Occorre rilanciare la necessità di rovesciare la guerra imperialista in guerra civile rivoluzionaria, far cadere quanto prima da sinistra il governo, rendere di nuovo i comunisti #avanguardie delle lotte dei subalterni, combattere l’inflazione contrastando l’embargo ai paesi considerati #antimperialisti.
La speranza principale è che la guerra fra paesi capitalisti e imperialisti possa trasformarsi in una guerra civile rivoluzionaria. Potrebbe sembrare un’utopia, ma è già storia. I soldati, in primo luogo russi e ucraini, dovrebbero fraternizzare, cioè farla finita di farsi uccidere fra potenziali alleati subalterni a causa delle classi dominanti nazionali che, al di là del momentaneo scontro, sono profondamente unite dalle politiche guerrafondaie e scioviniste, indispensabili a far perdere di vista agli oppressi le reali cause della crisi economica, sociale e culturale in atto.
Naturalmente ciò non può prodursi spontaneamente, secondo la visione del mondo idealistica e ingenua degli anarchici, in altri termini non saranno le condizioni sempre peggiori vissute dalle truppe nell’attuale guerra di logoramento e dalle popolazioni civili, ostaggio di attacchi terroristici, a produrre la fraternizzazione fra i subalterni dei paesi in guerra e la trasformazione delle guerre nazionaliste capitaliste e imperialiste in guerre civili rivoluzionarie, unica duratura soluzione per porre fine alle continue guerre prodotte dai proprietari monopolistici dei mezzi di produzione per aggirare la crisi di sovrapproduzione da loro stessi prodotta.
Ci vorrebbero necessariamente – in primo luogo in Russia e in Ucraina, in secondo luogo nei paesi imperialisti responsabili e coinvolti nel conflitto – forze comuniste rivoluzionarie, leniniste e internazionaliste. In loro assenza la sopra citata soluzione, la più semplice e razionale per porre fine all’attuale terza guerra mondiale – frantumata in sempre più conflitti armati apparentemente indipendenti gli uni dagli altri – è destinata a rimanere un’affascinante utopia. In Ucraina le forze rivoluzionarie paiono scomparse, cioè ridotte ai minimi termini, dal nazionalismo e dallo sciovinismo imperante. Mentre in Russia la maggioranza delle forze comuniste sembrano egemonizzate dal governo capitalista e nazionalista e hanno completamente perso di vista che il primo nemico da combattere sono gli sfruttatori al potere nel loro paese. L’individuare il principale nemico nello sciovinismo e nell’imperialismo contrapposto al proprio, non possono che portare, come la storia ci insegna, alla subalternità delle uniche forze in grado di porre fine alla guerra imperialista e alla dominante politica sciovinista e guerrafondaia.
Errori analoghi appaiono dominanti anche fra i comunisti dei paesi della Nato, impegnata, per quanto in modo indiretto, nel conflitto in Ucraina e nella grande maggioranza delle altre guerre in corso nel mondo. Anche in questo caso, dimenticando completamente la lezione di Lenin – a partire dalla quale, peraltro, si è affermato a livello internazionale il comunismo – si preferisce seguire la classica politica iper opportunista che porta a individuare nello sciovinismo e nell’imperialismo opposto al proprio il principale nemico. In tutti questi casi persino i comunisti, invece di battersi per l’unica soluzione in grado di porre fine in modo durevole alle guerre nazionaliste e imperialiste, parteggiano per una delle parti in conflitto, generalmente considerando il pericolo principale il nemico del proprio nazionalismo e imperialismo. In tal modo, persino una parte consistente delle forze comuniste – come le forze socialiste durante la Prima guerra mondiale – finiscono per favorire, piuttosto che contrastate, le guerre scioviniste e/o imperialiste.
Naturalmente prima di denunciare e criticare la debolezza e/o la subalternità delle forze sedicenti comuniste in Russia, Ucraina o negli altri paesi imperialisti impegnati in un modo o nell’altro nei conflitti in atto, dovremmo preoccuparci dell’attuale stato pietoso del comunismo o meglio dei sedicenti comunisti nel nostro paese. La situazione è a dir poco allarmante, una parte significativa dei sedicenti comunisti si limita, sostanzialmente, a fare il tifo per uno degli sciovinismi in campo, con interessi imperialistici alle spalle; abbiamo così il paradosso dei comunisti italiani filoucraini o filorussi. Subito dopo abbiamo una posizione solo relativamente meno peggiore della precedente, ossia quella dei comunisti che vedono nella Russia o nell’Ucraina il nemico principale. Mentre, naturalmente, il primo nemico da combattere dei comunisti del nostro paese dovrebbe essere il proprio imperialismo e il proprio sciovinismo.
Anzi proprio questo potrebbe essere – come del resto lo è stato storicamente – il punto di partenza per rilanciare il comunismo nel proprio paese e in prospettiva a livello internazionale, cioè il riunificarsi dei comunisti in nome della comune lotta alla guerra sciovinista e imperialista, portando avanti l’unica reale alternativa, ovvero la guerra civile rivoluzionaria. Fermo restando che ognuno deve, in primo luogo, cercare di realizzare questi essenziali obiettivi dove può, cioè a causa sua, opponendosi agli imperialisti e agli sciovinisti che può più direttamente e agevolmente contrastare, ossia quelli più vicini.
Naturalmente visti gli attuali rapporti di forza, in primo luogo in Italia, i comunisti dovrebbero portare avanti, dalle poche trincee sopravvissute una guerra di resistenza al livello delle sovrastrutture contro le ideologie nazionaliste, scioviniste e filoimperialiste dominanti. A tale scopo i comunisti, in particolare in un paese imperialista come l’Italia, dovrebbero smetterla di credere possibile battersi per un nazionalismo di sinistra e cercare di dare di nuovo forza e credibilità alla prospettiva decisamente superiore e realmente alternativa dell’internazionalismo (proletario).
A livello più concreto e immediato dobbiamo sperare che cada al più presto il governo più di destra italiano dai tempi del governo Mussolini. Anche questa potrebbe apparire una mera utopia. La destra ha un’ampia maggioranza e l’opposizione appare quanto mai divisa, timida e non di rado, di fatto, “collaborazionista”. Ciò non toglie che l’attuale governo fa chiaramente gli interessi del blocco sociale dominante, cioè in primo luogo della grande borghesia e in secondo luogo degli altri settori subalterni della borghesia. Ciò comporta, necessariamente, che il governo fa politiche in netto contrasto con la grande maggioranza della società, in primo luogo contro il proletariato, ma anche, in secondo luogo, contro il sottoproletariato e i ceti medi. È, altresì, evidente che nessun partito politico rappresentato in parlamento fa gli interessi del proletariato e del sottoproletariato e solo alcuni partiti all’opposizione cercano, almeno in parte, di fare gli interessi dei ceti medi. Dunque è quanto mai evidente che una rapida crisi di governo non verrà mai da manovre parlamentari.
Peraltro, semmai il governo cadrà in un futuro non vicino in questo modo, non avremmo una soluzione del problema, in quanto ci ritroveremo di nuovo un governo ordoliberista che farà in modo ancora più diretto e aperto gli interessi del grande capitale finanziario, favorendo nuovamente la pseudo opposizione della destra demagogica, pseudo populista e sedicente sociale.
Né ci si può aspettare che siano i sindacati a generare una rapida crisi del governo Meloni. Sia i sindacati confederali che i sindacati di base – che hanno quasi tutti recentemente scioperato – hanno dimostrato essenzialmente la loro impotenza nel mobilitare i lavoratori e più in generale gli sfruttati. Anzi gli ultimi scioperi tanto dei Confederali, quanto del sindacato di base, hanno finito per indebolire ulteriormente il loro principale strumento di lotta, cioè lo sciopero, facendolo apparire alla maggioranza dei lavoratori e degli sfruttati, generalmente privi di coscienza di classe, un’arma spuntata.
Anche in questo caso sarebbero essenziali i comunisti. Purtroppo pure questa soluzione non può che apparire, allo stato attuale, una mera utopia. I comunisti nel nostro paese non sono mai stati così deboli, impotenti, divisi, settari e scarsamente credibili agli occhi dei subalterni. In realtà per uscire da questo apparente vicolo cieco ci vorrebbe davvero molto poco. Basterebbe che i comunisti, invece di pensare esclusivamente a rafforzare la propria fallimentare “parrocchietta”, pensassero a rilanciare il movimento comunista, unendolo – superando il settarismo – per renderlo in grado di costituire la cabina di regia che miri alla costituzione di un ampio fronte antiliberista e anticapitalista che porti a una rapida crisi del governo della destra radicale e al rilancio di una reale alternativa di sinistra.
Anche qui sembra una utopia, anzi, per i più settari persino una distopia. In effetti i comunisti negli ultimi anni hanno speso così tante energie a dividersi e a farsi una guerra degna dei capponi di Renzo che sembrerebbe impossibile una rapida ricomposizione. In realtà, mettendo da parte una impossibile unità che cancelli le differenze, questa sì distopica, si potrebbe facilmente costruire da subito una unità d’azione su quella che dovrebbe essere l’agenda comune delle forze comuniste, cioè in primo luogo far cadere il più presto possibile e il più da sinistra possibile l’attuale governo. Per far ciò ci sarebbe bisogno, in primo luogo, di un’unità dialettica, che superi ricomprendendo le differenze al proprio interno, fra le forze comuniste, in grado di dare impulso alla costituzione del più ampio fronte antiliberista e anticapitalista possibile. D’altra parte le forze comuniste unite potrebbero fare sì che in tale fronte non prevalgano, come sempre successo negli ultimi anni, le forze antiliberiste, ma piuttosto le forze anticapitaliste.
Per realizzare ciò ci vorrebbe quello che, in termini hegeliani, si definirebbe un generale perdono dei peccati fra le forze comuniste e sedicenti tali. Nei fatti ognuno dovrebbe partire da un riconoscimento dei propri limiti – dovuti naturalmente ai propri errori – e, in tal modo, perdonare, cioè ricomprendere i limiti e gli errori degli altri. In caso contrario, se ognuno pretenderà dapprima l’autocritica o, peggio, l’abiura da parte dell’altro, l’unico possibile destino non potrà che essere quello dei già ricordati litigiosi capponi di Renzo.
La terza grande speranza per il 2023 non può che essere la necessità, ancora più urgente e immediata, che i comunisti tornino a essere realmente tali, cioè a essere l’avanguardia del movimento di lotta dei subalterni contro le classi dirigenti. Per essere veri comunisti, cioè avanguardie riconosciute dei movimenti dei lavoratori, dei proletari, degli sfruttati, dei subalterni, bisognerebbe ricostruire tali movimenti e fare in modo che al loro interno i comunisti, pur essendo necessariamente una minoranza, possano avere l’egemonia.
A questo scopo il primo e preliminare obiettivo da raggiungere è che i comunisti siano delle avanguardie credibili agli occhi degli operai, dei proletari, degli sfruttati e di tutti i subalterni. Anche in questo caso tale obiettivo resterà meramente utopistico se non si supereranno i soliti due estremi, da cui debbono costantemente guardarsi i comunisti per sperare di tornare a essere realmente tali: il riformismo e il revisionismo di destra, e l’opportunismo, il settarismo e l’avventurismo di sinistra. Affinché anche ciò non resti un mero dover essere bisognerebbe, in primo luogo, che i comunisti investano prioritariamente in un processo di autoformazione teorica e pratica, senza la quale si resterà sempre alla mercé, senza saperlo e volerlo, dell’ideologia dominante che è sempre quella funzionale al blocco sociale al potere. In secondo luogo i comunisti debbono porre al centro del loro riflettere e operare la soluzione dei reali problemi della classe operaia, del proletariato e di tutti i subalterni. Nell’immediato si tratta di resistere al predominio, sempre meno contrastato, dello sfruttamento in termini di orario e ritmi di lavoro e in termini di salario (sociale) di classe.
All’atto pratico ciò comporta una lotta immediata contro l’inflazione, che implica la capacità di unire gli sfruttati contro le due cause principali più immediate di essa: la guerra economica – cioè l’embargo nei confronti dei paesi oggettivamente antimperialisti, in primo luogo, per ordine di grandezza, Russia e Cina – e le guerre scioviniste, capitaliste e imperialiste che favoriscono, con la speculazione, la perdita del potere d’acquisto dei subalterni.
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