biodiversity Framework con l’obiettivo di ridurre le ‘minacce’ alla biodiversità’ e di creare entro il 2050 le condizioni per ‘vivere in armonia con la natura’, obiettivo generale definito a suo tempo nel Strategic Plan for Biodiversity 2011-2020 8 definito nella COP10 della Convenzione sulla biodiversità. Il negoziato per il Post-2020 Global Biodiversity Framework si concluderà nella seconda sessione della conferenza sulla biodiversità nei giorni 25 aprile- 8 maggio 20229.

La lettura dei documenti prodotti dalle diverse COP sulla biodiversità rende l’idea della complessità e della gravità crescente dei danni inferti alla biodiversità.  Il report IPBES-IPCC costituisce una lettura necessaria per capire quali siano le linee concrete di intervento, quanto grave sia la crisi indotta negli ecosistemi.

L’integrità degli ecosistemi, delle foreste in particolare alle diverse latitudini, è la condizione per la quale siano in grado di riprodursi   a mantenere l’equilibrio climatico in termini di regime delle precipitazioni e assorbimento dei gas serra, di cui costituiscono una sorta di deposito, controllo delle temperature, etc …. Quando si parla di integrità ci si riferisce tanto all’estensione quanto alla complessità delle relazioni tra le diverse forme di vita animali e vegetali, ipogee ed epigee che li costituiscono. Per questo è grottesco l’obiettivo di rimediare alla perdita di biodiversità e riduzione della superfice forestale con il finanziamento di un’opera di piantumazione di specie arboree. Uno dei pochi programmi usciti dalla sessione dei capi di governo della COP26 che hanno peraltro il difetto di non essere accompagnati da misure cogenti, rimanendo di fatto affidati alla buona volontà dei governi ed alle congiunture economiche e politiche.

Tornando la nesso biodiversità-clima ricordiamo che in un recente studio uscito su Nature10 si rileva come la deforestazione in diverse aree della foresta amazzonica abbia  invertito il bilancio della CO2 per cui invece di assorbirla la emettono. Ricordiamo che negli ultimi 50 anni le attività umane hanno causato la perdita di circa il 17% della foresta, questa in origine era in grado anche di produrre la metà del regime piovoso sul proprio territorio.

Il nesso tra cambiamento climatico e perdita di biodiversità costituisce un lato di quel triangolo il cui terzo vertice è costituito dal processo di antropizzazione del globo – che all’origine della trasformazione in cui viviamo- in ogni suo ambiente, in ogni sua minima parte Ormai la dinamica delle interazioni tra le tre componenti, schematicamente definite, si autoalimentano e diventa sempre più difficile intervenire in un punto per prenderne il controllo  quanto meno rallentarne il procedere. Un indice ed una macro manifestazione del processo complessivo è l’urbanizzazione, il concentrarsi della popolazione nelle città, dove le aree metropolitane danno origine a vere e proprie megalopoli di decine di milioni di abitanti e dove Tokio, Shangai, Città del Messico o Lagos presentano ovviamente problematiche ben diverse. La metropoli/megalopoli come macchina riproduttiva stratifica al suo interno le condizioni di vita della popolazione che abita ed un attrattore delle dinamiche di trasformazione territoriali. Figlia della devastazione degli equilibri ambientali, delle capacità di autosostentamento dei territori circostanti genera dinamiche sempre più devastanti a partire dal ciclo agro-alimentare necessario mantenerla in vita. I flussi produttivi e logistici, tecnologici e finanziari ne alimentano lo sviluppo patologico

L’evoluzione delle singole formazioni sociali nazionali, regionali o continentali provoca e vive questa trasformazione climatica, biologica e ambientale, la mappa della formazione sociale globale comprende al suo interno le dinamiche climatiche e la riproduzione degli ecosistemi. Il quadro che ci si prospetta è quello di una capacità sempre più differenziata di intervenire, reagire ed adattarsi a quei cambiamenti accentuando progressivamente le diseguaglianze, dove l’incapacità di controllare il processo globale del cambiamento climatico e della devastazione degli ecosistemi si traduce nella creazione di condizioni locali, di habitat locali/regionali per porzioni diverse di umanità secondo un andamento frattale della mappa.

Lo sviluppo della finanza verde- a partire dal mercato dei crediti sulle emissioni di CO2– ha introiettato nei meccanismi dei mercati finanziari le previsioni ed i rischi indotti dal cambiamento climatico, dal collasso degli ecosistemi e le relative conseguenze sulle comunità e le attività umane in tutte le dimensioni possibili. Il processo di finanziarizzazione del cambiamento climatico ed ambientale fa astrazione della mappa delle diseguaglianze territoriali e sociali o meglio si articola su di essa, approfondendone le differenze. I cosiddetti aiuti finanziari ai paesi più colpiti dal cambiamento climatico oltre ad essere una goccia nel mare, sono destinati a seguire le linee di sviluppo di quella mappa delle diseguaglianze, costruendo argini di differente altezza e solidità nei confronti delle maree che aggrediscono le società e le regioni più esposte.

In questo contesto le migrazioni costituiscono un fenomeno – ci si perdoni il linguaggio asettico- destinato a crescere seguendo la trasformazione delle condizioni di vita, destinato ad assumere sempre maggiore importanza per veicolare la resistenza a questa tragica trasformazione.

Lo sviluppo della pandemia da Sars-CoV-2 -e le prossime venture- ha fatto irruzione entro gli equilibri precari di questa partizione del mondo, sconvolgendone i ritmi, che si volevano scientificamente regolati, travalicandone i confini, approfondendone ulteriormente le diseguaglianze, ma con un drammatico possibile ritorno da queste diseguaglianze dove la libera circolazione del virus genera varianti che ritornano nel centro del mondo protetto dai vaccini.  In realtà, come in un film sugli zombie, anche nel centro le condizioni psicologiche e culturali, politiche e sociali generano una resistenza alle prassi preventive, curative a vaccinali in quella che è stata definita come sindemia, dove tutte le dimensioni della vita sociale contano ed interagiscono tra loro. Se a livello globale si manifesta la tendenza alla creazione di comunità protette dai processi degenerativi e catastrofici a livello locale, relazionale personale si coglie il senso più profondo della creazione del Metaverso – ben oltre la necessità di sviluppare nuovi prodotti e servizi capaci di catturare ogni forma di socialità per continuare a fare profitti- ed è quello di ricreare un mondo che noi possiamo tenere sotto controllo, estraneo alle turbolenze che sconvolgono sempre di più la nostra esistenza reale. Un tentativo di sfuggire alla circolarità della realtà, della vita in goni sua dimensione,, alla logica evolutiva che crea habitat distinti e specie differenziate eppure tra lor direttamente  o indirettamente connesse, comprese in un processo evolutivo complessivo.

Il digitale, l’innovazione tecnologica complessiva, che lega innanzitutto tecnologie dell’informazione e della vita, stanno  muovendosi verso un orizzonte distopico, esito fallimentare dell’utopia di realizzare la rete di controllo ed assieme la riproduzione a più livelli della realtà: sono destinate a riprodurre dispositivi di mantenimento in vita di frammenti di quello che fu un mondo pieno di vita; frammenti di società in un mondo dove la vita troverà comunque le sue vie per evolversi, coi suoi tempi.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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