|Michelangelo Severgnini 

«O Europei! Non so davvero che dirvi. Non so voi a cosa pensiate che i neri servano. Non so cosa troviate divertente nel vedere i neri perdere la vita nel Mediterraneo, tutti questi morti e non dite una parola. Ora molti chiedono di tornare a casa ma voi piuttosto li volete spingere a buttarsi in mare e rischiare le loro vite, invece di offrirgli il modo per tornare a casa. Se siete addirittura capaci di affittare una nave per quelli che vogliono rischiare la loro vita in mare, perché non venite a prenderli con un aereo per portarli a casa, o al limite in Europa? Altrimenti questo significa solo che molti altri moriranno».

Puntata 0.1 di Exodus – fuga dalla Libia)

È possibile stabilire un nesso tra la candidatura di Saif Gheddafi e l’arrivo della nave militare italiana “San Giorgio” nel porto di Tripoli avvenuta nella prima settimana di dicembre? Forse non un nesso strettamente temporale. Benché Saif sia dato dagli ultimi sondaggi nettamente favorito con il 65 per cento nelle elezioni del prossimo 24 dicembre e la sua candidatura sia stata definitivamente riammessa solo pochi giorni fa dalla Corte di Sabha, nel sud della Libia, al contrario l’arrivo della nave militare era probabilmente organizzato da tempo. Ma non è del tutto sbagliato vedere questi due episodi come concatenati ad una serie di altri eventi che stanno per apparecchiare il momento della verità a Tripoli.

L’Italia in sostegno dei turchi

A dire il vero la nave “San Giorgio” è arrivata a Tripoli in gran segreto. Ne hanno riportato alcuni quotidiani italiani in questi giorni grazie ad una soffiata. La nave avrebbe consegnato ai “libici” una centrale mobile per il coordinamento del soccorso marittimo (MCCR, Maritime Rescue Coordination Centre). La notizia riportata sulle pagine nazionali racconta che la centrale è stata finanziata dall’Unione europea all’interno di un accordo gestito dal ministero dell’Interno italiano, che si occuperà pure dell’assistenza al personale libico. Costo: intorno ai 15 milioni di euro.

Qualche ingenuo analista di casa nostra ha commentato che in questo modo l’Italia bilancerà l’influenza turca in Libia, non capendo che finché il potere a Tripoli sarà basato sull’occupazione militare delle milizie, l’unico soggetto internazionale a guadagnarci sarà la Turchia, di cui le milizie sono fatte a immagine e somiglianza. La Turchia attualmente occupa la Tripolitania attraverso il diretto controllo di cinque siti militari, tra cui la base di al-Waityah. Con una schiacciante influenza nelle stanze di potere, non ha nessuna intenzione di smobilitare per vedere Saif Gheddafi insediarsi a Tripoli da presidente della Libia.

Non è una questione politica. È una questione militare. È ciò che già successe alle ultime elezioni del 2014, quando la milizia di Misurata, legata alla Fratellanza Musulmana, impedì militarmente al parlamento democraticamente eletto di insediarsi a Tripoli. Come a dire che la questione in Libia è militare, non politica. Le elezioni servono, se va tutto bene, a certificare un potere militare esistente. Se il risultato che emerge non è quello sperato, tutto rimane come prima e si fa finta di niente. Tutt’al più si calano governi dall’alto, come il governo Sarraj e il governo Dabaiba, scelti dalla NATO e non votati dal parlamento libico.

L’Italia si prepara pertanto alla guerra contro il popolo libico.

Il senso del lavoro sporco della guardia costiera libica

È stata accettata ormai l’idea secondo cui l’Europa paghi i libici per fermare i migranti. Ma la storia è un po’ diversa. Ormai l’hanno capito anche i muri della Libia che la guardia costiera libica non agisce “obtorto collo”, ma agisce nei propri interessi di mantenimento costante del numero di schiavi africani sul proprio territorio. E l’Unione europea, con l’Italia, è ben felice, non di fermare i migranti, ma di sdebitarsi con le milizie libiche per il petrolio illegale acquisito sottocosto dalle stesse.

I migranti-schiavi in Libia chiedono evacuazione, cioè chiedono di essere liberati e portati ovunque purché fuori dalla Libia. Quando la stampa liberale europea racconta che le prigioni libiche impediscono ai migranti di venire in Europa, nasconde la verità. Le prigioni libiche sono centri di raccolta e smistamento degli schiavi. Non si impedisce loro di andare in Europa. Si impedisce loro di andare da qualsiasi altra parte, anche a casa.

Di questo popolo in catene composto da 700.000 persone, solo 20mila di loro nel 2021 hanno raggiunto  l’Italia (2/70) e altrettanti sono stati intercettati dalla guardia costiera libica e riportati in Libia (altri 2/70). Gli altri 660.000 nemmeno hanno visto il mare. Inoltre imbarcare questi ragazzini sui gommoni sgonfi è un crimine, dal momento che sono imbarcazioni precarie che si afflosciano dopo poche miglia, quando l’aria calda con la quale sono gonfiati si raffredda. Se in quel preciso momento non arrivano i soccorsi, le persone a bordo semplicemente scompaiono inghiottite dal mare, senza lasciare segni. Nessuno di questi gommoni ha mai raggiunto le coste italiane da solo e i barconi di un decennio fa, che rimanevano a galleggiare alla deriva per giorni, vuoti o pieni a perdere, sono stati perlopiù dismessi da diversi anni.

Tutto ciò che è avvenuto nell’ultimo decennio non ha niente a che vedere con la legge del mare. I migranti in Libia tuttavia, benché schiavi, frequentano i social e seguono le pagine delle ONG e, i pochi fortunati che hanno alle spalle famiglie in grado di inviare altri soldi, finiscono per cedere alla tentazione e si rivolgono ad ulteriori trafficanti per tentare la traversata. Tutti gli altri rimangono indietro.

Le milizie libiche non potrebbero guadagnare sui migranti senza l’indispensabile lavoro delle mafie africane che hanno adescato e raggirato le migliaia di ragazzi partiti verso la Libia negli anni scorsi.
Per le milizie è indispensabile che nuovi schiavi accedano al territorio libico per essere sottoposti a lavoro non retribuito e a tortura a scopo di estorsione e ricavarne enormi ricchezze. Averle sostenute politicamente ha pertanto, paradossalmente, favorito i flussi dall’Africa occidentale subsahariana verso la Libia, dove poi i ragazzi sono rimasti intrappolati e trattenuti per anni in stato di schiavitù.

Più che l’efficacia della nostra deterrenza, a ridurre le partenze dalla Libia in questi ultimi anni ha contribuito il fatto che, essendo crollati gli ingressi in Libia dall’Africa subsahariana per la triste fama finalmente diffusasi nel resto dell’Africa, i libici hanno bisogno di mantenere costante la popolazione migrante in Libia. Senza nuovi arrivi in Libia, niente nuove partenze verso l’Italia.

La mappa del tesoro libico

Il vero oggetto degli accordi tra Italia e Libia (più corretto è dire tra il governo italiano e il governo di Tripoli) è il petrolio libico. I migranti sono una copertura o comunque un elemento secondario. Le motovedette donate dall’Italia alla guardia costiera libica, tra cui la centrale mobile da 15 milioni di euro trasportata in questi giorni a Tripoli dalla nave militare italiana “San Giorgio”, vengono sistematicamente presentate come aiuti per il contrasto all’immigrazione irregolare. Ma non è così. Queste donazioni sono a tutti gli effetti armamenti a favore delle milizie al fine di causare l’instabilità della Libia e garantire il saccheggio del petrolio libico.

Infatti i libici non fanno nessun favore all’Italia fermando i migranti, lo fanno a se stessi. Un migrante intercettato in mare e riportato in Libia vale 4 volte un migrante che si imbarca. Il costo per imbarcarsi è di circa 1.000 euro, ma una volta riportati a terra, i migranti vengono poi sottoposti a tortura a scopo di estorsione, attraverso la quale si può guadagnare fino a 4.000 euro sulla pelle di ciascun migrante.

Alternativamente i ragazzi intercettati possono essere venduti come schiavi. Insomma sono molti i modi in cui le milizie libiche hanno imparato negli anni a trarre profitto sulla pelle dei giovani neri africani.

Ogni hanno sono così circa 80 milioni di euro i soldi estorti ai migranti-schiavi dalle milizie, perlomeno a coloro intercettati in mare. Ai quali si devono aggiungere i soldi estorti a chi viene arrestato a terra.

Dall’altro lato, Mustafa Sanalla, direttore del NOC (National Oil Corporation), l’ente pubblico libico per la vendita del petrolio, ha quantificato in 750 milioni di dollari il valore del petrolio libico trafugato dalle milizie ogni anno.

Pertanto la somma stimabile di 50 milioni l’anno donati dall’Italia, camuffata da aiuti al governo di Tripoli per il miglioramento delle condizioni dei migranti e per il sostegno alla guardia costiera libica, potrebbe essere la tangente pagata per aggiudicarsi una parte del petrolio trafugato dalle milizie. A maggior ragione se consideriamo che quel petrolio, in quanto illegale, sul mercato internazionale vale comunque meno dei 750 milioni annui stimati da Sanalla. E se consideriamo che comunque quella quantità di petrolio va spartita con altri soggetti internazionali, tra cui ovviamente la Turchia, che ne trae maggior beneficio.

Questo è il succo del patto scellerato che l’Unione europea e la NATO hanno deciso di siglare con il movimento della Fratellanza Musulmana all’indomani delle cosiddette “rivoluzioni arabe”, in Libia come in altri paesi del Nord Africa, facilitando la presa del potere dei partiti ad essa collegati al fine di invadere quei mercati e saccheggiarne le risorse. Il modello “milizie per il petrolio”, ampiamente impiegato dal presidente turco Erdoğan in Siria e in Iraq, si applica in realtà allo stesso modo anche in Libia, dove l’Europa dà mano libera all’occupazione turca della Tripolitania perché garantisca la difesa di quelle risorse dalle legittime aspirazioni del popolo libico e dell’Esercito nazionale libico che controlla i 2/3 restanti della Libia. Non solo, l’Europa garantisce copertura diplomatica internazionale alle milizie e censura mediatica a loro favore, garantendo che certi temi siano sistematicamente rimossi dalla discussione pubblica e certe informazioni si perdano tra le pieghe della storia.

Dateci gli schiavi e prendetevi il petrolio

Lo stesso Mustafa Sanalla dichiarò in un’intervista rilasciata alla trasmissione televisiva Report nel novembre 2018:

Fino al 40 per cento del petrolio libico è stato negli ultimi anni venduto illegalmente, l’equivalente di 750 milioni di dollari all’anno. È un business troppo conveniente per i criminali.

– Ma chi sono i trafficanti?

Molti sono legati alle milizie libiche. Non fanno solo il contrabbando di petrolio. Sono gli stessi che fanno anche il traffico di esseri umani. E ci sono anche molti politici esponenti del governo Sarraj che sono connessi ai contrabbandieri. L’Unione europea non si è mai occupata seriamente del problema.

– Perché secondo lei?

Perché per l’Europa l’unico problema è il traffico di esseri umani. Ignora il contrabbando di petrolio e finge di non capire che è uno degli elementi che mina di più la stabilità politica ed economica della Libia e dà un potere alle milizie che operano nel paese.

Tra gli acquirenti finali di questa ricchezza illegale ci sarebbero la Turchia e l’Italia, attraverso la triangolazione di Malta, così come dimostrato dall’inchiesta “Dirty Oil” della Procura di Catania (2018).

Manca però uno studio effettivo sulla quantità di petrolio libico illegale realmente a disposizione del mercato italiano negli ultimi anni, dalla caduta del regime di Gheddafi in poi e soprattutto dalla liberalizzazione del settore degli idrocarburi varata dal governo Monti nel 2012.

Ogni ricerca in questa direzione si arena di fronte a un’omertà di Stato che nemmeno la Procura di Catania ha potuto scalfire. Certamente non molto di più possono fare a Malta, dove diverse inchieste sono attualmente in corso, ma dove pesa anche l’omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia avvenuto nell’ottobre 2017 proprio all’inizio delle indagini, nel momento in cui la stessa si stava occupando della materia.

Un film per svelare 10 anni di barbarie europea

Di fronte a un quadro simile, l’Europa, anziché ascoltare le ragioni di un’evacuazione dei migranti in Libia, vara la politica della ridistribuzione, affermando implicitamente il principio della selezione naturale: chi riesce a fuggire e si salva, sarà redistribuito. Gli altri, pazienza. E nemmeno a casa possono tornare, perché i libici della Tripolitania hanno bisogno di manodopera gratuita per la loro economia.

Il 17 dicembre alle 18 il mio film L’Urlo, che per la prima volta getta luce sul fenomeno dei migranti-schiavi in Libia, sarà presentato a Teatro Flavio a Roma, a una settimana esatta dalle elezioni in Libia. Non ci saranno festival né televisioni ad organizzare questa proiezione. Ma sarà l’occasione per dimostrare che questo film esiste, nonostante due anni di pressioni e porte sbarrate, di censura preventiva e di guardiani della soglia sparsi neanche tanto segretamente tra le stanze del nuovo ordine liberale.

Trailer: 

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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