Dal 7 marzo in Francia lo sciopero contro la riforma delle pensioni si generalizza. Anche nelle scuole c’è fermento, la partecipazione studentesca alle proteste è in aumento. Le forze dell’ordine reprimono violentemente

CHE SUCCEDE A CASA DEL PRINCIPE?

Giovedì scorso, 16 febbraio, quinto sciopero contro la riforma delle pensioni promossa dal governo francese. 440mila secondo la polizia, un milione e 300mila secondo i sindacati. Il parlamento si è riunito l’indomani per discutere del progetto di riforma. A marzo sarà il turno del Senato. Per questo i sindacati chiamano a una mobilitazione generale e a oltranza (quella che chiamano grève reconductible) a partire da martedì 7 marzo, prima data utile per la ripresa del movimento dopo le ferie invernali.

I deputati socialisti ed ecologisti della Nupes hanno ritirato circa 3mila emendamenti già mercoledì scorso, al fine di accelerare i dibattiti in corso. La France insoumise, che ne fa parte, ha invece lasciato intatti i suoi emendamenti per impedire al Parlamento di dibattere sull’articolo 7, che sancisce il passaggio dell’età pensionabile dagli attuali 62 ai 64 anni.

La sera stessa, sul suo blog Jean-Luc Mélenchon segnala la frattura nell’opposizione di sinistra: «I deputati insoumis hanno tenuto duro anche se i loro alleati Nupes si sono allineati purtroppo sulle lezioni di buone maniere dispensate dalla macronia, senza dire neanche una parola quando gli insoumis sono stati comparati ignominiosamente agli assassini di Samuel Paty [professore di storia e geografia ucciso e decapitato in un attentato, per altro commesso da un militante di una corrente dell’integralismo musulmano vicina all’estrema destra, entrambe antisemite, ndr]».

Gli attacchi e le fronde interne non restano solo nel recinto della sinistra. Laurent Berger, segretario generale del sindacato bianco CFDT (Confederazione francese democratica del lavoro), ha definito «vergognoso» il «disprezzo verso i lavoratori» espresso nello «spettacolo desolante» del Parlamento francese. Il partito repubblicano si spacca ulteriormente. Per la quarta volta in soli sette anni, un altro vicepresidente del partito è stato epurato. Pur serrando i ranghi della maggioranza parlamentare, i repubblicani hanno creato così una rottura all’interno della destra francese, e in particolare con il partito di Marie Le Pen. Che ha portato in aula una mozione di censura, però rifiutata. Altri eventuali sconvolgimenti in seno alla destra sono all’orizzonte, anche all’interno dello stesso partito repubblicano.

Quanto a loro, neanche gli esponenti del governo si stanno facendo mancare nulla. Olivier Dussopt, ministro del Lavoro, ha scomodato il «rispetto della Costituzione» per chiedere di mettere un punto sui dibattiti, ma si arriva a stento a sentire il suo discorso, coperto dai parlamentari Nupes che cantavano «On est là, on est là, même si Macron ne veut pas, on est là», coro che ha contraddistinto la stagione dei Gilets jaunes. All’Assemblée nationale, il clima insomma è da «aula di ricreazione», come lo definisce la giornalista di Libération Sacha Nelken, in cui si sono susseguiti continui insulti e frecciatine adolescenziali come quella di Luc Geismar, deputato macroniano: «Nupes è l’anagramma di Pneus [pneumatico], è il vuoto totale» .

UN ATTO V DI PASSAGGIO. IL PROBLEMA DELLA GENERALIZZAZIONE DELLO SCIOPERO

Il lavoro parlamentare delle opposizioni è riuscito a ottenere comunque un importante rallentamento. La discussione è infatti ancora ferma all’articolo 2 della riforma, e l’articolo 7 si tiene ancora lontano dal radar dell’agone parlamentare. Ciò non impedirà però la discussione in Senato, tra il 2 e il 12 marzo, mentre già il 28 febbraio i senatori si riuniranno in commissione.

Le opposizioni dovranno quindi lavorare anche su questo fronte, potendo contare anche sulla mobilitazione generale e ad oltranza che partirà nel mezzo delle discussioni nella camera alta. Altra data decisiva, sulla quale i sindacati non vogliono far mancare il loro peso, sarà il 16 marzo, in cui la riforma potrebbe essere adottata in maniera definitiva. Questo calendario così stretto è dovuto all’ennesima scelta autoritaria del governo, che ha adottato una procedura d’esame accelerata. Questa volta il governo ha inteso appoggiarsi sull’articolo 47 comma 1 della Costituzione, che prevede una limitazione dei dibattiti parlamentari e una scadenza di massimo cinquanta giorni per l’adozione di una riforma.

Un atteggiamento di apertura verso i movimenti, che abbiamo già registrato precedentemente, scandisce i toni del comunicato della CGT in chiusura dello sciopero dello scorso giovedì. Nel testo, si legge che «più di 7 francesi su 10 e 9 lavoratrici e lavoratori su 10 si dichiarano ostili al progetto di riforma». Il silenzio della maggioranza e del governo non indebolisce gli animi, ma è piuttosto un invito «a rafforzare il movimento e a bloccare la Francia in tutti i settori il prossimo 7 marzo, anche attraverso scioperi quotidiani», come sarà il caso per i settori dell’energia, del petrolchimico, delle ferrovie e dei porti. E la CGT incalza: «Secondo un recente sondaggio, il 68% delle persone interrogate stimano che un prossimo blocco della Francia sarà responsabilità del governo».

Si tratta di un importante avanzamento da parte della CGT, e in generale dell’unità sindacale, sull’importanza strategica e politica della convergenza delle lotte. Leggasi: il problema della generalizzazione dello sciopero è posto. Nelle ultime due settimane, le centrali dei sindacati hanno subito la forte pressione delle loro basi in questa direzione, promuovendo tra l’altro numerosi tentativi di convergenza in affollate assemblee in diverse università già prima del penultimo sciopero.

Il mondo dell’educazione secondaria e superiore si è infatti mobilitato sin da subito. Presente dal primo dei cinque scioperi, un mese fa, lo spezzone studentesco nei cortei si va sempre più ingrossando. A fronte del lieve calo di partecipazione della scorsa settimana, dovuta alle ferie d’inverno in molti settori produttivi, l’unica partecipazione in aumento è proprio quella studentesca e della forza lavoro impiegata nei settori dell’educazione, a tutti i livelli. A questo proposito, è molto importante la mozione della sezione 17 (Filosofia) del Consiglio nazionale delle università, riunitasi il 15 marzo, che esprime «la nostra forte determinazione nel rifiuto del progetto di riforma delle pensioni».

La sezione 17 del CNU spiega fra l’altro le ragioni delle mobilitazioni nei licei e nelle università: «tenuto conto della durata degli studi per iniziare una carriera universitaria, della precarietà di certi inizi di carriera e della carriera spesso tortuosa per le donne, questa riforma è particolarmente nociva e la rifiutiamo». A Parigi, diverse sono state le occupazioni nelle scorse settimane: se l’occupazione dell’EHESS del 24 gennaio è finita sul cominciare, con 29 arresti a cui sono seguite diverse violenze da parte della polizia nel commissariato , la settimana scorsa l’occupazione di Tolbiac, succursale della Sorbona, ha tenuto per un giorno intero.

Nelle facoltà, si discute sulle modalità di generalizzare lo sciopero anche da parte della forza lavoro studentesca e universitaria. Per esempio, questo lunedì, l’assemblea studenti-professori della facoltà di filosofia di Parigi 8 ha organizzato una giornata di iniziativa studentesca, trampolino per la mobilitazione in seno all’università nella banlieue

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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