“Il mondo è una riflessione della mente” (Anteo Edizioni, 2022) è un libro che permette di affrontare un’autoriflessione spirituale senza eccedere nell’aspetto trascendente, ma anzi dando preziosi suggerimenti per migliorare la nostra vita quotidiana e accettare l’ineluttabilità dell’impermanenza.
“Il mondo è una riflessione della mente” (Anteo Edizioni, 2022) è il nuovo testo del filosofo e scrittore cinese Xue Mo, che si cimenta in una profonda riflessione teorica dopo essere diventato noto al grande pubblico cinese soprattutto per i suoi romanzi a tema spirituale. Questa volta, anziché attraverso personaggi immaginari, Xue espone la sua visione del mondo in modo sistematico e rapportandola a situazioni reali vissute da ogni essere umano.
“La corrente in cui si inserisce la riflessione didattica di Xue Mo […] procede per gradi partendo dalla spiegazione di quei presupposti teorici che fanno del Buddismo una filosofia morale, una disciplina orientata eticamente al miglioramento di sé stessi, una pratica e un mezzo per raggiungere la quiete da desideri e condizionamenti mondani”, scrive Maria Morigi nella sua puntuale prefazione (p. 4). In effetti, le pratiche insegnate dall’autore non si rivolgono unicamente ai seguaci di questa corrente religioso-filosofica, ma possono rivelarsi preziose per chiunque voglia distaccarsi da un mondo di desideri indotti dall’ultracapitalismo imperante.
La filosofia di cui Xue Mo si fa carico parte dal concetto fondamentale di impermanenza, ovvero dalla constatazione che tutto ciò che esiste nel nostro universo si trova in uno stato di continuo cambiamento, che lo porterà prima o poi alla distruzione: “Dobbiamo sapere che tutto ciò che abbiamo davanti ai nostri occhi alla fine scomparirà. Innumerevoli cose materiali, innumerevoli ricchezze, innumerevoli persone, innumerevoli complicazioni saranno tutte dissolte dalle acque del Tempo finché non ne rimarrà traccia; si dissolveranno tutti nell’Eterna Notte oscura come bolle di sapone che scoppiano nell’aria senza lasciare niente che ricordi la loro esistenza” (p. 10).
Di conseguenza, la mancata accettazione del principio di impermanenza da parte della maggioranza degli esseri umani non può che portare infelicità: gli uomini si comportano come se essi stessi, i loro averi e il pianeta Terra fossero destinati a durare per sempre, ma questo cozza con la constatazione della realtà, ovvero che gli uomini muoiono, gli averi di dissolvono o si deteriorano e persino il pianeta Terra e lo stesso Universo un giorno cesseranno di esistere nel modo in cui li conosciamo oggi. Il concetto di “Eterna Notte” espresso da Xue Mo trova del resto conferma anche nella scienza, visto che secondo molte teorie la fine di ogni mondo immanente vivibile sarà rappresentata dalla morte termica dell’universo.
Secondo Xue Mo, “l’impermanenza è il presupposto perché la vita possa continuare, ed è anche la regola che noi stessi seguiamo sempre. L’impermanenza stessa non deve essere temuta” (p. 17). L’accettazione del cambiamento e della sua conseguenza più drastica, la morte, è stata elaborata tanto dalle dottrine orientali quanto dalle altre civiltà antiche. Anche nella civiltà greca, infatti, la morte era l’evento inevitabile che rendeva tuttavia possibile il rinnovarsi della vita, mentre la scienza darwiniana ci insegna che solo grazie alla morte è possibile l’evoluzione delle specie. In natura, è l’interesse della specie a prevalere su quello dell’individuo, ma la nostra società individualista ha ribaltato questo assioma, portando di conseguenza un’infelicità diffusa: in una concezione che pone l’individuo al centro, la morte e la finitezza di ogni cosa diventano infatti inaccettabili.
Come il filosofo greco Eraclito, anche Xue Mo opta per la metafora dell’acqua che scorre per indicare il continuo cambiamento delle cose: “Tutto nel passato, tutto il tempo, è come l’acqua che scorre” (p. 20), afferma Xue, facendo eco all’eracliteo πάντα ῥεῖ. Eppure, la maggioranza delle persone affronta la propria vita ignorando questo ineluttabile principio che i filosofi greci, indiani e cinesi avevano individuato migliaia di anni fa.
E allora, come affrontare la propria vita tenendo conto del principio di impermanenza? Preoccuparsi per le cose materiali è del tutto inutile, dato che ogni cosa è destinata a cambiare. Accettare il cambiamento è l’unico modo per vivere in armonia con il mondo, adattandosi a quelle che sono le leggi ineluttabili della natura e non sforzandosi di cambiare le leggi del mondo per renderle compatibili con i nostri desideri: “Gli esseri umani non sono i padroni del mondo e dell’universo. Tutto ciò che una persona può controllare è la propria mente e il proprio spirito” (p. 39). Ancora una volta, notiamo come l’antica saggezza abbia individuato gli stessi principi a decine di migliaia di chilometri di distanza, tanto che, nelle Leggi, Platone espresse il medesimo concetto: “Non pensare, o uomo meschino, che questa Terra sia stata fatta per te. Tu, piuttosto, sarai giusto se ti aggiusterai all’universa armonia”.
Tale riflessione dimostra come la maggioranza delle persone non abbia compreso il concetto di felicità. Indubbiamente, la felicità è l’obiettivo di ogni essere umano, ma molti confondono il significato di questo termine, pensando di poterla raggiungere nella ricerca di cose esterne, ovvero attraverso l’accumulazione di beni materiali, la carriera lavorativa, l’amore di coppia, ecc. Tuttavia, si tratta di tutti elementi mutevoli, il che vuol dire che, se anche un individuo dovesse raggiungere la felicità attraverso le cose materiali, questa potrebbe essere solo di breve durata. Al contrario, “la vera felicità è solo un sentimento della mente e dello spirito” (p. 42).
Nella nostra società che ci stimola continuamente con desideri indotti, portandoci a volere compulsivamente cose di cui non abbiamo alcun bisogno, il primo passo da compiere è individuare e respingere questo meccanismo che tiene sotto scacco la maggioranza delle persone: “Più hanno e più desiderano, più energia devono spendere per mantenere la ricchezza e cercarne di nuova. In questo stato mentale, è molto difficile per loro realizzare la libertà della mente e dello spirito, e talvolta non hanno modo di preservare nemmeno la libertà del corpo” (p. 54). Nel sistema capitalista, del resto, solo il capitale è libero, mentre persino l’uomo più ricco del mondo diventa un inconsapevole strumento del capitale stesso, vivendo la propria vita con l’unico scopo di accumulare sempre di più. “Questo impulso assoluto all’arricchimento”, come ci spiega accuratamente Karl Marx nel Capitale, rappresenta l’alienazione del capitalista, che infatti non è meno alienato dei suoi operai.
E allora, la soluzione risulta nel puro ascetismo, ovvero dal distaccarsi completamente dal mondo esterno per curare unicamente la propria anima? Anche in questo caso, la risposta è negativa: “Sebbene il Buddismo riconosca che tutto è una vuota illusione e di cui non vale la pena preoccuparsi, tuttavia Buddha si preoccupava per tutti gli esseri viventi” (p. 65). L’uomo deve operare un distacco dal Sé, cercando di utilizzare la propria vita per seminare il bene tra i propri simili e le altre creature viventi: “Il grande bene consiste più nel lasciar andare le proprie aspettative e nel prendere più in considerazione gli altri” (p. 89).
In conclusione, il testo di Xue Mo non vuole essere una guida all’ascetismo, ma l’inizio di un percorso concreto per migliorare le condizioni di vita spirituale dei lettori, e contemporaneamente disseminare maggiore consapevolezza sulla condizione umana e soprattutto empatia tra gli appartenenti al genere umano, in contrasto con il mondo odierno fatto di conflitti e diffidenze: “Le persone che pensano a tutto in termini di guadagno utilitaristico non hanno modo di capire l’altruismo o l’amore filantropico degli altri, e le persone avide sentono sempre che i loro nemici sono ovunque” (pp. 93-94). “In realtà, l’amore è richiesto nella natura di ogni persona, ed è qualcosa inerente alla mente umana. Il motivo per cui a volte lo trascuriamo è perché siamo stati illusi da desideri e falsi pensieri e non riusciamo a riconoscere la vera mente” (p. 131).
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