I ministri del governo di estrema destra evocano il ritorno della strategia della tensione, impongono disumana fermezza, creano connessioni assurde. Dobbiamo rispondere alimentando il dibattito pubblico sul carcere, costruendo spazi di convergenza ampi, per salvare la vita di Alfredo Cospito

Allo scoccare dei 100 giorni dall’inizio dello sciopero della fame di Alfredo Cospito, ecco che il Governo evoca gli anni di piombo. L’occasione sono i recenti eventi accaduti nel corso dell’ultimo fine settimana: l’imbrattamento della sede consolare a Barcellona, l’incendio doloso della macchina di un diplomatico italiano a Berlino, il proiettile inviato al direttore de “Il Tirreno”, le molotov lanciate verso il commissariato Prenestino a Roma e i tafferugli avvenuti a Trastevere, provocati dalla stessa Polizia come dimostrano numerose testimonianze e video del presidio in Piazza Trilussa, svoltosi nella sera di sabato. Un po’ poco, verrebbe da dire, a sostegno della tesi dell’“attacco allo Stato da parte di un’Internazionale Anarchica” evocata dal vice-premier e Ministro degli Esteri Tajani nella conferenza stampa di martedì a Palazzo Chigi, congiunta con i Ministri Piantedosi (Interno) e Nordio (Giustizia). Una tesi inevitabilmente sostenuta da una parte della stampa: “Il ritorno degli anarchici – offensiva di attacchi vandalici” (“La Repubblica”, 29 gennaio), “Violenza Anarchica – Criminali pro Cospito” (“Il Giornale”, 29 gennaio) sono solo alcuni dei titoli a nove colonne usciti negli scorsi giorni. Il tutto condito dalle immancabili veline delle questure, che agitano la ricomposizione della sfera anarchica con il più vasto “movimento antagonista” se non addirittura con ambienti mafiosi, tutti uniti dalla critica al regime di cui all’articolo 41-bis. Allarmismo ribadito dal Ministro dell’Interno, che, sempre nella citata conferenza stampa, illustra l’innalzamento del livello di guardia riguardo a probabili futuri disordini, a cominciare dalle manifestazioni in programma a Roma, ma non solo.

Un allarme terrorismo indispensabile per poter, finalmente, arrivare a una presa di posizione forte e unitaria sulla vicenda di Alfredo Cospito: “Di fronte alla violenza non si tratta”, “Lo Stato non può lasciarsi intimidire dalla violenza”, frasi scandite dal Ministro Nordio nella conferenza stampa di Palazzo Chigi, nel corso della quale ha ricordato che «come di fronte al sequestro Moro, bisogna seguire la linea della fermezza». Oltre a ribadire la narrazione pubblica del Governo nell’equiparare lo sciopero della fame di Cospito, e le relative manifestazioni di solidarietà, con la stagione del terrorismo (dalla quale puntualmente vengono rimosse le stragi fasciste e la catastrofica gestione da parte dello Stato di quella stagione, torture incluse), la frase relativa al sequestro Moro indica abbastanza nitidamente quale sia l’orientamento dell’esecutivo riguardo all’esito dello sciopero della fame di Cospito: lasciarlo morire.

Ecco quindi che la strategia del Governo di gestione dell’“affaire Cospito”, non molto originale in verità, si svela nella sua interezza. La costruzione del nemico pubblico, la cosiddetta fantomatica Internazionale Anarchica battezzata da Tajani, è funzionale alla preparazione del terreno repressivo per “gestire” il potenziale conflitto sociale che potrebbe innescarsi qualora Cospito non dovesse farcela. Una gestione autoritaria in totale sintonia con le pulsioni del primo governo fascista della Repubblica, già palesatesi con l’introduzione del nuovo reato di “rave” che prevede pene fino a sei anni per chi semplicemente organizza una festa.

L’ILLEGITTIMITÀ DEL 41-BIS A COSPITO E IL VERO RICATTO

La linea del Governo nell’affrontare la richiesta di revoca del 41-bis inoltrata dalla difesa di Cospito al Ministro della Giustizia Nordio confonde volutamente il piano giuridico e il piano politico: di fronte ai cosiddetti ricatti (di Cospito nel privarsi del cibo, e delle “violenze” messe in atto dall’“Internazionale Anarchica”), il Governo afferma di avere le mani legate, pena l’instaurarsi di una trattativa con “i violenti” – durante la conferenza stampa i ministri hanno ripetuto più volte che se cedono stavolta lo sciopero della fame sarà utilizzato anche dai mafiosi. Niente di più falso, una posizione assunta unicamente per scrollarsi di dosso la responsabilità di dover valutare nel merito la richiesta dell’avvocato Flavio Rossi Albertini e di dover, in caso, argomentare giuridicamente una mancata revoca che, invece, sarebbe più che dovuta.

L’applicazione a Alfredo Cospito del regime di cui all’articolo 41-bis dell’Ordinamento Penitenziario, strumento eccezionale introdotto per contrastare situazioni emergenziali quali, ad esempio, le stragi di mafia del ’92-’93, è infatti del tutto ingiustificata dal punto di vista giuridico data l’inconsistenza della tesi che equipara la Federazione Anarchica Informale (cui apparteneva Cospito) a un’organizzazione criminale gerarchica. Come riconosciuto dagli stessi giudici della Corte di Assise di Roma nelle motivazioni del processo sulla cosiddetta “operazione Bialystok”, depositate il 28 dicembre e cardine della richiesta di revoca del 41-bis presentata dalla difesa di Cospito (cui è seguito il proscioglimento degli imputati per associazione sovversiva).

È chiaro, quindi, che la volontà di perpetrare il regime di “carcere duro” a Cospito è tutta politica e rivela l’applicazione del cosiddetto diritto penale del nemico, come denunciato da una lettera aperta di avvocate e avvocati difensori di numerosi imputati/e anarchiche. Il vero ricatto è quindi rovesciato, un accanimento afflittivo e punitivo della condizione detentiva di Cospito come deterrente riguardo alle “violenze di piazza”.

LE QUESTIONI POLITICHE SUL PIATTO E LA NECESSITÀ DI UNA MOBILITAZIONE AMPIA

La gestione del Governo Meloni del caso Cospito è volta a de-umanizzare la lotta di Cospito e a soffocare il dibattito politico nel paese aperto dallo sciopero della fame del detenuto anarchico. Da una parte infatti rivela la disumanità dell’esecutivo nel considerare il gesto estremo di Cospito, le cui condizioni di salute sono ormai critiche tanto da aver reso necessario il suo trasferimento nel carcere di Opera. Dall’altra parte, nelle intenzioni del Governo, la costruzione del nemico pubblico è funzionale a chiudere lo spazio pubblico di discussione attorno al regime del 41-bis e all’ergastolo che in questi mesi si è sviluppato e ha ormai nettamente travalicato i confini della sfera anarchica cui appartiene Cospito.

Numerose prese di posizione di intellettualiricercatrici e ricercatoriartisti, ex-magistrati (Gherardo Colombo, “La Repubblica”, 31 gennaio), consigli comunalicomitati, così come nel passato il Comitato del Consiglio d’Europa per la prevenzione della Tortura, hanno ribadito l’incostituzionalità e la natura di tortura e lesiva della dignità del detenuto del regime del 41-bis, la deprivazione sensoriale che ne deriva e lo scopo afflittivo e punitivo di tale regime, in contrasto con l’art. 27 della Costituzione che sancisce che le «pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità». Un regime che quindi si prefigura come una vendetta da parte dello Stato, che rasenta la tumulazione in vita, come ribadito dallo stesso Cospito in una lettera al suo avvocato. Molti degli stessi interventi rivendicano anche la cancellazione della pena dell’ergastolo (ostativo e non), contrario al principio costituzionale di rieducazione della pena (sempre art. 27 Cost), e cui sono sottoposti oltre mille e ottocento detenuti (il 5% della popolazione carceraria, in aumento rispetto al 2,8 degli anni novanta).

In generale, Alfredo Cospito, con la sua lotta e la sua surreale vicenda giudiziaria (fra cui l’essere condannato per il reato di strage contro lo stato, reato non contestato neanche agli imputati delle stragi fasciste di Piazza Fontana e della Stazione di Bologna e delle stragi di mafia di Capaci e via D’Amelio), ha avuto il “pregio” di alimentare un dibattito che fino a poche settimane riguardava una fetta estremamente minoritaria della società, ma che ora raggiunge le prime pagine dei giornali, le edizioni dei principali telegiornali e impone a tutte e tutti di interrogarsi su questi temi specifici ma anche sul senso stesso della funzione del carcere. Parlare ora di abolizione del carcere è finalmente possibile, partendo dalle linee di classe e di razza che caratterizzano tale istituzione totale nonché dalle leggi sulle sostanze stupefacenti che rinchiudono nelle carceri proprio chi non ci dovrebbe stare, i tossicodipendenti.

La volontà del Governo di chiudere il prima possibile il dibattito su questi temi è eloquente anche dal rifiuto di Nordio della cosiddetta trattativa, intendendo con quest’ultima la possibilià e la capacità dell’attivazione sociale di influenzare la modifica delle leggi dello Stato e delle loro interpretazioni, attraverso la criminalizzazione e alla marginalizzazione della finora larga attivazione sociale a sostegno delle rivendicazioni portate avanti da Cospito contro il 41-bis e l’ergastolo ostativo. Una concezione del tutto anti-democratica della dialettica politica che mostra chiaramente il carattere autoritario e intrinsecamente fascista di questo esecutivo.

Di fronte alla restrizione degli spazi di agibilità democratica e alla repressione del dissenso da parte del Governo, è necessario continuare ad alimentare il dibattito pubblico sul tema del carcere e sul ricorso ingiustificato a strumenti repressivi eccezionali nati in contesti di emergenza. Costruendo spazi di convergenza ampi, attraversabili da tutte e tutti, rifuggendo miopi chiusure identitarie e rivendicando l’abolizione del 41-bis, dell’ergastolo e, infine, del carcere tout-court.

Per salvare la vita di Alfredo Cospito.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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