Si è svolto anche quest’anno, come di consueto durante la prima settimana di settembre sul Lago di Como, il Forum Ambrosetti, l’incontro internazionale in cui politica, economia e industria si ritrovano per discutere i temi più importanti sul fronte dello sviluppo economico e non solo. Considerato una sorta di forum di Davos italiano, le principali questioni emerse quest’anno hanno riguardato i problemi più urgenti che il Paese deve affrontare: il tema energetico e le relative sanzioni alla Russia, il Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), il sostegno all’Ucraina e il posizionamento italiano nel contesto internazionale. Protagonista dell’edizione di quest’anno si può considerare certamente Giorgia Meloni, accreditata dai sondaggi e dall’establishment internazionale come futura leader di governo, sebbene i selezionatissimi invitati di Villa d’Este siano nostalgici del governo di Mario Draghi e per questo motivo guardano con spiccata preferenza a Carlo Calenda e al Terzo Polo che vorrebbe riportare al governo l’ex capo della BCE. Riprova ne è il fatto che un esponente ai vertici di una grande impresa che ha mantenuto l’anonimato, durante la fila al buffet dopo il confronto tra i leader politici ha apertamente dichiarato che «Questa platea vorrebbe un governo di centrodestra con Calenda premier. Ma poiché non è possibile si fa bastare Meloni».
La leader di Fratelli d’Italia ha riscosso un discreto successo presso gli invitati di Cernobbio, confermando prima di tutto la salda collocazione del suo partito all’interno della sfera euroatlantica e sostenendo al contempo la necessità di una forte solidarietà europea sul fronte energetico. Secondo la Meloni, «se l’Italia si sfila dagli alleati, per l’Ucraina non cambia niente, per noi moltissimo. Una nazione seria che vuole difendere i suoi interessi deve avere una postura credibile». Mentre sulla questione del caro energia, la candidata ha affermato di non comprendere «la timidezza dell’Europa ad introdurre un tetto al prezzo del gas», confermando implicitamente che la politica delle sanzioni alla Russia non è in discussione, nonostante gli effetti disastrosi sull’economia italiana e sul Vecchio continente in generale. Chi, invece, ha osato mettere parzialmente in dubbio l’efficacia delle sanzioni verso il Cremlino è stato il capo leghista Matteo Salvini che, per questo, è stato subito sommerso da critiche e polemiche, specialmente dai candidati di centro sinistra: il leader del Carroccio è corso quindi ai ripari, sottolineando che la collocazione internazionale del centrodestra è con i “paesi liberi e democratici”: «Io voglio la democrazia e la libertà. La Lega vince e rimarremo alleati dei Paesi occidentali. Una cosa chiedo: che per fermare la Russia, non ci rimettano i lavoratori e la salute dei cittadini italiani» ha asserito.
Non sono poi mancate polemiche anche per quanto riguarda la questione del PNRR e la sua eventuale modifica: l’idea di rinegoziare il piano – lanciata in particolare da Giorgia Meloni – preoccupa Mariastella Gelmini e Mara Carfagna che a Cernobbio hanno rappresentato le posizioni del governo. In particolare, secondo Carfagna – ministro per il sud e la coesione territoriale nell’ex governo Draghi – ridiscutere il piano «significa bloccarlo e fermare opere, cantieri e investimenti per 30 miliardi». Di tutt’altro parere, invece, la Meloni che ha dichiarato di preferire un confronto con l’UE a partire proprio dal Piano, piuttosto che uno scostamento di bilancio per affrontare le questioni economiche «perché siamo indebitati oltremisura». Ha asserito quindi che «non può essere un’eresia dire che il PNRR possa essere perfezionato, è previsto dalle norme». Secondo la leader di FdI rivedere il Piano non significa stravolgerlo e il vero problema sarà rappresentato dai ritardi che il governo Draghi ha lasciato al futuro esecutivo.
Contrario alla proposta di rinegoziazione del PNRR anche Enrico Letta, segretario del PD, secondo il quale «ll PNRR è la nostra stella polare. Si può discutere, ma diciamo “no” alle rinegoziazioni. Se ci mettessimo in un confronto con Bruxelles perderemmo soldi e le prospettive per il futuro». Da parte sua, Calenda non ha nascosto, invece, l’esplicito appoggio al “metodo Draghi”, sostenendo che «non si può perdere il suo metodo che è semplicemente il fatto che ha detto dei sì e dei no e ha detto cosa andava fatto, ed è caduto per questo». Nostalgia e divisione sono, dunque, i principali temi che dominano i partiti politici: nostalgia di una personalità – Mario Draghi – che non c’è più e che si vorrebbe recuperare, specialmente da parte del centrosinistra, e divisione sia all’interno degli stessi partiti politici che tra i diversi schieramenti. Ad accomunare tutte le forze in campo, invece, è la comune posizione atlantista, assai significativa se si considera che le principali cause della crisi economica ed energetica derivano proprio dall’appiattimento della strategia europea sulle posizioni americane.
Per quanto riguarda le opinioni dei partecipanti al Forum, Gianluca Garbi, fondatore e amministratore delegato di Banca Sistema, le ha riassunte in modo esaustivo: «Calenda ha detto ciò che la sala voleva sentirsi dire, ma non ci ha spiegato chi dovrebbe sostituire Draghi nel suo piano se questi non volesse tornare a Palazzo Chigi». Due cose emergono, dunque, dall’incontro di Cernobbio: in primo luogo, che il Forum è il raduno degli ambienti e degli interessi dell’élite capitalista italiana, e non solo, che ha trovato e trova in Draghi il suo principale garante e rappresentante. Perso il sostegno dell’ex BCE, ora gli stessi ambienti della finanza e dell’industria altolocata sono alla ricerca di un degno sostituto che possa continuare ad appoggiare i loro obiettivi, da sempre coincidenti con la globalizzazione neoliberale e con gli strumenti dell’austerità e delle privatizzazioni, portati avanti all’interno del PNRR. Di conseguenza, la politica è più impegnata a guadagnarsi la fiducia e il rispetto degli ambienti che contano, promuovendone gli interessi, piuttosto che quella dei cittadini attraverso il ripristino dello stato sociale e della sovranità della politica sulla sfera economica.
In secondo luogo, emerge l’adesione unilaterale di tutti i partiti alle posizioni atlantiste di Washington, non lasciando così alcuna possibilità di scelta agli elettori circa le sorti dell’Italia nel contesto internazionale, almeno tra i partiti maggiori. Il tema della posizione euroatlantica, infatti, si è trasformato in un dogma inscalfibile e incontestabile, dietro al quale però si nascondono le vere cause della drammatica condizione socioeconomica europea. Una circostanza che nessuna personalità politica ha avuto l’ardire di mettere in luce al Forum dei magnati industriali europei e del capitalismo globale.
[di Giorgia Audiello]