epa08919058 A handout photo made available by the Mexican Presidency shows President of Mexico, Andres Manuel Lopez Obrador, speaking during his press conference at the National Palace in Mexico City, Mexico, 04 January 2021. The Mexican president offered political asylum to the founder of Wikileaks, Julian Assange, on Monday after the ruling of the British court that rejected his extradition to the United States. EPA/MEXICO PRESIDENCY / HANDOUT HANDOUT EDITORIAL USE ONLY/NO SALES

Gabriele Germani

Il Messico di Obrador sembra orientato verso una sorta di modello simil-cinese/vietnamita in ambito economico ma con capitali USA- un modello di mercato con forte presenza dello Stato, è rappresentativo del nuovo ciclo di accumulazione capitalista globale.

Il caso del Messico di Obrador

Perché un‘analisi storica dei cicli, usando anche il marxismo, ha ancora senso?
Facciamo un passo indietro.

Nell’aprile del 2022, il governo messicano dichiara il litio “minerale di pubblico interesse”, era il primo passo.

Nel febbraio 2023, il processo di nazionalizzazione viene formalizzato da AMLO (sigla del presidente). Non si parla di totale espulsione dei capitali, anzi, si parla di collaborazione in seno alla proprietà statale. Benvenuti i capitali/investitori stranieri ma sotto controllo pubblico.

Questa mossa arriva dopo spostamenti ingenti di capitali e industrie di settori strategici: auto elettriche, batterie, chip dall’Estremo Oriente.

Nell’ultimo settore, il Messico sta scalzando Taiwan, nonostante l’informale alleanza tra l’isola e gli USA (i mandanti di queste migrazioni di capitali).

Dietro questi spostamenti (comunque sulla costa del Pacifico e comunque in paesi emergenti, per via delle risorse e del costo della manodopera) vi è il più grande gioco del decoupling e del rischio di una guerra in Asia/Estremo Oriente.

Gli USA spostano i capitali altrove e il Messico diventa la nuova fabbrica del mondo, competendo con Cina (ormai orientata verso un modello a capitalismo avanzato) e Vietnam.

Si ripete il film degli anni ’70: le risorse e il costo della manodopera orientano altrove i
capitali, creando un flusso dal centro economico alla periferia.

Fin qui, stupisce poco sono le dinamiche del sistema-mondo in un contesto a capitalismo globalizzato che già conosciamo

A stupire è il presidente messicano Obrador: nazionalista, populista, socialisteggiante (bolivariano?).
A prevalere non è un paese ultra-liberista come il Cile, ma un paese che si sta orientando verso un ampio controllo sul mercato, sulle risorse e con una burocrazia tra Stato-Partito già pervasiva (ora si tratta di renderla efficiente).

Il Messico, senza dirlo, sembra quindi orientato verso una sorta di modello simil-cinese/vietnamita in ambito economico e questo -considerato che se lo fanno, lo fanno con soldi USA- può voler effettivamente dire solo una cosa: che il modello socialismo di mercato o comunque un modello di mercato con forte presenza dello Stato, è rappresentativo del nuovo ciclo di accumulazione capitalista globale e questo, pur non essendo la Rivoluzione d’Ottobre, potrebbe in qualche modo essere una fase di transizione verso…altro.

Rimane la questione del duello USA-Cina, Vietnam-Messico, le dinamiche intra-latinoamericane, la salita di potere del Messico e le dinamiche intra-messicane, ma queste sono storie interne, sullo sfondo dei grandi cicli (1. Oceano Pacifico, 2. Egemonia USA, 3. Neoliberismo – Socialismo di mercato?)

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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