Ex ministri Delrio, Di Pietro e viadotto Morandi crollato

Antonio Di Pietro lunedì 10 luglio è stato sentito come testimone al processo sul crollo del ponte Morandi. L’ex magistrato è stato sentito in qualità di ex ministro alle infrastrutture, carica ricoperta durante il governo Prodi tra il 2006 e il 2008 e dei lavori pubblici nel 1996). Di Pietro ha ricostruito gli anni in cui era stato a capo del ministero e si occupò della concessione tra Anas e Autostrade per l’Italia e la fusione con Albertis, del sistema infrastrutturale di Genova, della Gronda e degli interventi per ridurre il traffico pesante sul Morandi e dei controlli pubblici alla concessionaria. Per risolvere le problematiche – ha risposto Di Pietro al pm Walter Cotugno – “pensammo a una convenzione unica per uniformare le concessioni che c’erano in quel momento, tutti con criteri diversi, e chiarire alcuni punti. A cominciare da una problematica, quella della vigilanza. All’epoca il concedente, Anas, doveva vigilare su quanto faceva il concessionario, Autostrade per l’Italia. Ma Anas in quel momento era diventata a sua volta concessionaria. Secondo me, ma credo che anche Aspi fosse d’accordo, serviva un controllo terzo. Del ministero. Ma un conto è dirlo, un altro avere i mezzi”. Antonio Di Pietro “Del ponte Morandi ho iniziato a sentirne parlare all’inizio del 2008 dopo una serie di incontri con le varie autorità sul problema del traffico congestionato in Liguria. Tutto confluiva e andava a ingolfare quella zona e io dissi pubblicamente che quel ponte non era eterno, nessuno mi parlò di un rischio crollo, fu una segnalazione di buon senso: se c’è un ponte di 40 anni e ci si passa notte e giorno forse è il caso di intervenire”. Nel 2006 l’approvazione del decreto legge  con cui il Governo stabilì la convenzione unica con gli stessi parametri di riferimento: “Aspi man mano che è cresciuta, dopo aver acquisito la concessione è diventata un soggetto fondamentale per il Paese, in un’ottica di questo genere c’era la necessità di avere una convenzione unica che stabilisse determinati parametri. Per questo motivo dopo aver relazionato in parlamento e incontrato le parti, tra cui Anas e Aspi, il governo Prodi aveva stabilito che al primo adeguamento tariffario bisognava adottare la convenzione unica”. Cruciale, poi, l’anomalia tra controllore e controllante. “Nella convenzione unica – ha continuato l’ex ministro – era previsto che Anas si sarebbe occupata della vigilanza in attesa dell’attivazione di un organismo all’interno di Anas con particolare indipendenza. Per me però tutto doveva passare dalla direzione generale del Ministero, come poi accaduto nel 2012, ma già previsto nel 2008. I dubbi erano che il controllo reale non potesse farlo il concessionario né il concedente, ma un organo esterno. Noi cercammo di realizzare la realtà direttamente all’interno del Ministero, che però venne fornito dei mezzi”.               
Di Pietro ha risposto alle problematiche sul nodo viario di Genova, con riferimento alla Gronda: “Facemmo diverse riunioni, ricordo quelle del 5 febbraio 2007 e del 3 marzo 2008. Al termine di quest’ultima vennero firmati due protocolli di intesa tra ministero, Regione, Comune di Genova, Anas, Aspi e autorità portuale, per una nuova viabilità tra i caselli di Voltri, Chiavari e Lavagna. Il 18 marzo un altro accordo venne firmato da me, dal presidente di Anas, dal presidente della Regione e dai presidenti delle province di Genova, Savona, Imperia e Spezia per individuare gli investimenti più urgenti stanziando circa 940 milioni di euro. Io, quando mi resi conto che si stava perdendo tempo dissi espressamente in un’intervista che il ponte Morandi non era eterno per cui bisognava diversificare il traffico. Tutti, a cominciare dal presidente della Regione ponevano il problema sul fatto che il ponte fosse sovraccarico e che bisognasse realizzare lo smembramento della viabilità dividendo il flusso del raffico leggero da quello pesante”.


Giampiero Giacardi.

Al pocesso Morandi, dopo udienza il super teste Giacardi rischia avviso di garanziaIl pm ha chiesto invio di atti alla procura: potrebbe essere indagato per falsa testimonianza. Clamoroso al processo di Ponte Morandi: il super teste dell’accusa che ha ha parlato più a lungo, Giampiero Giacardi, torinese ex direttore delle risorse umane di Autostrade per l’Italia, che con oggi ha deposto per quattro udienze, rischia di essere indagato per falsa testimonianza. E’ stato il pubblico ministero Walter Cotugno che dopo la fine della testimonianza ha chiesto in aula che venissero trasferiti gli atti alla procura al fine di valutare l’iscrizione di Giacardi sul registro degli indagati. L’ipotesi potrebbe essere quella di falsa testimonianza. Giacardi si sarebbe contraddetto smentendo affermazioni che avrebbe riferito in sede di sit, le sommarie informazioni rilasciate agli inquirenti nelle indagini preliminari, e poi in aula, come gli era stato contestato, era apparso molto “accudente” nei confronti dei dipendenti di Aspi. Prima di lui già almeno un altro teste sfilato in aula, Andrea Pancani, responsabile della sorveglianza Utsa di Spea, parlando dei falsi report, era stato segnalato dai pm. Non solo, per la procura, Giacardi sarebbe anche stato imbeccato da alcuni legali e imputati su quanto dire. Il teste in aula ha ricostruito gli aspetti organizzativi di Autostrade, dall’organigramma societario, ai processi decisionali, dalla pianificazione del budget agli incentivi e i premi ai dirigenti. Molte domande si sono concentrate sui premi legati agli obiettivi raggiunti. Secondo l’accusa gli ex vertici e i dirigenti di Aspi e Spea avrebbero risparmiato sui lavori di manutenzione e sugli investimenti in sicurezza per ottimizzare il profitto anche attraverso gli incentivi ricevuti in cambio di risparmi sul budget. Una ricostruzione contestata da Giacardi: “La riduzione dei costi non è mai stata indicata come obiettivo” e “che nel sistema retributivo bisognava prendere in considerazione più voci frutto di una programmazione pluriennale”. Giacardi aveva anche detto che “la rete autostradale non può essere considerata un luogo di lavoro. Perché è percorsa anche dagli utenti che transitano con i propri mezzi”. La procura è invece convinta che sia un luogo di lavoro perché vi passano quotidianamente dipendenti addetti alle manutenzioni e che lungo la rete svolgono il proprio lavoro. E’ stata risentita anche un’altra teste, Maria Pia Repetto, ingegnere e insegnante del dipartimento di ingegneria civile, chimica e ambientale dell’ateneo genovese a cui Aspi e Spea chiesero di vedere il progetto di retrofitting (i rinforzi alle pile 9 e 10). “A una riunione Emanuele De Angelis (uno degli imputati, ndr) ci parlò del vuoto degli stralli legati a difetti in fase costruttiva. Ma forse era riferito in termini generali. Noi non leggemmo a fondo i documenti e gli allegati all’elaborato. A una lettura sommaria vidi che negli allegati c’erano riferimenti a prove conoscitive riferite a stati di degrado e corrosione”.

Antonio Di Pietro al processo per il crollo del viadotto Morandi.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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