Ogni volta che ritorna la questione morale in politica, i partiti coinvolti agitano il santino di Berlinguer come a voler esorcizzare le proprie responsabilità eludendo il nodo centrale.
Il nauseante richiamo a Berlinguer (e non è colpa di Enrico)
Enrico Berlinguer non è un santino piccolo-borghese di persona perbene da agitare per dire che un tempo siamo stati buoni e bravi e adesso non lo siamo più perché lui non c’è più.
Berlinguer era il segretario del PCI e per questo aveva una dirittura morale, seguiva dei valori e aveva l’assillo per la sua classe di riferimento. Non perché fosse bravo e onesto di suo.
Certamente, avrà avuto qualità morali, umane e spirituali notevoli ma questo non c’entra. C’entra la politica, c’entra il fatto che o si fa politica con una visione del mondo, una filosofia per la quale si trasforma il mondo nel momento in cui lo si conosce e lo si conosce nel momento in cui lo si trasforma, o tutto decade a mera governance.
Non si è onesti perché sobri. Si è sobri perché più di qualsiasi comodità borghese risulta appagante il ballo sociale e popolare, quello che si fa con i compagni e le compagne per attraversare il mondo, dare al mondo stesso un senso, creare tramite esso la social catena tanto cara a Leopardi.
A quel punto si è anche onesti, perché appunto non c’è niente di più bello che scrivere il testo della propria vita assieme ai compagni e alle compagne; non c’è niente di più appagante che arginare il nulla creando i luoghi della discussione collettiva, dell’elaborazione simbolica del mondo, dell’epos politico.
E poi – diciamoci la verità – gli esseri umani sono “legni storti” che possono solo approssimare una certa dirittura. E quell’approssimazione è un lavoro collettivo di discussione continua, di ricerca, di passione politica e intellettuale per una perfezione che non si può raggiungere e, proprio per questo, lascia liberi gli umani di fare, sperimentare, cantare, provare e riprovare (a differenza di tutti gli altri viventi che seguono un loro codice biologico).
E senza partito, senza comunità politica, non ci sono i luoghi di quella ricerca e di quel ballo. E non ci sono nemmeno i compagni che ti aiutano a evitare le tentazioni, a farti capire che non c’è niente di più bello e appagante che stare con loro.
Dunque, perché dico che i richiami a Berlinguer mi danno la nausea? Perché chi ha distrutto il PCI trent’anni fa, e con esso qualsiasi idea di politica e di partito come comunità di compagni e compagne che ballano assieme per sostenersi e approssimare una dirittura, non può richiamare né Berlinguer né i bei tempi del PCI. È tutto troppo ipocrita e, appunto, nauseante