Maurizio Landini contro la guerra e contro l’ invio di armi in Ucraina


Francesco Cecchini


Articolo di Raul Zibechi, tradotto da Francesco Cecchini per Ancora Fischia il Vento. Il link con l’ articolo pubblicato su Servindi è il seguente:
https://www.servindi.org/actualidad-opinion/06/03/2022/la-izquierda-ante-la-invasion-ucrania-mantener-el-timon-con-firmeza


È nei momenti più difficili e complessi che l’ etica viene messa alla prova. Quando si è guidati da ciò che è giusto, e non da ciò che è conveniente, è una salita tanto necessaria quanto faticosa, e per di più non paga sui media.
In periodi di caos sistemico, è più importante che mai tenere fermo il timone, ci ha avvertito Immanuel Wallerstein. Si riferiva al non cedere alla tentazione delle generalizzazioni, o all’ universalismo, ma nemmeno al farsi prendere dai dettagli, nella tendenza a vedere solo la situazione distaccata dal contesto. In un certo senso, era una richiesta di equilibrio analitico, in un’epoca in cui la naturale complessità socio-storica è aggravata dalla difficoltà di gestire una barca in acque agitate, come sottolinea il sociologo.
La sinistra globale, quell’ amalgama contraddittorio che può includere governi di sinistra e progressisti, partiti politici, movimenti sociali e intellettuali di spicco, si è espressa in questi giorni con le sfumature più diverse. Si tratta di qualcosa di più della mancanza di unanimità, qualcosa di veramente salutare: siamo di fronte all’ inesistenza di valori comuni, al di là di un rifiuto quasi generalizzato e astratto della guerra.
I pronunciamenti della sinistra latinoamericana ripetono, più o meno, le stesse argomentazioni che si sono sviluppate negli ultimi anni, soprattutto da quando il processo bolivariano ha preso il volo in Venezuela.
In questo modo, i governi di Nicaragua, Cuba e Venezuela appoggiano direttamente la Russia, accusando l’Occidente di “doppi standard” non tenendo conto delle argomentazioni di Mosca secondo cui sta subendo un assedio militare. “Non è possibile raggiungere la pace circondando e mettendo alle strette gli Stati”, ha affermato l’ambasciatore cubano all’ ONU.
La reazione del governo boliviano, sebbene in parte contraddittoria, ha mostrato coerenza nella sessione plenaria dell’ organizzazione internazionale. L’ ambasciatore Diego Pary ha letto parte dell’articolo 10 della Costituzione dove afferma che “la Bolivia è uno Stato costituzionalmente pacifista e rifiuta qualsiasi guerra di aggressione o minaccia di aggressione come strumento per risolvere controversie e conflitti tra Stati”. Per questo Pary ha respinto tutte le invasioni e le azioni unilaterali che hanno avuto luogo nella storia recente. “Un esempio di questo è l’ Afghanistan, l’ Iraq, la Libia, la Siria, la Palestina e oggi l’ Ucraina”, ha detto il diplomatico che in seguito non ha accompagnato la dichiarazione di condanna dell’ invasione.
Il principale referente del progressismo latinoamericano, Lula da Silva, si è limitato a una condanna generale della guerra durante la sua visita a Città del Messico: Governanti, abbassate le armi, sedetevi al tavolo delle trattative e trovate una via d’ uscita al problema che vi ha portato alla guerra’”. Le sue parole contro l’ invasione sono state molto tiepide e poco chiare, forse perché il presidente Jair Bolsonaro, suo principale oppositore alle elezioni di novembre, ha proposto la neutralità di fronte alla guerra. “Non ci schiereremo, continueremo a essere neutrali e aiuteremo con tutto il possibile”, ha detto Bolsonaro, arrivando al punto di rinnegare il suo vice, Hamilton Mourao, che si è opposto all’ avanzata russa in Ucraina.
Tuttavia, la maggior parte delle analisi di questi giorni provengono da giornalisti e intellettuali che hanno mostrato una vasta gamma di colori e sfumature che possono mostrare, oltre alla diversità, un certo smarrimento. Non è vero, come fa notare Jorge Majfud in Rebelion, che la sinistra mondiale sostiene Putin; ancor meno per “la sua astuta e potente risposta all’egemonia economica e militare dell’Occidente”. Nel settore filorusso della sinistra, il rifiuto degli Stati Uniti è così forte da non lasciare spazio a chi interroga chi oggi sta facendo qualcosa di molto simile a quello che l’impero ha fatto per più di un secolo.
In Página 12, Atilio Borón non si è pronunciato contro l’ invasione russa, sostenendo che “le apparenze non sempre rivelano l’essenza delle cose, e quella che a prima vista sembra essere una cosa – un’invasione – vista da un’altra prospettiva e presa in considerazione i dati contestuali dell’account possono essere qualcosa di completamente diverso.” Ha delineato un argomento corretto, ma insostenibile perché la sua logica scagiona gli invasori: “L’ operazione militare lanciata contro l’Ucraina è la logica conseguenza di una situazione politica ingiusta”.
Con la stessa lettura è intervenuto il giornalista Ignacio Ramonet, su Telesur, convergendo nella difesa della Russia, sottolineando la responsabilità occidentale nella crisi, per non aver accettato le garanzie richieste da Mosca che “non raggiungeranno il territorio dell’Ucraina, al confine con la Russia, armi nucleari che mettono in pericolo la sicurezza della Russia.
In qualche modo, questo tipo di posizionamento, così comune in America Latina, sembra legato a un approccio estemporaneo, come hanno sottolineato, tra gli altri, Santiago Alba Rico, Volodymyr Artiukh e Rafael Sánchez Cedillo. In effetti, gli slogan che sembravano corretti quando l’ invasione dell’ Iraq nel 2003 ora suonano fuori fuoco. “Spiegare tutto da parte degli Stati Uniti non ci aiuta affatto”, dice Artiukh. Tra l’ altro, perché in questo periodo di declino dell’ egemonia statunitense e di caos sistemico, la guerra, o meglio ancora, la forza bruta, è usata anche da potenze di medie dimensioni come Arabia Saudita, Iran e Turchia in Yemen, Siria e Kurdistan, come fa notare Alba Rico.
Noam Chomsky è stato molto più chiaro in un’intervista a Truthout. Inizia osservando che “l’ invasione russa dell’Ucraina è un grave crimine di guerra paragonabile all’ invasione americana dell’Iraq e all’ invasione della Polonia da parte di Hitler e Stalin nel settembre 1939, per citare solo due esempi rilevanti”. Dopo aver sottolineato che le spiegazioni non possono giustificare l’ invasione, scompone le responsabilità dell’Occidente e degli Stati Uniti in particolare: “La crisi si prepara da 25 anni mentre gli Stati Uniti hanno respinto in modo sprezzante le preoccupazioni sulla sicurezza russa, in particolare le sue chiare linee rosse : Georgia e soprattutto Ucraina.
Tra i movimenti popolari, la cosa più illuminante è stato il comunicato dell’ EZLN intitolato “Non ci sarà paesaggio dopo la battaglia”. In sei brevi punti, si schiera con quelli dal basso e rifiuta di posizionarsi rispetto agli stati e alla capitale (russa, occidentale o altro). “C’è una forza aggressore, l’esercito russo”. Poi denuncia il grande capitale e si schiera con i popoli di Russia e Ucraina. Come zapatisti che siamo, non sosteniamo uno stato o un altro, ma piuttosto coloro che combattono per la vita contro il sistema. Poi denuncia chi crede che ci siano invasioni buone e cattive, critica il ruolo dei grandi media e, infine, abbraccia chi resiste dal basso in Ucraina e manifesta in Russia. La guerra deve essere fermata. Se viene mantenuta e, come previsto, ridimensionata, allora forse non ci sarà nessuno a rendere conto del paesaggio dopo la battaglia, conclude il testo firmato dai Subcomandantes Mosiés e Galeano. Una politica senza etica, guidata da calcoli, ci porta sempre a un vicolo cieco: lottare per riprodurre le stesse oppressioni che sono state combattute.
Dopo aver letto e ascoltato molte analisi sull’invasione russa, le domande si accumulano: è così difficile prendere una posizione di principio contro la guerra e denunciare l’aggressore? Ogni affermazione e ogni analisi deve mettere al primo posto il nemico principale (gli Stati Uniti), lasciando da parte il nemico secondario? Non è questa la politica che le femministe rifiutano quando ci dicono che non c’è una prima lotta (la rivoluzione socialista) che poi risolverà le altre contraddizioni?

È nei momenti più difficili e complessi che l’ etica viene messa alla prova. Quando si è guidati da ciò che è giusto, e non da ciò che è conveniente, è una salita tanto necessaria quanto faticosa, e per di più non paga sui media. Una politica senza etica, guidata da calcoli, ci porta sempre a un vicolo cieco: combattere per riprodurre le stesse oppressioni contro cui si combatteva. Nel suo ultimo Commento, Wallerstein ci ha lasciato in eredità, giorni prima della sua morte, una di quelle frasi che ci lasciano masticare a lungo. Conoscendo la sua carriera, sono certo che ha imparato molto dai popoli con cui si è impegnato: “Quello che può fare chi vive nel futuro è lottare con se stesso perché questo cambiamento sia reale”. Cosa intendeva per “lottare con se stessi”?

  • Raúl Zibechi (1952) è uno scrittore, insegnante e ricercatore uruguaiano dedito alla riflessione sui movimenti sociali latinoamericani e impegnato in essi. Direttore della sezione Internazionale del settimanale uruguaiano Brecha. Ha pubblicato, tra molti altri libri, Brazil Power. Tra integrazione regionale e un nuovo imperialismo (2012) Decolonizzare il pensiero critico e le pratiche di emancipazione (2015) e, con Decio Machado, Cambiare il mondo dall’ alto. I limiti del progressismo (2016).

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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