In questi giorni, in Grecia, sono andate in scena grandi proteste contro le politiche del governo nella gestione degli arrivi dei richiedenti asilo, con importanti scontri tra manifestanti e polizia, da cui sono sfociati una ventina di arresti. Decine di migliaia i dimostranti, tra Atene e Salonicco. Il tutto è avvenuto pochi giorni dopo il naufragio dei migranti al largo della costa di Pylos, destinato a essere ricordato come una delle peggiori tragedie mai avvenute nel Mediterraneo: se i decessi accertati sono per ora 78 e circa 100 persone sono state tratte in salvo, centinaia di migranti non sono stati (e, probabilmente, non saranno mai) ritrovati. Il bilancio rischia di registrare fino a 600 morti.

Il corteo dei manifestanti, guidato da sindacati e organizzazioni di sinistra antirazziste, ha sfilato di fronte al Parlamento, fermandosi poi davanti agli uffici dell’Ue, dove è stata anche bruciata una bandiera europea. Durante le proteste sono stati poi srotolati striscioni ed esplose bombe carta. In onore dei morti, i manifestanti hanno innalzato decine di lanterne. Ventuno persone sono state arrestate. Secondo la polizia , alcuni manifestanti si sarebbero infatti staccati dalla marcia e avrebbero attaccato gli agenti con molotov, pietre e bottiglie di vetro. Secondo quanto riportato da Il manifesto, dovranno ora rispondere di possesso di materiale incendiario, disturbo della quiete pubblica, scontri fisici e violazione della legislazione su armi e razzi.

Le autorità greche sono state accusate dai dimostranti di non aver agito per salvare centinaia di persone affondate al largo di Pylos nella notte tra il 13 e il 14 giugno, tra cui, secondo i racconti resi dai superstiti ai medici e ai volontari che si stanno prendendo cura di loro, ci sarebbero stati “almeno 100 bambini chiusi nella stiva”. Gli slogan hanno denunciato le politiche “criminali” della Grecia e dell’Unione Europea, all’insegna delle “frontiere chiuse” che, negli ultimi anni, avrebbero portato alla morte di decine di migliaia di persone che tentavano di raggiungere via mare i Paesi Ue.

Parlando dell’accaduto, la Guardia Costiera greca ha dichiarato che i migranti avrebbero rifiutato il soccorso perché decisi a proseguire verso le coste italiane. Difficile ipotizzare che ciò sia avvenuto, dal momento che i passeggeri della barca, sovraccarica e senza ormai cibo né acqua, avevano già lanciato l’SOS. L’ONG Alarm Phone ha pubblicato invece una precisa timeline di tutti i contatti avuti con sopravvissuti e autorità. Dai documenti si evince che la Guardia Costiera greca, quella italiana e quella maltese sono state informate della presenza della barca in difficoltà già dalla mattina del 13 giugno.

Il procuratore della Corte Suprema greca Isidoros Dogiakos ha nominato un sostituto procuratore della Corte Penale Suprema per dirigere un’indagine sull’accaduto. Per la tragedia sono intanto state arrestate 9 persone, presunti scafisti, tutti egiziani. Il peschereccio sarebbe partito vuoto dall’Egitto e giunto in Libia, precisamente a Tobruk, dove i migranti sarebbero stati caricati. Le autorità stimano che il peschereccio possa aver trasportato fino a 750 passeggeri, ognuno dei quali avrebbe pagato migliaia di dollari per il passaggio sulla nave. «Si pensa che si tratti di funzionari minori, non dei beneficiari finali dei 3 milioni di dollari che questo viaggio potrebbe aver fruttato», ha detto il presidente greco Psaropoulos riferendosi ai soggetti agli arresti.

Proprio in questo aspetto risiede il fulcro del problema. Secondo la legge greca, infatti, chi prende il timone diventa automaticamente trafficante. Ecco dunque emergere una lunga serie di processi basati su un’unica testimonianza della guardia costiera, in cui migranti che affermano di essere stati costretti a prendere il controllo dell’imbarcazione con il rischio di cadere in acqua vengono accusati di aver agito come trafficanti di esseri umani e condannati a centinaia di anni di carcere.

In seguito alla tragedia di Cutro, il governo italiano ha voluto imitare il modello greco inasprendo le pene nei confronti dei trafficanti di esseri umani. E contribuendo, paradossalmente, all’effetto collaterale di rendere ancora più insicura la traversata. Da anni, infatti, i trafficanti evitano di salire sulle barche che traversano il mare Egeo per arrivare in Grecia, così come in quelle che dalla Libia e dalla Tunisia arrivano in Italia, affidando il timone a persone che, dal “grande viaggio”, non guadagnano nulla. E che, da vittime, vengono trasformate in carnefici, mentre i trafficanti rimangono ignoti.

[di Stefano Baudino]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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