Punto di partenza (da Aldo Schiavone: “Sinistra”, Einaudi 2023)

” La fine del lavoro come valore unificante ha messo di conseguenza fine al socialismo, che era lo strumento e l’obiettivo della lotta di classe. L’idea si era irradiata fino alla Costituzione Italiana. L’articolo 1 “La Repubblica è fondata sul lavoro” portava a compimento l’identificazione del cittadino con il lavoratore, e stabiliva su questa base il principio di uguaglianza. La sinistra non ha mia riconosciuto le novità prodotte da due eventi che hanno cambiato la storia, la rivoluzione tecnologica e la fine del comunismo. Ha negato la realtà per paura di diventare inutile”.

Due punti di contestazione:

1) “Per l’economia politica, «le uniche fonti di ricchezza sono state fin dall’inizio la legge e il “lavoro”». Per Marx, invece, nella vera storia della proprietà «conquista, schiavitù, rapina e omicidio svolgono un ruolo importante; violenza, in una parola».A questo punto, e tenendo conto dell’ontologia del lavoro di Marx, non sorprende che critica così fortemente quelle posizioni che giustamente collocano il lavoro come fondamento della proprietà. Bene, la citazione sopra è particolarmente utile per contrassegnare la differenza tra la posizione marxiana e le posizioni liberali in generale e quelle di Locke in particolare.

“L‘emancipazione dell’umano, di tutto l’umano, non il socialismo che è stato solo un mezzo per raggiungere quell’obiettivo ma non il fine, anche se spesso le due cose sono state confuse”.

Questa affermazione va contestata in radice proprio perché la descrizione che Marx fa dello sfruttamento rimane intera nella sua validità: sfruttamento che permane sulla scena della storia e richiede – appunto – la liberazione degli sfruttati. E’ il tema della “contraddizione principale”.

2) Non può essere confusa con la fine del comunismo inteso come valore di perenne ricerca del superamento delle condizioni di sfruttamento e di diseguaglianza che permangono e opprimono l’umanità su diversi piani la caduta dei regimi usciti dall’inveramento statuale di fraintendimenti dell’etica marxiana verificatisi tra la seconda metà dell’800 e la prima metà del ‘900.

Stabiliti questi punti di principio allora si può tornare a ragionare su di una “Terza Via” non più mediana tra il “comunismo reale” e la “socialdemocrazia dei “30 gloriosi” come si propose tra gli anni ’70 e ’80 del XX secolo.

Per muoversi in questa direzione non è sufficiente un tentativo di modificazione “etica” di riforma del capitalismo, modificazione orientata nel senso dell’uguaglianza da realizzarsi usando la forza della democrazia liberale e della politica democratica.

E’ necessario che, proprio all’interno dello sviluppo della dialettica democratica (che deve avvenire a livello sovranazionale: si direbbe internazionalista e sulle cui forme concrete andrebbe aperto un ragionamento di fondo) sia presente una forza organizzata capace di rappresentare, prima di tutto, l’opposizione al pensiero “unico” unilaterale del dominio dello sfruttamento (opposizione che manca in questa fase).

Sfruttamento che deve essere analizzato nel complesso delle sue forme rese sempre più evidenti nella modernità: guerra come ingordigia nello sfruttamento delle risorse (con il “continuum” della geopolitica del terrore, esercitato del resto anche nella fase in cui ci si credeva “alla fine della storia”); sopraffazione di genere; razzismo imperante.

Andrebbe incentrata una riflessione sull’allargamento delle fratture culturali e sociali rispetto a quelle individuate nei canoni novecenteschi.

Si tratterebbe di cercare di definire definendo intrecciare la “modernità” al permanere della forza della “contraddizione principale” per delineare un progetto di trasformazione “sistemica” degli equilibri sociali e politici:

1) dal punto di vista culturale, rispetto alla critica delle forme della comunicazione di massa e del peso che ricopre nel determinare i comportamenti individuali e collettivi in una società che fu affluente e impostata sull’individualismo “competitivo” fondato sul consumo;

2) l’introduzione del concetto di “limite” al riguardo della prospettiva dell’innovazione tecnologica. Una innovazione tecnologica che punta a rendere “invisibile” l’acuirsi delle contraddizioni nelle condizioni materiali di vita e lo fa quasi nascondendo il modificarsi progressiva dell’idea del lavoro: equivoco nel quale tendono a cadere quanti cercando di far coincidere una presunta “fine dell’età del lavoro” con l’inutilità dell’idea socialista.

Di Franco Astengo

Lunga militanza politico-giornalistica ha collaborato con il Manifesto, l'Unità, il Secolo XIX,. Ha lavorato per molti anni al Comune di Savona occupandosi di statistiche elettorali e successivamente ha collaborato con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova tenendo lezioni nei corsi di "Partiti politici e gruppi di Pressione", "Sistema politico italiano", "Potere locale", "Politiche pubbliche dell'Unione Europea".

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