Dinanzi alla svendita di tutti gli ideali da parte chi, nell’immaginario comune, li dovrebbe rappresentare, l’unica efficace alternativa al non voto, rischia di apparire il voto di scambio, in nome di interessi corporativi. Su questo piano nessuno appare tanto credibile e competitivo quanto la destra radicale.
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Da sempre ci si pone anche a sinistra il problema della logica del meno peggio o del male minore. Come ogni cosa, pretendere di scioglierla in modo adialettico in un senso o nell’altro non può che produrre guai. Si finisce, in effetti, per assumere una posizione estremista e unilaterale in entrambi i casi. Pensiamo ai socialdemocratici tedeschi che non accettarono mai l’invito dei comunisti a mobilitare le masse contro il terrore nazista, votando – con la motivazione di sbarrare la strada al nazionalsocialismo – candidati sempre più di destra che, infine, consegnarono il potere a Hitler senza bisogno di arrischiare un colpo di Stato. Pensiamo, altrimenti, a tutta l’opposizione al fascismo esclusi i comunisti che, anche dopo l’efferato omicidio Matteotti e con il governo Mussolini più debole che mai, non accettarono l’invito dei comunisti a convocare lo sciopero generale, ma si affidarono completamente, in nome del meno peggio, alla corona che finì, come non era difficile prevedere, per aprire la strada alla creazione del prototipo fascista di Stato totalitario. Arrivando al presente si può pensare al tragico errore dei notabili del Partito democratico USA che, in nome del meno peggio, rovesciarono il voto popolare che aveva incoronato Sanders, per schierare contro Trump Hillary Clinton, non a caso popolare fra i più ricchi, consentendo così allo sfidante reazionario di divenire presidente, sciagura che sarebbe stata – secondo i sondaggi – evitata candidando il deputato socialista sopra ricordato.
Fra i casi opposti possiamo citare l’opportunismo di sinistra del socialfascismo che, nonostante il progressivo affermarsi dei fascismi e del nazismo non costruirono un fronte con le altre forze antifasciste considerando socialdemocratici e persino socialisti identici se non peggiori di fascisti e nazisti. Pensiamo, per quanto riguarda il caso italiano, alla non partecipazione di Bordiga e dei suoi accoliti all’antifascismo militante e alla resistenza, sulla base della logica del tanto peggio tanto meglio, per cui un governo più sarebbe stato reazionario e più avrebbe favorito la rivoluzione socialista. Venendo ai giorni nostri pensiamo ai comunisti francesi che, pur non avendo nessuna possibilità di eleggere il proprio candidato, lo hanno contrapposto al candidato della sinistra radicale, impedendogli così per pochi voti di battere il candidato della destra radicale e sfidare Macron al ballottaggio. Pensiamo, infine, agli esponenti dell’estrema sinistra venezuelana che hanno votato contro il referendum indetto da Chavez per uno sviluppo in senso socialista del paese, consentendo ai no di vincere di stretta misura.
Bisogna, dunque, come di consueto, evitare gli opposti estremismi per individuare il giusto mezzo. Per cui, per esempio, non si può né approvare chi nella sinistra radicale non è andato a votare, favorendo così l’attuale schiacciante maggioranza della destra radicale, ma anche chi, in nome del meno peggio, ha votato il partito di Letta, che è stato il principale facilitatore esterno del successo degli eredi del fascismo.
Il meno peggio è sicuramente preferibile al tanto peggio tanto meglio, come fare il bene è sempre meglio dell’anima bella che, non potendo realizzare l’ottimo, non agisce e, dunque, non fa nulla di buono. Dall’altra parte tutte le volte che è possibile scegliere qualcosa di buono non bisogna rinunciarvi in nome del meno peggio. Anche in questo caso, in effetti, volendo fare sempre il meno peggio, non si farà mai nulla di buono.
Così è evidente che, nel caso di un ballottaggio fra un rappresentante della destra radicale e un democratico si sceglierà quest’ultimo. In quanto, in primo luogo, scegliere è sempre preferibile a limitarsi a subire le scelte degli altri. In secondo luogo, in fasi non rivoluzionarie è indispensabile accumulare le forze scegliendo ogni volta che è possibile il terreno dove è più agevole affrontare un avversario molto più forte, in quanto detiene il potere. Infine, come ricordava Lenin, è sempre meglio, dovendo scegliere, favorire la vittoria del candidato meno di destra, in quanto solo con la sua elezione, in effetti, si potranno convincere le masse che l’unica reale soluzione è la rivoluzione e non ci si può accontentare del meno peggio riformista e revisionista.
Dall’altra parte perché non ci si può accontentare di quest’ultimo, in nome della riduzione del danno? Perché, per esempio, se non come estrema ratio, non si deve supportare il PD? In termini generali perché non ha senso, con la scusa di non favorire i reazionari, sostenere i liberali? In primo luogo perché questi ultimi hanno sempre, anche inconsapevolmente, fatto il gioco delle forze reazionarie, in primo luogo per contrastare una reale alternativa di sinistra. In secondo luogo, perché i liberali possono rendere accettabili le loro politiche antipopolari e, di fatto, filo-oligarchiche, esclusivamente se l’unica alternativa restano i reazionari.
Prendiamo, nel caso italiano, il PD. Diverse persone ritengono sia necessario sostenere tale forza, anche se non se ne approvano politiche e ideologie, in quanto costituirebbe la più credibile e realistica alternativa alla destra radicale. In realtà, a tutti i livelli sono proprio le politiche antipopolari e oligarchiche del PD a favorire, di fatto, la vittoria degli eredi del fascismo. Non a caso il PD non ha modificato in senso proporzionale l’attuale legge elettorale, favorendo di conseguenza l’affermazione della destra radicale. Ha poi rotto l’alleanza che sola poteva fermare la resistibile ascesa degli eredi del fascismo in quanto il Movimento 5 Stelle si sarebbe macchiato del peggiore dei delitti: lesa maestà nei confronti del presidente del Consiglio rappresentante dell’oligarchia. Infine, si è presentato in campagna elettorale, per consentire il nettissimo successo degli eredi del fascismo, con la stessa parola d’ordine antipopolare del candidato più spudoratamente filo-oligarca, cioè portare a compimento l’agenda Draghi.
Anche a livello locale assistiamo alla stessa logica perversa, per cui i governi del PD anche in storiche roccaforti della sinistra come Pisa, Siena e Ancona hanno favorito la vittoria della destra radicale. Infine anche nei pochi grandi centri come Roma dove il PD ancora governa, sta facendo di tutto con le sue politiche antipopolari – che, per esempio, rischiano di fatto d’impedire ai subalterni di potersi servire del loro mezzo privato, dopo aver depotenziato e dequalificato il trasporto pubblico – per favorire la vittoria degli eredi del fascismo.
Si dirà, ma perché le politiche antipopolari del PD dovrebbero favorire proprio la destra radicale? In primo luogo perché appare la più radicale alternativa a una forza che, nell’immaginario comune di chi è privo di coscienza di classe, è ancora percepita come la sinistra o il centro-sinistra. In tal modo, visto che questa percepita sinistra o centro-sinistra tradisce completamente tutti gli ideali che dovrebbe difendere molto suoi elettori non vanno a votare e altri – con una coscienza di classe ancora più debole – si rifugiano, in questo deserto di ideali, nella logica perversa del voto di scambio. Dinanzi alla svendita di tutti gli ideali da parte chi, nell’immaginario comune, li dovrebbe rappresentare l’unica efficace alternativa al non voto, rischia dunque di apparire il voto di scambio, in nome di interessi corporativi. Su questo piano nessuno appare tanto credibile e competitivo quanto la destra radicale. In effetti, chi meglio di quest’ultima appare in grado di contrastare l’immigrazione che è sfruttata per far aumentare la disoccupazione e ridurre al minimo salari e diritti dei lavoratori? Chi finanzierà più di essa l’apparato industriale-militare e le politiche imperialiste, funzionali a redistribuire le briciole ai subalterni? Chi dà agli umiliati e offesi italiani, con una sedicente sinistra che fa gli interessi dei ceti medio-alti, un senso di superiorità se non il “prima gli italiani” della destra radicale? Chi garantisce ai più forti, anche all’interno dei meno abbienti, il sopravvento sui più deboli se non la destra erede del fascismo? Chi, meglio della destra radicale, sembra consentire ai proletari di distinguersi dai sottoproletari e di difendersi dalla microcriminalità mediante le politiche securitarie? Chi garantirà meglio ai subalterni il diritto di inquinare? Chi garantirà ai maschi il controllo sulla schiavitù domestica della donna meglio della destra radicale? Chi permetterà ai piccoli evasori di poter evadere impunemente il fisco apparentemente come i grandi evasori? Chi garantisce meglio gli interessi dei peggiori? Chi offre meglio della destra reazionaria la possibilità di scaricare all’esterno, sui più deboli, le proprie pulsioni distruttive?
Certo, si obietterà, ciò potrebbe non succedere nel caso ci sia una sinistra radicale credibile e ben distinta e distinguibile dalla pseudosinistra liberale e filo-oligarchica. Da questo punto di vista ha un valore esemplare il caso delle elezioni comunali a Campi Bisenzio, una grossa cittadina alle porte di Firenze. Qui la grande lotta portata avanti dagli operai della GKN e la mobilitazione contro l’aeroporto voluto dal PD ha fatto sì che, al contrario del trend nazionale, la destra non è giunta nemmeno al ballottaggio, nel quale la sinistra unita ha sconfitto nettamente il centro-sinistra. Il problema è che una rondine non fa primavera, in quanto altrove la sinistra è divisa, minoritaria, insegue il PD per finanziarsi con i denari pubblici, o si arrocca in uno splendido isolamento da anima bella. In ogni caso non appare credibile né come alternativa al non voto, né al voto di scambio, né come alternativa al “meno peggio” del centro-sinistra.
Si dirà, infine, che il PD è cambiato o sta cambiando dopo la vittoria alle primarie della candidata di sinistra, ai danni della destra renziana. Purtroppo sembra che Schlein non farà altro che tradire ancora una volta la fiducia e la speranza che aveva suscitato la sua inaspettata affermazione sulla destra interna che, negli ultimi anni, sembrava non avere reali avversari. Ciò, dipende, come al solito, da diversi fattori, oggettivi e soggettivi. Dal punto di vista oggettivo sembra impossibile modificare realmente un corpo malato e profondamente “infetto” come il gruppo dirigente del PD dal di dentro. Dal di fuori manca la spinta del popolo della sinistra, prigioniero della logica oligarchica liberale della delega della sovranità. Il problema è che Schlein non ha fatto nulla di significativo per rimettere in discussione questa logica perversa. Infine, sembra poco interessata a portare avanti politiche realmente di sinistra, come l’abbandono del militarismo atlantista del PD, e più interessata a estremizzare lotte per i diritti civili, non solo impopolari, ma anche ingiuste, come il sostegno alla maternità surrogata. Tutto ciò dà l’impressione che persino Schlein finirà con l’essere subalterna al pensiero unico neoliberista
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