Eppur si muove. Sì, qualcosa si muove nella direzione del riconoscimento, di esseri viventi tanto quanto noi, che noi animali umani dobbiamo agli altri animali, quelli di altre specie che, da millenni, sottoponiamo alla nostra volontà per qualunque cosa ci riguardi: dal divertimento (corride, circhi, sfide e lotte crudelissime, corse e tradizionali pali…) al far loro sopportare fatiche che vogliamo evitare, costringendoli ad essere delle protesi dei nostri mancati sforzi.

Ma non solo, da quando l’umanità ha scoperto l’addomesticamento degli animali non umani, l’animalità è diventata qualcosa di straordinario per noi: ce ne siamo scansati, liberati, pensando di poterci attribuire un diritto di dominio in base alla nostra intelligenza che, oggettivamente, è maggiore rispetto tanto ad un gufo quanto ad una pecora, tanto ad un delfino quanto ad un elefante.

Ma noi non ci siamo limitati a considerare come ricchezza questo elemento di distinzione. Abbiamo qualcosa di argutamente peggiore: abbiamo usato proprio la nostra intelligenza per sottomettere al nostro volere tutti gli altri animali, considerandoli inferiori perché incapaci di avere una coscienza di sé stessi tale e quale abbiamo noi; perché impossibilitati a costruire armi e altri strumenti che, dall’originaria intenzione di essere strumento di difesa, sono diventati ben presto strumento di offesa.

Eppure qualcosa, una critica, un dissenso, una specie di razionalismo umanamente animale e animalmente umano, si muoveva un tempo, anche dopo che l’antropocentrismo, e quello che millenni dopo avremmo definito come “specismo“, avevano messo radici ben piantate per terra e costruito una economia che non aveva dismesso la caccia degli altri esseri viventi per nutrirsi, ma aveva fatto in modo di affiancarla all’agricoltura e ad altre forme di sfruttamento animale come la pastorizia e l’allevamento.

Se era comprensibile che nell’età della pietra, nella pre-historia dell’umanità, la nostra coscienza e la nostra grande intelligenza fossero ancora troppo poco sviluppate per porsi la questione di una uguaglianza sostanziale tra tutti gli esseri viventi presenti sulla Terra, l’evoluzione dell’animale umano ha permesso di assumere, già dai tempi degli egizi e degli antichi greci, un atteggiamento fortemente critico sull’onnivorismo, sul considerare quindi tutto consumabile e commestibile.

Eppure allora, ed oggi più ancora, la critica antispecista si è fatta sentire nelle orazioni e negli scritti di grandi uomini e di grandi donne che avevano deciso di non uniformarsi alla consuetudine, di non accettare come dato di fatto qualcosa solo perché “era sempre stato così“. E’ una scusa irricevibile che, se applicata in ogni tempo, avrebbe fermato proprio il tempo, perché è il massimo della conservazione inevolutiva, del mantenimento di uno status quo solo per il fatto di non avere la volontà di cambiare, affermando l’abitudinarietà dell’essere umano come architrave di una paura intrinseca nei confronti del mutamento.

Eppure, ridiciamolo, qualcosa si muoveva allora e si muove proprio in questo 2022, in questo settembre di campagna elettorale in Italia in cui fa capolino in alcuni programmi di partito e di movimenti il tema del “benessere animale“. Non siamo ancora al riconoscimento dell’ingiustizia primaria: lo specismo. Ma ci stiamo progressivamente avvicinando, se non altro, ad una riconsiderazione tanto del nostro comune modo di alimentarci quanto delle sofferenze che gli animali non umani sopportano a causa di quelli come noi, di quelli umani.

E’ bene ripetercelo tante, tante volte: noi siamo animali. Animali umani, ma siamo animali esattamente come gli altri abitanti di questo pianeta. Siamo diversi, siamo più intelligenti, abbiamo costruito enormi civiltà devastando e anche arricchendo quello che ci circondava. Siamo capaci di dipingere la Gioconda e siamo capaci di innalzare steccati, muri e fili spinati per far morire dentro ai lager, ai gulag e a tanti altri campi di prigioni e sterminio i nostri stessi simili.

Perché, a differenza degli animali non umani, noi siamo sempre i primi nemici di noi stessi: abbiamo la “ragione“, la facciamo prevalere sull’istinto (a volte…) ma ci annichiliamo in massa con le guerre, per il predominio di una etnia su un’altra, per ragioni che vanno dal colore della pelle al potere economico e che, alla fine, riguardano sempre e soltanto una lotta per una vita migliore a scapito di altri nostri simili.

Non contenti di aver stabilito nella piramide esistenziale che il gradino più basso era riservato a chi non aveva la postura eretta e camminava su due gambe, oltre ad avere il pollice opponibile, abbiamo reso la nostra specie, come tutte molto eterogenea e variegata, un campo di battaglia per schermaglie di tipo razzista e xenofobo e ci siamo inventati il potere, sorretto prima da paure ancestrali, utilizzato sempre da più intelligenti di noi per sottomettere, per far sopravvivere altri e vivere noi alle loro spalle, sul loro sudore, infischiandocene della sofferenza.

Qualche volta, nel corso della Storia, abbiamo finto di renderci conto della lotta fra le classi sociali, soprattutto nei momenti in cui qualche schiavo alzava la testa, come Spartaco, e si metteva alla guida di una rivolta enorme di uomini e donne per uscire dall’ingorgo sia della res publica sia del potere, distruggendo ogni schema predetto, mettendo in pericolo le certezze più remote, mettendo in discussione sé stessi.

In tutto questo caos inevolutivo, che pure è stato costretto a soggiacere ad una inevitabile curiosità umana per il nuovo che ci aiutasse a penare un po’ meno, gli animali non umani sono arrivati, nel corso di oltre duemila anni, alla capitalizzazione dei pensieri del passato e hanno fatto tesoro delle esperienze.

L’antispecismo, pur non essendo consapevole di essere tale nei secoli addietro, non è mai veramente morto. Non ha mai conosciuto un oblio assoluto. Non è mai stato schiacciato del tutto sotto il tallone della prepotenza umana, nella riaffermazione costante dell’animale non umano come servitore, giullare e piatto di portata degli esseri che siamo.

Eppure, appunto, si diceva, si muove qualcosa. E si muove energicamente, perché la Natura con la enne maiuscola ci costringe a fare i conti con crisi economiche che minano la struttura di un sistema che non può dirsi eterno, perché nessuno lo è, perché tanto meno un regime in cui pochi sfruttano moltissimi e tutte le risorse della Terra non può pensare di tendere all’infinito, oltre sé stesso sempre e comunque.

Finiscono i soli, finiscono le stelle, finirà anche il capitalismo. E finirà, forse, con esso anche lo specismo che è violenza umana che comprende il razzismo e tutte le altre pregiudizialità che siamo stati in grado di evocare senza alcuna formula magica. Per avere una sempre maggiore coscienza del nostro razzismo, del male che ci procuriamo sulla base delle differenze come stigmi e condanne ineccepibili, dobbiamo fare un salto di qualità e pensarci andando oltre la nostra “umanità“, comprendendoci nell’”animalità“.

Se iniziamo a riflettere sulla comunanza dell’esistenza con tutti gli altri esseri viventi, che sono eguali a noi in quanto al diritto ad una vita autonoma, libera e senza interferenze di alcun tipo, possiamo percepire veramente come enorme il razzismo che è, senza tema di smentita, un fenomeno esclusivamente umano per come lo conosciamo nella nostra specie.

L’etologia ci ha insegnato che in tutte le specie (o quasi) esistono delle gerarchie e dei comportamenti di dominazione, di predominanza: c’è chi ha più carisma, chi è riconosciuto come il “capo”, chi non viene contrastato per forza e brutalità, chi viene invece assoggettato per la sua debolezza, per la fragilità fisica ed emotiva, per mille altre situazioni che si creano di volta in vota negli ambienti più diversi.

Ma la nostra intelligenza ci deve imporre di superare la mortificazione che le abbiamo fatto nell’adoperarla per erigerci a sovrani del mondo, a dominatori di chiunque e di tutto: gli animali non umani, al pari di noi, non sono cibo ma sono individui, esseri senzienti che provano dolore, gioia, paura, allegria, ogni tipo di sentimento che leggiamo nei loro occhi.

Il discorso sarebbe molto lungo e lo abbiamo affrontato già altre volte (qui una piccola rassegna in merito), ma non sono mai troppe le parole per descrivere tutte le contraddizioni create dall’animale umano: dallo specismo ai sistemi economici più spietati, come il liberismo capitalista, per lasciare in regime di servitù più di due terzi dell’umanità che, a sua volta, continua a sottrarsi all’animalità, sterminando ogni anno oltre 60 miliardi di animali non umani.

Eppure qualcosa si muove. E veniamo al punto vagheggiato all’inizio: nella campagna elettorale italiana un po’ tutte le forze fanno a gara per accaparrarsi voti trasversalmente. Per colore politico, per impostazione ideologico-ideale, per simpatia culturale, per fede, e così via. Pochi trattano il tema del vegatarianesimo, del veganesimo e quasi nessuno quello dell’antispecismo.

Si tratta di un tema impopolare perché ci mette in discussione in prima persona e perché, come evitamento psicologico autoprotettivo, derubricato a questione relativamente importante, di secondo piano rispetto alle urgenze che abbiamo sviluppato in secoli di devastazione ambientale e innaturale e che oggi ci si riversano contro del tutto naturalmente.

Parlare di “benessere animale“, di abolizione degli allevamenti intensivi di animali come noi, ma non umani, non era così scontato ieri e non lo sarebbe stato nemmeno oggi se alcune forze politiche non avessero trovato il coraggio di introdurre questi temi tra gli ordini del giorno, mettendoli accanto alle grandi questioni eco-sostenibili del nostro tempo. Unione Popolare questa scelta coraggiosa l’ha fatta e può andarne orgogliosa.

Nemmeno Rifondazione Comunista fino ad oggi, fino almeno al suo ultimo congresso, aveva accolto delle tesi animaliste e antispeciste nell’insieme di rivendicazioni sociali, civili e morali che persegue un po’ da sempre e che ne sono la sua ragione d’essere.

Ma va dato atto che proprio le due principali forze che compongono Unione Popolare (Potere al Popolo! e, appunto, Rifondazione Comunista) si sono formate una coscienza collettiva, ancora da espandere appieno, ma indubbiamente in formazione proprio nell’attenzione posta prima di tutto al costo economico di un consumo di carne che è tra le prime cause di sfruttamento delle acque, del suolo e anche dell’aria che respiriamo sempre più faticosamente.

Il punto 10 dell’ottavo capitolo del programma elettorale di Unione Popolare recita: «Tutela del benessere animale e istituzione del Garante Nazionale dei Diritti degli Animali. Sostegno alle misure proposte dalle associazioni animaliste».

Non è la rivoluzione antispecista, ma è uno straordinario passo avanti verso una vera e propria evoluzione dell’intelligenza umana che non deve attendere la catastrofe globale economica, sociale e (in)naturale per accorgersi di aver depredato, schiavizzato e utilizzato il mondo e i suoi abitanti al solo scopo di garantirsi una esistenza migliore a discapito di tutte le altre specie.

Cominciamo col ripensare le nostre diete: la carne fa male e la caccia oggi è soltanto mero sadismo. Smettere di mangiare esseri viventi e smettere di ucciderli per cinico divertimento è un obiettivo cui si può giungere unitamente alla lotta anticapitalista, ambientalista e contro ogni discriminazione: di noi contro noi stessi, di noi contro tutti gli altri nostri “vicini di casa“.

Il coraggio di Unione Popolare va premiato col voto. Ogni voto ad UP è un passo avanti anche per il diritto degli animali (non umani) di poter esistere, vivere e morire senza più essere alle dipendenze o alla mercé di nessun altro. Evolviamoci a sinistra. Evolviamoci insieme il 25 settembre prossimo.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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