Matteo Bortolon 

L’articolo del giornalista investigativo Seymour Hersh, pubblicato da lui stesso e tradotto da Megachip, e rilanciato su questo sito, ha suscitato una selva di reazioni. In esso il premio Pulitzer parla di un progetto negli apparati statunitensi per rendere inservibile i gasdotti NordStream 1 e 2 che portavano il gas dalla Russia alla Germania; sarebbe stata organizzata un’operazione segreta per distruggerli con la complicità della Norvegia. Si spiegherebbe così il sabotaggio che ha avuto luogo a novembre 2022, che non ha ancora un colpevole ufficiale o riconosciuto, e che ha sollevato una ridda di ipotesi e sospetti.

L’inchiesta, come altre del grande giornalista, fa riferimento a fonti anonime, presumibilmente interni (CIA? Governo Usa?) di cui non si fa il nome. Per cui una verifica delle fonti (che pare essere solo una) è impossibile. Il pezzo è stato ovviamente molto contestato, non solo dai governi chiamati in causa, ma da tutto un mondo di giornalisti e commentatori che non lo ritengono credibile.

Criticare l’articolo è giustissimo, ma si può farlo in molti modi. Uno dei più catastrofici è senza dubbio il preteso fact-checking di David Puente su Open.

Premesso che secondo lo scrivente il cospirazionismo è un fenomeno irrefutabilmente negativo, il fact-checking è una modalità di passare al vaglio asserzioni che se fatto bene è molto utile. Ma quando si abusa di tale strumento per bollare come complottismo l’inchiesta di uno dei più rinomati giornalisti del pianeta caricando dei propri pregiudizi e della propria parzialità l’analisi non siamo più sul terrano del fact-checking, ma di una operazione che gronda di una scorrettezza e strumentalità repellenti.

Il giudizio finale è “Valutazione: “FALSO” – «Contenuto senza nessuna base nei fatti. Teorie del complotto che attribuiscono la causa di un evento all’opera segreta di individui o gruppi, che possono citare informazioni vere o non verificabili, ma presentano conclusioni inverosimili.»

Che ad Open, forte della loro partnership con Facebook, si assuma il tono di occhiute maestrine in grado di dare pagelle non è una novità. Ma vediamo nel merito: i rilievi sono sostanzialmente un errore di Hersh abbastanza marchiano ma irrilevante, il fatto che buona parte dell’inchiesta si basi su un’unica fonte anonima, e l’assenza di prove – anzi, svariate fonti riportano i fatti diversamente da quello che Hersh asserisce.

Il fatto che vi sia un’unica fonte anonima è un argomento ridicolo. Se fossero due o tre cambierebbe qualcosa? L’anonimato istituisce una coltre di impermeabilità alla verifica, non importa quante siano le fonti, eppure il giornalismo investigativo funziona anche così. Certamente non scriveremmo un libro di storia sulla base di inchieste su fonti non verificabili, ma non è certo un argomento corretto per bollare come complottismo. È senza dubbio un fattore di fragilità, che richiama la ricerca di altri punti di vista e analisi; marchiare con un’etichetta infamante invece appare come un mettersi l’anima in pace e smettere di interrogarsi.

Puente elenca alcuni analisti che ritengono i dettagli dell’inchiesta imprecisi o errati. Per esempio, che delle imbarcazioni citate, classificate come Alta Class, non avrebbero preso parte ad una determinata esercitazione. Ovviamente è un punto importante. Ma il fatto che tali navi esistano veramente e siano in dotazione alla marina norvegese è un punto a favore. Sottolineare solo gli errori è un modo malevolo di ragionare. Peraltro miope: essendo informazioni in un contesto di segretezza e congiura possono ipotizzarsi mille motivi per tali distorsioni; per esempio la fonte riporta dei dettagli incorrettamente per non farsi scoprire. Chi lo sa. Calcare la mano sui fattori meno attendibili in una prospettiva di “smascherare il complottismo” è una prospettiva limitativa. La storia non si scrive con le fonti anonime ma nemmeno attraverso le lenti molto miopi di un fact-checker (se si trattasse di Puente lo scrivente scaraventerebbe il libro assai lontano; ma si tratta di un dettaglio irrilevante): una inchiesta più aggiornata capace di oltrepassare analiticamente i limiti di un resoconto è meritoria ma il pensiero critico deve rimanere aperto alle varie ipotesi e non chiudersi in un dogmatismo.

Nel testo di Hersh si trova un errore abbastanza evidente: che l’ex premier norvegese e attuale segretario della NATO sarebbe stato un collaboratore della NATO durante la guerra del Vietnam, che al tempo era solo adolescente. Probabilmente lo ha confuso col padre: Thorvald Stoltenberg, padre di Jens, entrò nel 1965 al ministero degli Affari esteri allora sotto il conservatore John Lyng. Una leggerezza notevole. Ma irrilevante. È un vecchio trucchetto citare elementi inerenti la persona per delegittimarne le asserzioni o gli argomenti (peraltro è usato spesso proprio dal cospirazionismo). A meno che non si voglia suggerire che l’ottantacinquenne Hersh oramai è un rimbambito. Ma tale dettaglio nell’ambito dell’inchiesta non ha alcun ruolo, e sottolinearlo non pare avere grande funzione se non si rendere l’argomento più convincente tramite una vera e propria fallacia logica.

A questo si deve aggiungere un’altra considerazione: il fatto che gli argomenti e le prove di un assunto (il complotto americano-norvegese) siano carenti o manchevoli non significa che esso sia falso; significa solo che gli argomenti non lo dimostrano (non sequitur) Puente infatti prima di passare al setaccio i dettagli – o meglio: prima di citare gli autori che lo hanno fatto – cita “un’altra lunga introduzione geopolitica per sostenere un interesse americano (e della NATO) nel sabotare l’infrastruttura. Nella seconda parte dell’articolo […]”. ehi, un momento. Perché non parla di quella sezione scritta da Hersh ma la liquida in poche righe?

La risposta è: perché in essa si delinea la cornice politico-diplomatica che rende l’operazione clandestina USA credibile. Ovviamente si può essere in disaccordo con essa, ma argomentando nel merito il fact-checker dovrebbe dire chiaramente cosa ne pensa lui: su chi siano gli analisti che (secondo lui) hanno ragione e più affidabili, quali interessi e concetti guidano lo scontro politico, e simili. Puente perderebbe lo status di semplice controllore dei fatti per scendere nell’agone politico. Vigliaccamente non lo fa ma sparando il giudizio finale inserisce in modo surrettizio un pre-giudizio: che l’inchiesta presenti conclusioni inverosimili. Non sappiamo se dalle parti di Open ce l’abbiano un vocabolario, ma inverosimile non vuol dire errato. Vuol dire che non è credibile. Ma la credibilità non si deduce da dettagli tecnici, bensì da un’ampia argomentazione che chiama in causa scenari generali e analisi di contesto. Su questo piano il dibattito è bene che resti plurale, infilare in modo surrettizio le proprie opzioni travestendole da un imparziale “fact-checking” è scorretto in modo piuttosto irritante. Perché anziché argomentare su una visione generale prende la scorciatoia di un ragionamento che la presuppone tacitamente, chiudendo la discussione col trucco di costruire una illusoria base impersonale-oggettiva (“stiamo ai fatti”) che cela una riconoscibilissima opzione politica. Il bollino del complottismo chiude il quadro, squalificando la tesi avversata in maniera irredimibile.

La prova del nove è che nella foga di combattere le fake news e le falsità sulla rete si può notare una certa parzialità. Sempre a proposito dell’attentato al Nord stream si era detto a ridosso dei fatti che sarebbero stati i russi a sabotare la loro stessa proprietà. E sul Corriere, mica su un giornalino di provincia. Per questa baggianata di magnitudo abbastanza impressionante – propagandata da Rampini, che dopo un passaggio un po’ “rossobruno” è tornato a fare il Corifeo degli States senza troppi imbarazzi – niente fact-checking. A quanto pare le fake news non sono tutte uguali, quelle diffuse dai governi “giusti” e dai poteri dominanti a quanto pare possono scorrazzare liberamente senza che Open se ne preoccupi troppo. Anzi le rilancia proprio, specialmente se funzionali alla narrazione NATO della guerra, andando per le spicce: ad aprile 2022 quattro balle in tre giorni, compresa la storia dei malvagi russi che usavano forni crematori per bruciare corpi di donne e bambini. Certo molto credibile, altroché Hersh.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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