Immune (credo) da aprioristici pregiudizi nei confronti del Presidente del Consiglio, avevo tuttavia segnalato, in questa Rivista, la grave impreparazione o inadeguatezza di alcuni ministri del governo Meloni: una valutazione che si è confermata, anzi irrobustita, nello scorrere la lista dei sottosegretari. A questo punto il dubbio inevitabilmente finisce con l’avvolgere anche il Presidente Meloni. Di ciò non sono affatto contento perché di mezzo c’è la Repubblica italiana o, se si preferisce, la nostra Nazione.
Vediamo in breve le ragioni di questa perplessità: è una valutazione che proverò a tenere il più possibile indenne da considerazioni di merito (intendo se una scelta sia giusta o meno …) e mi limiterò al metodo che qui assume innanzi tutto il criterio della congruenza rispetto a un progetto il cui focus è fermamente allocato nella promozione e realizzazione dell’interesse nazionale: potremmo anche dire della Repubblica in quanto tale.
Ora, la prima ‘evasione’ è proprio dal criterio della congruenza. E ne viene fuori subito un’altra, diversa, ‘evasione’. Esige o no l’interesse nazionale che si persegua l’evasione fiscale? Assolutamente sì: lo impone un complesso apparato legislativo. A dirla tutta, non c’è stato un governo che finora abbia veramente combattuto l’evasione fiscale; e si capisce, trattandosi di un fenomeno che include tanti, troppi, cittadini italiani. Ma il governo Meloni, sulla linea di precedenti governi di centro-destra, sembra voler incoraggiare gli evasori, sostenerli, specie se piccoli evasori, appartenenti a quei ceti che, presumibilmente, hanno votato questa maggioranza. La proposta d’innalzamento del contante, tenuto conto del contesto nazionale (l’evasione sta soprattutto presso i piccoli), va esattamente in questa direzione: negarlo è solo esercizio di bassa retorica.
La controprova è offerta da un’altra – strana – proposta del governo Meloni: la flat tax dovrebbe essere inaugurata a tutto vantaggio di imprenditori e professionisti con ricavi fino a 100.000 euro annui. Ma è proprio in questa fascia che sembra annidarsi una robusta tendenza all’evasione fiscale; e l’innalzamento del contante (10000 euro? 5000 euro?) la favorirebbe, non certo l’ostacolerebbe. Tutto ciò è congruo rispetto al superiore interesse nazionale? O, con altre parole, siamo di fronte ad opzioni dettate dalla volontà di promuovere la difesa della legalità nel Paese?
Altra ‘evasione’: dalla competenza o, adoperando la nomenclatura di questo governo, dal merito. Mi riferisco al decreto legge 31 ottobre 2022: quello sui rave parties. Che competenza – e, dunque, quale manifestazione di ‘merito’ – ha espresso il governo Meloni quando ha messo per iscritto le nuove regole? Si poteva cominciare con il porsi la questione se ricorressero o meno i presupposti costituzionali della decretazione d’urgenza: vero che di questi presupposti è da tanto (troppo) tempo che i governi fingono che non esistano, ma sarebbe stato apprezzabile che questo governo – che vuole invertire la rotta – la invertisse e portasse la questione dei rave parties in Parlamento.
Comunque, si voleva normare urgentemente i rave parties, benissimo. Ma allora si doveva descrivere la cosiddetta fattispecie congruamente a quel che i rave parties sono nella realtà fenomenica: parole appropriate che delineassero con la massima precisione i confini di questi eventi. Non lo si è fatto; e, sulla base delle facili critiche al testo, si è preso atto della necessità di emendarlo in sede di conversione del decreto. Benissimo. Anzi no. Stupisce che non si sia stati in grado di scrivere correttamente l’articolato, tanto più che erano prevedibilissime le censure a livello politico. Stupisce perché, nel Consiglio dei ministri, siedono anche gli esperti legali, provenienti dall’università, dalla magistratura e dall’avvocatura. Potremmo dire che, in questo caso, il governo ha meritato una nota di ‘demerito’ …
Ulteriore ‘evasione’: in tema di sanzioni per gli over 50 renitenti al vaccino anti-covid e di reintegro anticipato dei medici non vaccinati. Vi erano alcune disposizioni di legge – legittimamente assunte dal passato governo – che l’attuale governo ritiene inaccettabili: ingiuste diremmo, non certo illegali.
Sanzioni: l’intento era quello di legiferare dichiarandole inesigibili. Poi, del tutto inopinatamente, considerato il battage sollevato, il governo decide di rinviare e smette di far proclami in proposito. Perché? Ma perché più di qualche over 50 nel frattempo aveva pagato: cioè si era adeguato al disposto legale. A ciò non si era minimamente pensato; ed ecco la necessità di pensarci tardivamente e di rinviare. Anche a questo proposito un poco ci si stupisce: Giorgia Meloni non aveva forse proclamato di voler comporre un governo di alto profilo?
Reintegro dei medici non vaccinati: qui la legge del passato governo lo prevedeva automaticamente alla data del 31 dicembre. L’anticipazione è forse stata una scelta congrua rispetto all’interesse nazionale? È arduo dare una risposta positiva. Anticipare il reintegro crea una frattura nell’ordine legale ancor più vistosa che a proposito delle sanzioni: due mesi non solo nulla a fronte del vulnus così arrecato alla maestà della legge (sì, maestà) perché sulle leggi, sul loro rispetto, si fonda una qualunque repubblica bene ordinata. Ovviamente ciò non implica che la legge posteriore non possa abrogare o modificare la precedente: ci mancherebbe altro. Ma occorrono delle buone ragioni. I 50 euro di multa o i due mesi in più di sospensione lo sono? Direi di no: a fronte stanno i tanti cittadini, e la quasi totalità di medici, che si sono vaccinati.
Circa i medici è stata divulgata anche una notizia priva di fondamento. Si è insistito che il provvedimento era necessario per le carenze di organico: ma in tutto a tornare al lavoro sono stati 1878 medici, di cui soltanto una parte (i meno) presta attività negli ospedali. La conseguenza è che le cose non sono poi tanto cambiate. Sostenere il contrario è stato come esulare – evadere – dalla verità fattuale.
Ultima evasione: l’ambito è ancora quello del Covid. Come si può interdire la comunicazione giornaliera dei dati Covid? L’idea sottostante è che il popolo – quel popolo a cui incessantemente si richiamava il Presidente Meloni – non sia maturo o sia impressionabile o una cosa del genere. C’è congruenza tra questa visione e il programma politico della destra? Soprattutto c’è congruenza rispetto a un postulato fondante del repubblicanesimo democratico, che la trasparenza sia massima?
Potrei continuare. Ma è sufficiente quanto osservato per essere preoccupati. Attenzione: non più di quello che si era, o si doveva essere, con i passati governi, anch’essi composti da troppi personaggi impreparati e/o inadeguati. Il tratto accomuna, più o meno, destra e sinistra. Le cause? Varie. Ma la prima è la decadenza, più che trentennale, delle agenzie educative: dalla scuola all’università ai partiti politici. Per piacere, finiamola con la demagogia, da una parte e dall’altra. A che serve, in questa situazione, intestare un ministero al merito?
Un’ultima osservazione. È stato abbastanza facile per Giorgia Meloni acquisire consenso stando sempre all’opposizione; e, dopo il voto, mantenere un comportamento distaccato, anzi silente, a fronte delle intemperanze fuori luogo degli altri due leaders di maggioranza. Ora deve parlare e agire. Quel che abbiamo sentito e visto non è proprio il top. Nella conferenza stampa del 4 novembre è apparsa stanca e imprecisa. Essere sempre all’altezza non è facile, certo. Sono sicuro che il Presidente Meloni sia consapevole che la sua squadra è carente. Allora corra ai ripari e si faccia consigliare da chi conosca a fondo le cose da decidere e sia indipendente. Ciò per fare al meglio la sua politica: quella di destra, naturalmente. Pasticciare è il peggio che possa accadere.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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