di Marinella Correggia
L’impegno politico e diplomatico contro le guerre è stato un asse portante della politica estera di Hugo Chávez, insieme allo sviluppo della cooperazione Sud-Sud e di un modello solidale di integrazione esemplificato oltre che dall’Alleanza Alba (Alleanza bolivariana), dalla Celac (Comunità degli Stati dell’America latina e dei Caraibi) e dai summit dell’Asa (Africa Sud America).
Degna di nota in particolare l’attività del presidente venezuelano e dei paesi dell’Alba nel 2011, nel contesto della crisi libica presto sfociata in sette mesi di bombardamenti Nato, spacciati come «protezione della popolazione» sulla base di accuse poi rivelatesi infondate. All’epoca, molti paesi e movimenti vengono depistati dalla propaganda e dalla coincidenza con le primavere arabe che sono in corso in Egitto e Tunisia.
Con la guida del presidente bolivariano sostenuto da Fidel Castro con le sue analisi Reflexiones de Fidel (su Cubadebate), i paesi dell’Alba si fanno protagonisti di uno sforzo negoziale tempestivo, ben architettato, mai interrotto nelle diverse fasi del conflitto. Intanto presso le Nazioni unite. Nel 2011, Cuba è uno dei 40 membri di turno del Consiglio dei diritti umani dell’Onu – che ha sede a Ginevra; infatti quell’anno, il Venezuela non è membro, e nemmeno Bolivia e Nicaragua. Così, il 25 febbraio Cuba è sola a dissociarsi dalla richiesta senza precedenti avanzata dai membri forti del Consiglio stesso: sospendere la Jamahiriya libica, anch’essa membro di turno quell’anno. Atto successivo: il 1 marzo l’Assemblea dell’Onu adotta con il metodo del consenso la risoluzione A/65/L.60 e sospende la Libia dal Consiglio. Il Venezuela chiede che sia messa agli atti la sua dissociazione dalla decisione, un atto che «dovrebbe essere basato su indagini obiettive che confermino la veridicità dei fatti, perché nessun paese può essere condannato a priori».
L’ambasciatore venezuelano all’Onu, Jorge Valero, propone la «costituzione di una Commissione internazionale di buona volontà per la ricerca della pace in Libia, mediante la promozione del dialogo fra le parti, secondo la proposta avanzata dal presidente» Chávez la notte precedente. La Commissione potrebbe annoverare rappresentanti di Unione africana, Lega araba, Conferenza islamica, Movimento dei non allineati, Unasur e Alba. Il Venezuela ribadisce il rifiuto di qualunque intervento esterno.
Il 3 marzo, da Cuba, Fidel Castro scrive: «Il presidente bolivariano sta facendo uno sforzo encomiabile per trovare una soluzione che eviti l’intervento della Nato in Libia. Le sue possibilità di successo saranno maggiori se egli otterrà l’appoggio di un ampio movimento di opinione a favore dell’idea (…)».
Tripoli accetta l’idea del cessate il fuoco e la proposta di una commissione internazionale per la verifica dei fatti e la mediazione fra le parti; anzi, chiede una missione della stessa Onu. Invano. Il 4 marzo, il Consiglio politico dell’Alba-Tcp si riunisce a Caracas per appoggiare ufficialmente l’iniziativa di mediazione: «L’Alba si appella all’opinione pubblica internazionale e ai movimenti sociali del mondo perché si mobilitino in risposta ai piani bellici previsti in Libia». Dopo qualche giorno, 80 partiti di sinistra latinoamericani, riunitisi nel Foro di San Paolo, aderiscono in pieno alla proposta.
Il 13 marzo, un Chávez rinfrancato, più speranzoso, appoggia senza riserve l’annunciata proposta dell’Unione africana (ben 54 Stati membri): una delegazione di presidenti del continente, che si rechino in Libia. Ma i semi di pace cadono nella sabbia. La stessa Unione africana, probabilmente ricattata, non mostra risolutezza (lo ammetterà anni dopo l’ex presidente dell’Ua, il gabonese Jean Ping).
In pochi giorni, la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza, sulla quale Russia e Cina non pongono il veto, diventa il pretesto che Francia, Regno unito e Stati uniti colgono per iniziare, il 19 marzo 2011, una illegale operazione di bombardamenti definita «Alba dell’Odissea», che presto passa alla Nato, con l’operazione «Protettore unificato», insieme ad alcune monarchie del Golfo. Quello stesso giorno, Chávez chiede «un cessate il fuoco e un cammino di pace. Basta con i diktat dei potenti della Terra». Evoca lo «sgretolamento del diritto internazionale» e ripete che c’era una soluzione ma è stata boicottata: «E’ deplorevole che l’Onu si presti ad avallare una guerra (…)». Malgrado le bombe, a Tripoli le rappresentanze diplomatiche di Venezuela e Cuba rimangono aperte, con i rispettivi ambasciatori.
Nei mesi successivi, Hugo Chávez continua a sottolineare l’ipocrisia e il doppio standard che dominano nella politica internazionale, a insistere quasi in solitudine con la possibilità di mediazione per far finire la follia dei bombardamenti e a ribadire l’illegalità della guerra, che viola il diritto internazionale. Il 24 agosto, davanti alla taglia messa sulla testa di Gheddafi, il presidente venezuelano nel frattempo ammalatosi di cancro e sotto chemioterapia, parla su Telesur di «ritorno al “wanted” del Far West», con i paesi Nato che «compiono massacri in nome della pace (…) per invadere e conquistare». Il 5 settembre, dopo la caduta di Tripoli, lancia un ennesimo appello alle stesse forze belligeranti: «Vogliamo, aneliamo a che si metta fine a questa follia; l’Europa rifletta, gli stessi Stati uniti riflettano (…)»; per risolvere la crisi in Libia con un accordo di pace «occorre vera politica, tornare alla grande politica».
Il 10 settembre, di fronte ai crimini razzisti perpetrati dai «ribelli» vittoriosi del Cnt (Consiglio nazionale di transizione), il presidente venezuelano amplifica la proposta, da parte del Consiglio politico dell’ Alba, di «convocare una commissione di esperti per la produzione di dossier, da distribuire in tutto il mondo, in varie lingue, per rivelare le vere intenzioni delle invasioni imperiali, come quelle in Libia, e il tentativo di nasconderle attraverso le strategie dei media». E porta il rifiuto dell’impunità, morale e legale, fino all’Assemblea generale delle Nazioni unite: il 27 settembre 2011, nel pieno dell’assedio di Sirte d parte della Nato e del Cnt, con il mondo ormai dimentico, chiede una «commissione internazionale di indagine sui crimini di una guerra», quella in Libia, con la quale «inizia un nuovo modello imperiale di ricolonizzazione».
Ripete invano il suo appello ai paesi non belligeranti: non possono «stare inerti davanti a tanta barbarie», devono essere «più coordinati» contro una Alleanza atlantica che egli definisce «organizzazione del tempo dei dinosauri».
Ecco come, senza il sabotaggio internazionale e l’ignavia o le titubanze di molti, l’Alba avrebbe potuto accreditarsi come pool negoziale esperto in prevenzione dei conflitti. E Hugo Chávez avrebbe potuto dichiarare, magari ricevendo un meritatissimo – impossibilissimo – premio Nobel per la pace: «Il modello applicato nel contesto libico potrebbe valere per qualunque altro paese. Così la comunità internazionale dovrebbe lavorare sempre». E invece, le frasi di cui sopra furono pronunciate da Barack Obama: per esaltare la vittoria bellica.
Con la loro richiesta di isolare i guerrafondai mettendoli di fronte all’illegalità delle loro bombe, il Venezuela e gli altri dell’Alba si erano rivolti assiduamente a Stati non belligeranti. All’Unione africana, ai non allineati, ai membri non occidentali del Consiglio di sicurezza dell’Onu; e ai popoli. Ma per diverse ragioni, la risposta non fu alla loro altezza.
Marinella Correggia (tratto dal libro Presidente de la paz, edizioni Sankara)