Eugenia Roccella, ministra per le pari opportunità e la famiglia

Non è un cadere nuovamente in una gaffe, oppure inciampare in un qual si voglia errore già commesso in precedenza. Si chiama “coerenza“, ed è quella che la ministra Roccella dimostra quando ripete agli “Stati generali della Basilicata: summer school” di Fratelli d’Italia in Basilicata che questo Paese ha bisogno di un incremento di natalità e che i li possono avere (leggasi: li devono fare) soltanto le coppie eterosessuali.

Perché si nasce da un padre e da una madre e quindi nessuna altra ipotesi, seppure realistica, praticabile e quindi alternativa, è possibile. Per l’amor del cielo, nessuno ha mai pensato di obiettare non tanto alla Roccella, quanto a Madre Natura, che i figli nascano dalla congiuzione degli spermatozoi con gli ovuli e che, a seconda dell’unione dei cromosomi X o Y, possa predenre forma in seguito un maschietto o una femminuccia nella pancia della mamma.

Come nessuno, nel grande complotto della comunità LGBTQIA+, ha mai assolutamente ritenuto che si dovesse soppiantare la maternità naturale con la fecondazione artificiale o la maternità surrogata. Ma a destra, quando si prospetta un’altra possibilità per qualcosa o per qualcuno, la prima osservazione critica parte sempre dalla circospezione dubbiosa che, inevitabilmente, termina nella concretizzazione sostanziale del pregiudizio e della stigmatizzazione preventiva.

I nuovi conservatori meloniani, reazionari della miglior specie di un finto modernismo democratico assunto al posto della vecchia storia postfascista ereditata dal MSI e dalle altre frange della galassia nera, hanno smitizzato il monopolio della narrazione familistica imposto dalla Chiesa cattolica che, nonostante il “progressismo” di Francesco, rimane ovviamente – entro la propria coerenza magisteriale – la principale sostenitrice di una sessualità unicamente finalizzata alla procreazione.

La destra vi aggiunge un elemento, se vogliamo, etno-ideologico: la preservazione della popolazione italiana in quanto tale, la difesa dell’autoctonia che, per dirla un po’ con le tante piazzate di consiglieri di Fratelli d’Italia sparsi qua e là nelle zone tanto più ricche quanto più depresse di una Italia impoverita, privatizzata e lasciata in balia di economia di guerra e di una marea di odio e disaffezione per la politica, è in sostanza il puntare ad un contenimento dell’immigrazione con ogni mezzo possibile.

Laddove “possibile” significa descritto dalle leggi che, un Parlamento con una maggioranza ormai fintamente sovranista e apertamente reazionaria, può approvare cambiando nemmeno poi tanto lentamente il quadro socio-culturale della nazione pur rimanendo entro un fomale rispetto della Costituzione. Non c’è nulla, infatti, nella Carta del 1948 che impediasca alle Camere e all’esecutivo di cambiare il corso della politica sulla famiglia e sulla figliazione partendo dal punto di vista della maggioranza eterosessuale.

E’ evidente che in democrazia la maggioranza ha il potere di decidere ma non ha il diritto di penalizzare la minoranza, di farne una parte di popolazione priva della totalità dei diritti costituzionalmente previsti e, tanto meno, di gestire problemi, tematiche e questioni che riguardano le singole specificità dal solo punto di vista della maggioranza stessa. Indubbiamente è legittimo che questo avvenga, ma non opportuno se davvero si ha a cuore la reciprocità, la condivisione, l’unità comune di una società già abbastanza frammentata.

Invece, sia la ministra Roccella sia l’intero governo Meloni altro non fanno se non muoversi su una piattaforma ideologica che discrimina invece di valorizzare le differenze, alterando un equilibrio che si può e si deve raggiungere anche in materia di diritti delle donne, delle mamme, delle moglie e, naturalmente, degli uomini, dei padri e dei mariti.

Soprattutto quando questo si pensa che sfugga alla “natura delle cose“, che quindi sia l’antica “devianza” se si parla di sentimenti, di desiderio, di erotismo, di voglia di amare, anche semplicemente di idealizzare tutto ciò.

La strampalata ipotesi di controllare addirittura i cellulari dei giovani, con una app da affidare ai genitori, affinché non si introducano nel mondo del porno, segue indefessamente questo viatico di repressione oscurantista, di incomprensione pressoché totale della complessità dei processi singoli e sociali. Alla destra manca da sempre la capacità di empatizzare, di rendersi conto che non siamo solamente dei numeri da contare, nonostante la mistica celtica, l’esaltazione dello ius sanguinis sopra tutto e tutti, e la machistica retorica della forza compatta.

Tanto la destra in senso lato, quanto le parole della ministra Roccella, hanno una visione del mondo divisa per etnie, per colori, per lingua, per culture intese come patrimonio strettamente identitario. Non può venire nulla di solidale, di comune e di comunitario, nessuna politica sociale e largamente condivisa dalle più semplici quanto dalle più complesse differenze che esistono nell’oggettività quotidiana delle nostre vite, da una impostazione ideologica di questo tipo.

La preservazione di quello che c’è, che viene enunciata dal governo come elemento positivo, come quanto di più lontano può esservi proprio in riferimento alla conservazione (che sarebbe quindi un concetto arcaico, retroattivo e che, pure, trovava spazio fino a poco tempo fa nel simbolo europeo di Fratelli d’Italia che, manco a dirlo, fa parte del gruppo dei “Conservatori e Riformisti” (ossimori a tutto andare…), è invece l’esatto opposto. E’ la destrutturazione dei valori condivisi, della socialità.

Si getta via in questo modo tutta una cultura del rinnovamento e della crescita matura tanto di un popolo intero quanto delle singole comunità che territorialmente lo rappresentano nelle sue declinazioni particolari e, spesso, molto diverse da nord a sud e viceversa, credendo di essere patriotticamente rivolti ad un avvenire radioso per un Paese dove il declino demografico non è causa delle migrazioni (che semmai sono popolazione aggiunta) ma dello stato di soverchiante miseria che avanza con una prepotenza indomita.

La destra ragiona così: per conservazione o per sostituzione. Non concepisce la nascita di nuovi assetti dei popoli, di una italianità che vada oltre l’italianità che abbiamo conosciuto nel corso del Novecento. Il fascismo pretendeva di rifarsi ad una discendenza da una romanità che, vale un po’ per tutte le genealogie dei moderni Stati, non aveva niente a che vedere con l’idea di Italia che si è iniziata a formare nei secoli post-danteschi.

Lo stesso Dante non si sarebbe mai detto “italiano“, ma “fiorentino“. Eppure è universalmente riconosciuto come colui che ha principiato la diffusione di quel volgare tutto cittadino e locale che si è imposto come lingua nell’intera penisola. Voler bene all’Italia non signica amarla al di sopra di ogni altra cosa esistente.

La stessa Europa, se ci si rifà allo spirito originario dei suoi padri fondatori e non la si colloca esclusivamente nella spirale banchieristica e finanziaria che la avvolge nella fase dell’attuale liberismo spinto, è una evoluzione rispetto alla sterilità dei meri nazionalismi che hanno portato il Vecchio continente ad essere il lanciatore, protagonista e vittima di due guerre mondiali.

Per questo la difesa dei diritti civili ed umani è tanto importante quanto quella dei diritti sociali. Nessuna lotta è separabile dalle altre e nessuna frase può passare sotto silenzio se discrimina, se intende privilegiare, se si prefigge di alterare quell’equipollenza dei diritti e dei doveri che è il cardine della condivisione di ogni altro aspetto dell’esistenza come esseri umani e come cittadini.

Quanto detto dalla ministra Roccella alla scuola estiva di Fratelli d’Italia, constatato che rientra pienamente nello schema della destra riguardo alla famiglia e alla sua centralità nella società rinnovata che immaginano i postfascisti e neoconservatori reazionari dell’oggi e del domani, non è di minore gravità rispetto alle dichiarazioni sulla “sostituzione etnica” o ai busti di Mussolini tenuti in casa da alti esponenti delle istituzioni.

Non possiamo pensare di vincere delle lotte sociali in un quadro di così evidente alterazione antisociale, di disequilibrio tra collettivo e singolo, di riproposizione della meritocrazia come unico metro di valutazione delle nostre competenze tanto sul lavoro quanto nella vita fuori dalle fabbriche, dai cantieri, dagli uffici, dalle scuole, dalle università.

Non possiamo nemmeno ritenere che il ricorso al voto sia l’unico metodo che abbiamo per cacciare questo governo che sovverte i princìpi fondamentali della convivenza civile, che spende i nostri soldi soltanto per finanziare una guerra e che non investe un centesimo di euro in una implementazione dei servizi essenziali per la cura, l’assistenza, la salute, l’istruzione, la tutela degli anziani, il far arrivare sempre più in prossimità dei cittadini quelle difese e garanzie che oggi sono completamente assenti nel paniere dell’indispensabilità.

Una indispensabilità che è l’evidente contraltare della mancanza di un sostegno irrinunciabile che va tanto dal salario minimo sociale all’aumento dei salari veri e propri con una indicizzazione rispetto al costo della vita. Una locuzione tremenda: che la nostra vita debba avere un costo è quanto di più disumano si possa pensare. Per vivere dobbiamo pagare un prezzo, perché tutto ha un prezzo. Anche quei diritti fondamentali che dovrebbero essere al di là del confine economicistico e alienante del sistema capitalistico.

Ha un prezzo la salvezza presupposta dei migranti che tentano la fuga dai grandi paesi dove la povertà è endemica. Ha un prezzo l’arrivo sulle nostre coste e, anche se non lo si paga in euro sonanti, lo si finisce per sborsare al primo sfruttatore di turno che impiega la mano d’opera nei campi, mentre noi ci lagnamo che il lavoro, piuttosto che dalle politiche e dalle scelte delle imprese, ci viene tolto da chi crepa sotto il sole estivo per pochi euro l’ora a raccogliere pomodori.

Non ci può essere nessuna politica condivisa con chi ritiene che con questa destra si possa trattare, anche solo parlare. Il mondo che vogliono loro è l’esatto opposto di quello che vogliamo noi comunisti, noi di sinistra, noi progressisti. Non è la scoperta dell’acqua calda, ma il rinfrescamento della memoria a breve termine. Dell’oggi per il domani.

Perché, ogni tanto, sembra che ci dimentichiamo che al governo ci sono gli eredi di un movimento che stava fuori dall’arco costituzionale e che intendono guidare il Paese proprio rifacendosi a quella incultura, a quella antisocialità, a quella amoralità.

Il governo Meloni va cacciato e, se per fare questo l’unità delle opposizioni parlamentari non è sufficiente, allora va preso atto che il ricorso alle ragioni popolari è la leva migliore per ridare un senso ad una politica tutta tattica e niente strategia, tutta proiettata sui giochetti interpartitici, incapace di connettersi con le frustrazioni e i bisogni reali.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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